L’apporto nutritivo della carne di maiale migliora. È questa la conclusione di un’approfondita ricerca italiana che svela i cambiamenti e suggerisce le cotture più sane. I dati parlano di una minore quantità di sale e colesterolo (nei salumi e nella carne), di un elevato valore nutritivo e di adeguate quantità di ferro, vitamine del gruppo B, zinco, rame e selenio. La revisione dei profili nutrizionali di alcuni tagli suini, compiuta dall’Inran (oggi confluito nel CRA: Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura) e Assica (Associazione industriali delle carni e dei salumi) a vent’anni di distanza dall’ultima indagine, evidenzia aspetti positivi e per certi versi attesi.
La qualità della carne di maiale è decisamente migliorata rispetto al 1993. Merito delle procedure attuate dagli allevatori: selezione e adeguamento delle razze, sviluppo dei sistemi di allevamento. Spiega a Il Fatto Alimentare Vittorio Dell’Orto, docente di nutrizione animale alla facoltà di veterinaria dell’Università di Milano. «Il cambiamento è dovuto innanzitutto alla mutata genetica dei suini, che tendono a depositare meno grasso. Ma un ruolo importante l’ha giocato l’alimentazione dei suini: oggi costituita da mais, crusca, farina di estrazione di soia e, in alcuni casi, da farine di orzo e frumento. L’impiego dei grassi è trascurabile, a volte assente».
Dalla ricerca balza agli occhi la variazione ottenuta nella frazione lipidica della carne, fornita da quattro macelli del nord Italia e selezionata da due diversi allevamenti (nessuno di natura biologica). A una riduzione della componente complessiva, ha fatto seguito un leggero aumento della presenza di grassi mono e polinsaturi.
Cinque i tagli commerciali analizzati, compresi due salumi: filetto, lonza, braciola, coppa e salsiccia. Rispetto all’ultima analisi di venti anni fa, il contenuto di grassi è risultato ridotto del 57,5% nella lonza e del 15,2% nella salsiccia. «Le carni suine attualmente sul mercato – commenta Stefano Schiavon presidente del corso di laurea magistrale in scienze e tecnologie animali dell’Università di Padova – hanno un muscolo molto magro, facilmente distinguibile dal grasso, e un elevato contenuto in proteine con un buon valore biologico. Va dunque rivista la vecchia percezione che voleva la carne suina più grassa rispetto alle altre».
Il miglioramento genetico nei suini è stato rapido grazie alla loro elevata prolificità. Nata con lo scopo di aumentare la crescita magra a scapito di quella grassa, la strategia ha portato al paradosso che alcune linee genetiche, soprattutto estere, sono state considerate troppo esili per la produzione di prosciutti. L’aumento costante delle conoscenze scientifiche riguardanti i fabbisogni nutrizionali dei maiali in accrescimento ha fatto il resto. Così si è potuto ottimizzare la dieta animale in funzione degli obiettivi di produzione. «Nel tempo gli ingredienti alimentari – prosegue Schiavon – sono rimasti gli stessi, ma sono variati i livelli di inclusione nei mangimi. Il processo di aggiornamento delle formule alimentari punta a ridurre le emissioni nell’ambiente di azoto e fosforo e aumentare l’efficienza d’uso delle risorse naturali: alimenti, terra, acqua».
Oltre che per il benessere animale, il dato ha un valore rilevante anche in termini di nutrizione umana. La revisione, in corso da un anno e non ancora conclusa, punta a studiare un aspetto finora mai approfondito: la variazione nel contenuto dei nutrienti nella carne durante la cottura. «Una preparazione a temperatura elevata e protratta per troppo tempo – afferma Ginevra Lombardi Boccia, primo ricercatore del Cra, ex Inran, e responsabile della ricerca – riduce soprattutto l’apporto dei micronutrienti. Non conviene però esagerare con le cotture troppo spinte e con il burro: meglio preferire l’olio d’oliva per migliorare il profilo lipidico del piatto». Per la prima volta è stata determinata la composizione in vitamina B12 della carne suina e ribadito l’apporto di vitamine B1 e B3 più elevato rispetto alle altre carni.
Fabio Di Todaro (Twitter: @fabioditodaro)
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L’equazione carne magra = carne di qualità è ormai diventato un mantra che ha distrutto la cultura della carne in Italia.
Ed è puntualmente smentita dal fatto che oggi si stanno sempre più rivalutando le razze autoctone (cinta senese, mora romagnola, ecc) delle quali si apprezza proprio la maggior presenza di grasso, soprattutto di marezzatura, fondamentale per la produzione di salumi di qualità.
Dovete spiegarmi che senso ha mangiare carne che ha il 15% di grassi in meno, ma è sostanzialmente asciutta, stopposa e insapore, tanto che poi sono costretto a cuocerla utilizzando olio extravergine… Cioè ridando alla carne il grasso che le manca! Una carne giustamente grassa si cuoce senza grassi aggiunti, ma con la differenza che il proprio grasso valorizza la carne molto di più rispetto al grasso aggiunto.
I ricercatori, piuttosto che gridare vittoria di fronte a un mercato dove la carne decente (quella con un minimo di grasso) è ormai vista come veleno dal consumatore, dovrebbe chiedersi perché all’estero (es. in Francia) la carne è più grassa che in Italia ma le statistiche su sovrappeso,obesità e malattie cardiovascolari sono identiche o addirittura migliori.
Consumatori: mangiate meno carne, ma che almeno sia buona, giustamente grassa e saporita, senza aggiungere grassi.
Giustissime e sacrosante le parole del sig. Tibaldi Andrea.