I menu dei ristoranti francesi indicheranno quando i piatti sono preparati in cucina con materie prime senza semilavorati industriali
I menu dei ristoranti francesi indicheranno quando i piatti sono preparati in cucina con materie prime senza semilavorati industriali
Roberto La Pira 30 Dicembre 2013I deputati francesi hanno approvato in seconda lettura la norma che obbligherà i ristoranti a specificare sul menù se un piatto è fatto in casa a partire da materie prime, o se contiene prodotti semilavorati di origine industriale. L’espressione da usare sul menù sarà “fait maison” e verrà abinata ad un logo, la cui definizione è rimandata a un decreto attuativo. Per esempio un puré di patate potrà avere il logo “fait maison” solo se ottenuto da patate vere e non da farina di patate, lo stesso discorso vale per un minestrone, una torta …).
Il ministro francese del Turismo, Commercio e Artigianato, Sylvia Pinel, presentatrice della proposta di legge, ha spiegato che la norma risponde a un’esigenza di trasparenza e d’informazione nei confronti dei consumatori, nonché di valorizzazione dei professionisti della ristorazione impegnati in un lavoro di qualità. La decisione dovrebbe avere ricadute positive sul turismo e valorizzare la gastronomia francese famosa in tutto il mondo. Il provvedimento sarà esaminato in seconda lettura, all’inizio del 2014, dal Senato, che in un primo momento aveva previsto che l’indicazione sul menù fosse facolltativa.
Beniamino Bonardi
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
W l’iniziativa francese!
A quando una analoga italiana?
Si potrebbe gia’ cominciare in attesa dell’obbligo: basterebbe l’emulazione virtuosa di alcuni ristoratori che comincino a mettere queste dichiarazioni nei menu.
Andrea Ricci: sarò pessimista… Aspetterai un bel po’ prima di avere simili leggi in Italia. Certe cose non nascono per la volontà di un legislatore, ma perché nella nazione c’è una cultura alimentare di un certo tipo. L’Italia, duole dirlo, ha una cultura alimentare decisamente più arretrata rispetto alla Francia.
Per i nazionalisti “ciechi”: non sto dicendo che la nostra gastronomia è inferiore, al contrario. Ma la cultura gastronomica è altra cosa.
Esempio: in Francia l’abitudine di segnalare i prodotti “maison” (non solo nei ristoranti, ma anche in salumeria, rosticceria, ecc) è già diffusissima. In Italia non esiste.
Dimostrazione di quello che dico: i commenti a questo articolo rimarranno il mio, il tuo… E pochi altri. Detto con altre parole: la maggior parte della gente se ne frega (e/o peggio, non ha idea) di quello che si trova nel piatto.
Temo che tu abbia ragione. Ricordo che qualche anno fa l’Unione Europea, in uno dei passi per lo smantellamento programmato della alimentazione libera e sana in favore di quella industriale e governata, vieto’ l’uso del latte crudo, usato da millenni non solo per l’uso diretto ma anche per fare i migliori formaggi. L’Italia non fiato’. Dobbiamo alla rivolta dei paysans francesi l’abolizione di quel decreto e la lenta reintroduzione del latte crudo anche nei nostri mercati.
Plaudo anch’io all’iniziativa francese e sono un po’ meno pessimista riguardo alla cultura gastronomica.
Conosco diversi chef e cuochi che preparano tutto il possibile “maison” e che non lo comunicano perché per loro è la regola!
Credo che il principio di emulazione, di eccellenza piuttosto che una legge possa produrre un miglior effetto: se promulgassero una legge occorrerebbe un impianto sanzionatorio e dei controllori addestrati…facciamo fatica a destreggiarci in questioni di sicurezza alimentare e di ritiri/richiami…
Condivido l’ultima parte del discorso di Elisabetta: già non ci sono risorse per fare i controlli minimi indispensabili per la sicurezza alimentare…non vedo perchè andare a sprecarne. Se chi va in un ristorante non è in grado di distinguere se un prodotto è “fatto in casa” senza utilizzare semilavorati industriali a meno che questo non venga esplicitamente dichiarato è sintomatico della mancanza di cultura gastronomica. Non è con la legge che si crea la cultura gastronomica: con questa legge il rischio è di premiare piuttosto lo “chef mediocre” che fa un purè con patate di 4° scelta ma “è fatto in casa”! Poi non trovo così semplice e automatica la distinzione tra prodotto industriale e non industriale. Certo, se faccio la besciamella utilizzando un semilavorato industriale e aggiungo solo acqua è evidente. Ma il purè tanto per stare in quell’esempio? Al di là dell’uso della farina di patate: se lo faccio con patate comprate al mercato e sbucciate da me si traduce in fatto in casa mentre se lo faccio con patate già pelate da altri invece no perchè è un semilavorato industriale? Mah…
Parlando di latte, che non c’entra niente col discorso, ma che è stato tirato in ballo. Non so come sia, ma mi auguro fortemente che per gli OSA, così come avviene per le uova, ci sia obbligo di usare prodotto pastorizzato. A casa sua ognuno è libero di fare ciò che crede. Nella ristorazione collettiva ritengo sia d’obbligo invece l’attenzione per la sicurezza del consumatore.
Se è vero che in Italia molti ristoratori e cuochi cercano di preparare tutto in casa è altrettanto vero che nella maggior parte dei locali italiani di fascia medio/bassa si utilizzano molti preparati industriali e scatolami vari.
Poi se una legge del genere passasse in Italia, sicuramente si troverebbe il modo di aggirarla come sempre accade nel nostro Bel (?) Paese.
Al Buonumore non è mai stato proposto un ingrediente che non sia stato lavorato cucinato nella nostra cucina. Ma per far questo al Buonumore non si può scegliere la pietanza, ma solo il numero delle portate (usiamo solo pesce locale , e quando c’è il fermo pesca restiamo chiusi). Questo non vuol dire di essere migliori degli altri, ma è una scelta fatta da anni. Grazie a questo sistema adottato nel menù, non esiste un magazzino , e l’offerta è continuamente diversa perchè è gestita dal mercato. Questo ci consente di applicare dei prezzi equilibrati in rapporto alla qualità. Ma la cosa più importante è che ci evita di fare i saldi di fine stagione come oggi purtroppo sembra che sia di moda . Ha discapito , primo della qualità ( perche i miracoli credo che siano di difficile attuazione ) e della credibilità …..L’Anti Cuoco
Mi sembra prorpio una bella idea… Quando inizieremo a fare queste cose anche in )talia?
Tristezza, penso ai tanti ristoranti che non seguono neppure le normative che cadono nel penale, come l’uso dell’abbattitore per pesce non sufficientemente cotto (e vorrei capire qual è il pesce sufficientemente cotto), l’eliminazione dell’olio che supera i 25% di TPM…
Non dico che non ci siano cuochi seri, anzi, ma in generale all’italiano della qualità interessa ben poco.