L’acqua che esce dai rubinetti dei cittadini tedeschi, come probabilmente quella di molti altri Paesi, contiene PFAS. Per fortuna, però, la concentrazione sembra rimanere nei limiti, almeno per i 20 composti per i quali l’Unione Europea ha fissato i valori di riferimento, pari a 100 nanogrammi per litro, più altri sei molto diffusi, anche se non presenti negli elenchi UE. Piuttosto, poiché ne sono sempre presenti diversi contemporaneamente, in alcune zone possono esserci accumuli che tendono a sforare le soglie.
Gli PFAS
La concentrazione nelle acque potabili di sostanze perfluoroalchiliche o PFAS, meglio note come sostanze perenni, plastificanti in uso dagli anni Quaranta e ormai ubiquitari, è oggetto di indagini e ricerche in tutto il mondo. Lo studio appena pubblicato su Eco-Environment and Health dai ricercatori dell’Agenzia per l’ambiente tedesca e dall’Università Tecnica di Berlino rappresenta un passo in avanti, per diversi motivi. Il primo dei quali è il fatto che, grazie al coinvolgimento dei cittadini, si è potuto estendere l’analisi a tutto il territorio nazionale e non solo, come accade di solito, a un’area specifica.
Tra il dicembre del 2021 e il gennaio del 2022 decine di volontari hanno preso parte a una raccolta che ha portato ad avere 89 campioni, tutti prelevati con le stesse modalità, in recipienti identici e seguendo un semplice protocollo comune. I campioni sono stati raccolti da acque sia superficiali (nel 6-7% dei casi) che di falda (tra il 48 e il 54% dei campioni), oppure da acque miste (34%) o, ancora, da acque provenienti da sistemi di filtrazione e riciclo di acque di falda (38%) e, nell’1% dei casi, da un distributore che utilizzava acqua salmastra e marina filtrata con un sistema a osmosi.
Le modalità dello studio
Quindi, dopo una filtrazione, tutti i campioni sono stati analizzati con la cromatografia e la spettrometria, e il risultato è stato abbastanza tranquillizzante. Nessuno dei 26 PFAS cercati, infatti, era presente in concentrazioni superiori ai limiti, anche se è emersa una grande variabilità. I valori oscillavano da numeri inferiori alla sensibilità degli strumenti a 80 nanogrammi/litro, una quantità vicina ai 100 indicati dall’Europa. Inoltre, solo in due campioni la somma di quattro tra gli PFAS più comuni è risultata superiore alla soglia prevista. Lo PFAS più rappresentato è il perfluoro-octansulfonato (PFOS), presente nel 52% dei campioni, mentre quello con le concentrazioni più alte è stato il perfluoro-esansulfonato (PFHxS).
PFAS in città
Un dato interessante riguarda poi la distribuzione geografica: non si sono identificate zone particolarmente a rischio ma, in media, le aree urbanizzate avevano concentrazioni di PFAS più elevate rispetto a quelle rurali. Infine, la presenza di molecole che, in teoria, dovrebbero sostituire gli PFAS classici, per il momento è ancora minima.
Tutte le informazioni raccolte potrebbero ora essere utili agli amministratori locali, così come ai decisori politici federali, per prendere eventuali provvedimenti mirati che partano dalla realtà sul campo. Oltre a ciò, il coinvolgimento diretto dei cittadini, che permette indagini più estese, aiuta a sensibilizzare la popolazione sul tema, e anche questo è un elemento molto importante, nel grande sforzo in atto e soprattutto in quello che si dovrà fare nei prossimi anni per ridurre la concentrazione di queste sostanze.
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Giornalista scientifica
Purtroppo è un problema globale. Stati Uniti, Inghilterra, Germania e Italia hanno da tempo registrato altissimi livelli di Pfas nelle acque destinate al consumo umano. In particolare, in Italia, i problemi maggiori si hanno in Piemonte, Lombardia, Toscana e soprattutto in Veneto. In quest’ultimo caso le falde sono talmente compromesse che il loro trattamento risulta impossibile.