Bambina con hamburger in mano beve aranciata con la cannuccia da bicchiere di plastica grande; junk food

Big Food, cioè l’insieme delle grandi multinazionali del cibo industriale, negli ultimi due decenni si è infiltrata pesantemente nelle scuole britanniche. E anche adesso che il governo cerca di correre ai ripari e arginare l’obesità infantile, continua a proporsi come soluzione dei problemi che ha contribuito a creare. La situazione è inaccettabile, e va contrastata molto più efficacemente di quanto non si sia fatto finora, e di quanto lo stesso governo pensi di fare nei prossimi mesi, almeno da alcuni punti di vista.

Questo il senso di una denuncia molto circostanziata che arriva dalle pagine del British Medical Journal, nelle quali la giornalista specializzata Emma Wilkinson riassume alcuni dei fatti più eclatanti degli ultimi anni, e ricorda che una quarantina di esperti ha firmato un appello a escludere del tutto Big Food dalle scuole.

I Breakfast Club nelle scuole

Nel sistema scolastico britannico esiste la possibilità di offrire la prima colazione ai bambini meno abbienti: una situazione ideale per regalare prodotti che, altrimenti, sarebbero forse esclusi dalle mense, perché considerati poco sani. Lì si sono insinuate, tra gli altri, Kellogg’s e Greggs Foundation, una fondazione sponsorizzata da una catena di negozi di prodotti da forno che vende molti alimenti pieni di grassi, zuccheri, additivi vari e sale.

Secondo i dati delle due aziende, tra il 1998 e oggi sono state sostenute oltre 3mila scuole frequentate da bambini di età compresa tra i quattro e gli 11 anni, direttamente con denaro (mille sterline per donazione) ma anche con confezioni di cereali quali Rice Krispies e Corn Flakes, soprattutto quando la gestione delle prime colazioni è stata affidata a un’associazione no profit dedicata che si chiama Magic Breakfast.

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Le grandi aziende alimentari si sono insinuate nei programmi per offrire la colazione ai bambini in difficoltà economica nelle scuole britanniche

Secondo diverse ricerche, però, molti cereali Kellogg’s contengono livelli di zuccheri eccessivi. L’azienda, che ha donato già 5,7 milioni di sterline, sostiene di regalare sempre prodotti all’ingrosso, non riconoscibili e, pertanto, di non usare questo canale per pubblicizzare i singoli marchi.

La presenza capillare di Greggs Foundation

A sua volta, Greggs Foundation sottolinea di sostenere 62mila bambini ogni giorno, con poco meno di 900 programmi di singole scuole, e di aver donato, nel solo 2023, 12 milioni di prime colazioni. Inoltre, ricorda che il suo contributo è meramente economico, e che lascia alle scuole la libertà di acquistare ciò che vogliono, a eccezione del pane, distribuito direttamente. Peccato che tra gli altro prodotti della catena ci siano, come detto, alimenti come le ciambelle, la pasticceria e ogni genere di dolciume da forno tutt’altro che sano.

Inoltre – fa notare Wilkinson – nel board di Greggs, c’è General Mills, l’azienda che produce Cheerios e Häagen-Dazs. Inoltre c’è Findel, un’azienda che produce contenuti educativi. Non stupisce, quindi, che Greggs fornisca anche programmi educativi attraverso il progetto Rethink Food – Agents of Change, incentrato sui principi di una sana alimentazione e sull’importanza dell’attività fisica, che l’anno scorso è stato ‘somministrato’ a 27mila studenti. Anche se formalmente non si parla di alcun prodotto, com’è noto una delle strategie del marketing del cibo malsano è quella basata sullo spostamento dell’attenzione su altre cause dell’obesità come, per esempio, sulla scarsa attività fisica: Rethink Food risponde perfettamente ai canoni di questo tipo di approccio, denunciato più volte, negli ultimi anni, dai nutrizionisti e dagli esperti di salute pubblica.

L’educazione dubbia

Proprio alle azioni indirette di marketing incentrate sull’educazione è poi dedicata un’altra parte dell’inchiesta, che fa un esempio concreto: il programma Food – a Fact of Life della British Nutrition Foundation (BNF). Un nome neutro e anzi, accattivante, dietro il quale, però, si celano aziende i cui prodotti sono considerati non sani nel 90% dei casi, tra le quali British Sugar plc, Nestlé, la stessa Greggs, McDonald’s, Coca-Cola, PepsiCo, di nuovo Kellogg’s e Mars. Attivo dal 1991, il programma non prevede la donazione di prodotti ma l’erogazione solo di iniziative educative.

