
Alcune miscele di additivi estremamente diffusi, soprattutto negli alimenti ultra processati, sono associate a un aumento del rischio di sviluppare un diabete di tipo 2. Lo si è visto in uno studio condotto dai principali istituti di ricerca francesi, tra i quali l’INSERM, che ha coordinato la raccolta e l’elaborazione dei dati, e l’Università Sorbona di Parigi, che stanno tutti collaborando al Nutritional Epidemiology Research Team (CRESS-EREN) che, a sua volta, conduce gli studi sul French NutriNet-Santé.
Lo studio di coorte francese, lanciato nel 2008, ha reclutato finora 180.000 persone e ha già prodotto oltre 300 pubblicazioni sui rapporti tra alimentazione e salute. Quello appena uscito su PLoS One, però, è particolarmente interessante, perché è uno dei primi che analizza non un singolo additivo, ma alcune miscele, riproducendo così molto più fedelmente ciò che accade nella realtà.
I cinque insiemi
Per individuare alcune possibili miscele, tra le innumerevoli possibili (gli additivi sono centinaia), i ricercatori hanno analizzato l’alimentazione di oltre 108.000 francesi che avevano completato i questionari su tutto ciò che avevano mangiato in un periodo di tempo compreso tra due e 15 giorni, annotando anche i marchi dei prodotti. Quindi hanno controllato, incrociando diversi database pubblici e commerciali, quali additivi erano presenti negli alimenti più consumati, correggendo anche i risultati in base a possibili riformulazioni, e tenendo conto della data in cui un certo prodotto era stato consumato.
Hanno così individuato cinque possibili combinazioni, tenendo presenti solo le sostanze che comparivano in almeno il 5% dei prodotti citati. Quindi hanno verificato le condizioni di salute di chi aveva risposto, persone per le quali erano disponibili le informazioni necessarie per un periodo medio di 7,7 anni. Il risultato sono stati cinque assortimenti.

Le due combinazioni peggiori
Dei cinque, tre non sono risultati associati a particolari rischi. Ma i restanti due sì, con il diabete di tipo 2, e la relazione è rimasta tale a prescindere dal livello qualitativo medio generale della dieta cioè, per esempio, da quanti zuccheri, fibre o grassi la persona avesse assunto, così come dallo stile di vita o dal livello socioeconomico.
Il primo mix era quello degli emulsionanti quali gli amidi modificati, le pectine, la gomma guar, le carragenine, i polifosfati e la gomma di xantano, assunti insieme a conservanti come il sorbato di potassio, e a coloranti come la curcumina: assortimenti tipicamente presenti in dessert a base di latte, salse, brodi e composti a base grassa. Questa miscela, nel complesso, è risultata associata a un aumento del rischio di diabete di tipo 2 dell’8%.
I mix di additivi
Il secondo era quello che si ritrova soprattutto nelle bevande dolcificate, perché conteneva acidificanti e correttori dell’acidità come i citrati e l’acido citrico, acido fosforico o acido malico, e poi coloranti come il caramello solfito-ammoniacale, l’estratto di paprika o le antocianine, insieme a dolcificanti come l’acesulfame k, l’aspartame e il sucralosio, più emulsionanti come la gomma arabica, la gomma guar e le pectine, e sostanze isolanti come la cera carnauba. In questo caso, l’incremento del rischio di diabete è stato del 13%, e ha confermato anche i numerosi altri studi che hanno associato proprio le bevande dolcificate proprio all’aumento del rischio di sviluppare questa malattia.
L’importanza di un metodo
Al di là delle percentuali, la rilevanza di questa ricerca è nel metodo: per la prima volta si è considerato l’insieme degli additivi assunti con la dieta. Le persone che hanno una dieta occidentale o simile, anche nelle versioni migliori, assumono sempre anche alimenti industriali, che contengono additivi, ma finora le ricerche sono state incentrate quasi sempre su singole sostanze, con risultati che non riproducevano fedelmente ciò che accade. In questo caso invece, i risultati sono l’effetto anche delle interazioni, delle sinergie e degli accumuli tra composti diversi.
Questo studio, oltreché essere affidabile, vista l’entità del campione e il numero di anni di follow up, anche se non dimostra una relazione di causa ed effetto, mostra quindi un metodo, che si spera sia seguito anche da altri. L’obbiettivo è capire meglio il ruolo degli additivi e, di conseguenza, valutare adeguatamente anche gli alimenti (e le bevande) che li contengono, a cominciare dagli ultra processati.
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Giornalista scientifica