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Milioni di bambini nella regione europea sono soggetti a pratiche di marketing inaccettabili per promuovere cibo spazzatura

In Italia un bambino su tre è in sovrappeso oppure decisamente obeso. Tassi elevati di obesità infantile si registrano in tutto il mondo occidentale, seppure con variazioni da un Paese all’altro. Per questo motivo preoccupa il recente rapporto dell’OMS Europa sulle pubblicità di cibi e bevande destinate ai più piccoli. Dalla panoramica delle strategie di marketing messe in campo dalle aziende, emerge una profonda inadeguatezza delle politiche che l’Unione e i singoli Stati membri stanno attuando per regolare il settore.

 

Nel presentare il rapporto, Zsuzsanna Jakab, direttrice generale dell’OMS Europa, non ha potuto fare a meno di osservare che: «Milioni di bambini nella regione europea sono soggetti a pratiche di marketing inaccettabili. La politica dovrebbe comprendere la realtà in cui si trova un piccolo obeso del ventunesimo secolo, circondato da messaggi pubblicitari che lo spingono a consumare cibi con elevati contenuti di grasso, zuccheri e sale, anche quando si trova in luoghi in cui dovrebbe essere protetto, come la scuola o gli impianti sportivi».

 

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La televisione resta il media più sfruttato dal marketing anche se un ruolo importante hanno i nuovi media

Siamo di fronte ad un’azione martellante che comporta evidenti  conseguenze. Secondo gli studi più recenti, i bambini modificano i loro comportamenti alimentari in base alle pubblicità e sono portati a consumare i cibi con il marchio visto in Tv. A peggiorare le cose contribuisce l’evoluzione delle strategie di marketing, che ormai hanno colonizzato il web e i nuovi media. Si tratta di un territorio che sfugge alla comprensione degli adulti e nel quale i nativi digitali si muovono invece a loro agio. Il “parental control” invocato dall’OMS diventa qui impossibile. E questo settore non è preso in considerazione neppure dai codici di autoregolamentazione, che nella maggioranza dei Paesi europei rappresentano i soli (fragili) baluardi posti a difesa dei più piccoli, in assenza di normative più specifiche e stringenti.

 

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In ambito UE, solo 6 Paesi hanno implementato leggi specifiche per regolamentare la pubblicità alimentare destinata ai bambini

«La televisione resta il media più sfruttato dal marketing, ma internet e il digitale sono aumentate rapidamente nell’ultima decade e diventeranno preponderanti nei prossimi anni» si legge nel rapporto. Il motivo è anche economico visto che in rete la pubblicità costa molto meno ed è più efficace, in quanto può avvalersi dell’interattività, dei messaggi personalizzati e dei trigger sociali che hanno fatto il successo dei social network. Fra le strategie già consolidate ci sono i banner sui motori di ricerca e sui siti più frequentati dai minorenni, le mail o gli sms promozionali, e anche i siti aziendali, resi sempre più appetibili per bambini e ragazzi attraverso i giochi, i concorsi e la possibilità di diventare fan.

 

Ma le nuove frontiere sono “l’advergaming” (ovvero, la promozione del brand attraverso videogiochi nei quali i personaggi consumano i cibi da pubblicizzare), il viral marketing (un passaparola che solo apparentemente avviene da consumatore a consumatore, ma che è in realtà abilmente orchestrato dall’alto), e lo user-generated marketing, nel quale si invita il pubblico a interagire con l’azienda, magari indicando le proprie preferenze sulle caratteristiche di un prodotto. Al di fuori del web, sono poi sempre più diffuse le app per smartphone pensate per un pubblico giovane, che nascondono messaggi pubblicitari di prodotti alimentari.

 

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Le nuove frontiere per pubblicizzare il cibo ai bambini si chiamano: advergaming, viral marketing e user-generated marketing

Non tutto accade comunque nel digitale: secondo il rapporto dell’OMS, attività di marketing sono fatte anche nelle scuole (sebbene in molti Stati esistono delle restrizioni) e in ambito sportivo, anche se qui il pubblico cui ci si rivolge non è specificatamente quello dei bambini. A fronte di questi sviluppi, i regolamenti vigenti nella maggior parte dei Paesi europei sono del tutto inadeguati. In ambito UE, solo 6 Paesi (Danimarca, Francia, Norvegia, Slovenia, Spagna e Svezia) hanno implementato leggi specifiche, che si affiancano a strategie concordate fra istituzioni, aziende e codici di autoregolamentazione. Questi ultimi rappresentano invece i soli elenchi di indicazioni presenti nella grande maggioranza dei Paesi, ma sono incoerenti e disomogenei (per esempio le età dei soggetti da proteggere è molto variabile), e spesso non vengono rispettati.

 

In Italia il Piano sanitario nazionale del 2007 proponeva l’introduzione di un sistema di monitoraggio e di codici di autoregolamentazione, che in effetti alcune associazioni di produttori si sono date. Volete sapere se funzionano? Accendete la Tv.

 

Margherita Fronte

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