Cinque zollette e mezzo di zucchero in una sola lattina: è questo il contenuto reale di una Red Bull da 250 ml, come mostra chiaramente la fotografia. Numeri che dovrebbero far suonare un campanello di allarme, soprattutto se pensiamo che stiamo parlando di una bevanda che da anni fa pubblicità in modo aggressivo, anche verso i giovani e giovanissimi nonostante gli allarmi per il contenuto di caffeina e taurina, oltre allo zucchero.
Bollino rosso per la Red Bull
Una lattina contiene infatti circa 27,5 grammi di zuccheri aggiunti, l’equivalente di cinque zollette e mezzo da 5 g, più di tante bibite tradizionali considerate dolci come Coca-Cola o Estathé. Mancando un’etichetta nutrizionale chiara come il Nutri-Score obbligatorio in altri Paesi, molti consumatori non si rendono conto di quanto zucchero stanno assumendo. Applicando alla bevanda l’etichetta a semaforo Nutri-Score, Red Bull ‘guadagnerebbe’ una E rossa, per l’eccessiva presenza di zuccheri — un segnale forte su un prodotto che di nutriente ha ben poco.

Il problema non è solo del singolo prodotto, ma di un intero modello. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Istat indicano che in Italia il consumo medio di zuccheri liberi supera le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità. L’OMS indica come limite massimo il 10% delle calorie giornaliere, e suggerisce di scendere idealmente al 5% per ridurre obesità, diabete e altre malattie croniche.
Troppo zucchero in una lattina
Tradotto in linguaggio quotidiano, per un adulto con un fabbisogno calorico di 2mila kcal bere una lattina di Red Bull significa ingerire 25 grammi di zuccheri al giorno (pari a cinque zollette). Con una lattina si supera. In altre parole, basta una sola bibita energizzante per esaurire — e oltrepassare — il quantitativo raccomandato per l’intera giornata. Se invece si considera il valore del 10%, una lattina copre la metà del fabbisogno giornaliero.
L’etichetta a semaforo Nutri Score assegna alla bibita il colore rosso e la lettera E che corrisponde al gradino più basso della scala per via dell’ elevato contenuto di zuccheri e l’assenza di nutrienti (come fibre o proteine).
Questa classificazione visiva — che in altri Paesi europei è già adottata sulle confezioni — serve a segnalare al consumatore che si tratta di un prodotto da consumare con molta moderazione, soprattutto se confrontato con bevande con profili nutrizionali migliori. Siamo di fronte a bibite troppo zuccherate, che contribuiscono a un consumo di zuccheri liberi già eccessivo nella popolazione italiana, con potenziali effetti negativi sulla salute. E se oltre allo zucchero ci aggiungiamo marketing e comunicazione persuasiva, il quadro non può che risultare preoccupante.
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giornalista redazione Il Fatto Alimentare