Bambini mangiano a tavola in una mensa scolastica; concept: scuola, mense scolastiche, scuole
Il programma Food – a Fact of Life della British Nutrition Foundation prevede iniziative educative nelle scuole

Tuttavia, come ha commentato anche Chris van Tulleken, autore del best seller internazionale sugli ultra processati e docente allo University College di Londra, è evidente che si tratta di operazioni di ‘lavaggio’ della reputazione. Inoltre ci sono poi problemi specifici: anche se viene consigliato ai bambini di mangiare per esempio una mela, viene spiegato loro anche quali sono i danni del junk food? E quante aziende ricorrono alla tattica della personalizzazione, cioè della centralità della responsabilità del singolo bambino o genitore (e, quindi, non dell’azienda) per chiamarsi fuori da ogni responsabilità?

Succede qualcosa di simile con l’analogo programma di Nestlé, chiamato PhunkyFoods, che arriva a 54mila studenti e che coinvolge direttamente anche gli insegnanti.

La situazione attuale nelle scuole

Secondo un sondaggio condotto nel 2022, oggi più di una scuola su sei in Galles ha già utilizzato, nell’insegnamento su cibo e nutrizione, materiali sponsorizzati da supermercati e organizzazioni commerciali. Circa il 7% ha impiegato risorse fornite da aziende di fast food e il 6% risorse provenienti da aziende produttrici di bevande analcoliche ed energetiche.

Secondo l’Associazione dei direttori di salute pubblica, comunque, la consapevolezza sta aumentando e le amministrazioni locali stanno agendo molto più di prima per tenere lontani dalle scuole i fast food (e i take away in generale) e le pubblicità di junk food. Incontrano comunque maggior difficoltà quando si tratta di intervenire sui Breakfast Club, che sono un importante strumento di welfare indiretto, soprattutto per i bambini delle classi sociali più disagiate.

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Le amministrazioni locali stanno agendo molto più di prima per tenere lontani dalle scuole i fast food

La lettera dei 38 esperti

La lettera citata chiede che il governo includa le scuole e gli asili nido (e i Breakfast Club, le attività, i materiali didattici e le risorse in essi contenuti) in tutta la futura regolamentazione della pubblicità e del marketing di alimenti e bevande, escludendo qualunque tipo di contatto. Chiede inoltre che le scuole e gli asili respingano ogni futura sponsorizzazione di marchi, materiali educativi e risorse di aziende alimentari e bevande ad alto contenuto di grassi, sale o zucchero, così come delle loro organizzazioni a esse collegate come alcune fondazioni.

Dal canto suo, il governo ha annunciato l’intenzione di introdurre i propri Breakfast Club per la colazione gratuita in ogni scuola primaria. Nella lettera si invita pertanto il governo a garantire che i bambini non siano esposti a marchi che promuovono prodotti ad alto contenuto di grassi, sale o zucchero attraverso colazioni finanziate da denaro pubblico.

Divieti da ripensare

L’appello al governo arriva proprio nel momento in cui si stanno limando gli ultimi dettagli delle nuove norme sulla pubblicità che entreranno in vigore nell’ottobre del 2025. Su tutte, ce n’è una che sembra fatta apposta per non disturbare troppo le strategie di Big Food, sulla quale ha acceso un faro un articolo della BBC. Il divieto di pubblicità televisive prima delle 21 e tutte quelle online, nella versione attuale riguarderebbe soltanto singoli prodotti classificabili come junk food in base alle 13 categorie individuate dal governo. Non andrebbe a colpire, quindi né le catene di fast food né i marchi in generale, che potranno continuare a spingere le vendite aggirando con facilità le nuove limitazioni (a patto che negli spot non si mostrino i prodotti). È del tutto evidente che un divieto così edulcorato – nel vero senso del termine – sarebbe assai poco efficace.

Nel Regno Unito un bambino su cinque quando arriva alla prima elementare è già in sovrappeso o obeso. In seguito la percentuale sale fino a uno su tre, nel momento della fine della scuola dell’obbligo.

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