Donna palestinese piange dopo un bombardamento; concept: Gaza

Tutti (o quasi) ormai condannano il genocidio di Gaza, ma gli affari con Israele vanno avanti come se niente fosse e le relazioni commerciali funzionano alla grande. I dati lo confermano: il valore dei prodotti alimentarti italiani esportati è in progressivo aumento, e nel 2024 l’export agroalimentare verso Israele ha raggiunto 440 milioni. È vero che Paesi come Finlandia, Irlanda, Belgio, Spagna e Regno Unito hanno espresso condanne diplomatiche, ma tutti mantengono relazioni commerciali normali. 

Gli affari con Israele continuano

Anche le aziende alimentari italiane, come quelle europee, non hanno sospeso le vendite a Israele come reazione alla crisi umanitaria a Gaza. Sino ad ora le pressioni e i boicottaggi sono indirizzati ai prodotti importati. Grandi marche come Ferrero, Mutti, Campari e Rummo, che sono tra i principali esportatori di prodotti alimentari verso Tel Aviv, non hanno mosso un dito e non hanno alcuna intenzione di modificare i propri rapporti commerciali con il Paese responsabile del genocidio dei Palestinesi.

Organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch chiedono che si blocchino gli accordi commerciali fra UE e Israele, ma finora l’export continua con regolarità. Solo recentemente l’UE ha avviato la revisione dell’Accordo di Associazione con Israele e proposto di sospenderlo e di escludere il paese da programmi come Horizon Europe), anche se non sono state ancora prese decisioni definitive.

Solo nel Regno Unito, il Co‑operative Food Retail Group (Co‑op) – con oltre 2.300 negozi – ha deciso di cancellare dalla propria offerta prodotti e ingredienti provenienti da 17 Paesi, tra cui Israele, sospendendo in particolare la vendita di carote israeliane fin da giugno 2025. In Italia 500 supermercati che fanno riferimento a Coop Alleanza 3.0, Unicoop Firenze e Unicoop Etruria hanno deciso di non vendere prodotti israeliani. Contraria a queste decisione è però Coop Italia che ha ribadito di non voler sospendere le importazioni di prodotti alimentari da Israele, come fanno anche le altre catene di supermercati e discount sul nostro territorio.

Civili sfollati palestinesi a Khan Yunis, Striscia di Gaza, 2024
Nel 2024, con l’invasione di Gaza già in corso, l’export agroalimentare verso Israele ha raggiunto 440 milioni

Il genocidio di Gaza ignorato

Continuare a fare affari con un Paese che porta avanti scientemente un genocidio e che da oltre 100 giorni affama decine di migliaia di donne e bambini è quantomeno imbarazzante. Mi chiedo come fanno i componenti delle grandi famiglie italiane proprietarie di marchi alimentari famosi quando guardano le immagini dei disperati palestinesi di Gaza andare in azienda e stipulare affari con Israele. La stessa cosa vale per le persone che siedono nei consigli di amministrazione delle imprese alimentari e i responsabili dei settori commerciali che vedono bambini palestinesi morire di fame, proprio come è stato per gli ebrei nei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale, ma continuano a stipulare contratti. Come si può continuare a fare affari con un Paese che porta avanti senza pudore e senza timore e in modo sistematico una pulizia etnica?

L’ultimo rapporto dell’OMS con i dati del Global Nutrition Cluster riporta che a Gaza City quasi un bambino su cinque sotto i cinque anni è gravemente malnutrito. Non è solo la fame ad  uccidere, c’è anche la disperata ricerca di prodotti alimentari. Dal 27 maggio, più di 1.060 persone sono state uccise e 7.200 ferite mentre cercavano di accedere al cibo.

L’appello

Il Fatto Alimentare ha inviato una lettera alle maggiori aziende alimentari italiane e alle catene di supermercati chiedendo di esprimere una posizione. Non sono arrivate risposte. Neanche il pudore di dire che gli affari vanno avanti regolarmente.

Mi piace però immaginare che nei prossimi giorni Giovanni Ferrero diffonda un comunicato per annunciare di avere interrotto i rapporti commerciali con Israele e di non vendere più i vasetti di Nutella nei supermercati israeliani. Si tratterebbe di una piccolissima rinuncia per l’azienda, che però avrebbe un riscontro sia per i milioni di consumatori italiani ma anche a livello internazionale, per tutti i Paesi che conoscono il marchio e consumano Nutella. Un segnale di rifiuto, un modo per non essere testimoni indifferenti di fronte alle atrocità quotidiane contro bambini e civili che hanno la sola colpa di abitare a Gaza, a casa loro.

© Riproduzione riservata Foto:Depositphotos

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micol
micol
26 Agosto 2025 10:08

Di fronte a questo orrore, stare zitti è già complicità. Complimenti al Fatto Alimentare che prende posizione e si attiva! Non è la scelta più comoda, ma è la scelta giusta.

Massimo
Massimo
4 Settembre 2025 16:30

Complimenti per la vostra presa di posizione,avete tutta la mia stima.