Il mercato mondiale degli oli vegetali è in trasformazione, per una serie di motivazioni diverse che si stanno concretizzando in una diminuzione di alcune produzioni, in un aumento di altre e in oscillazioni dei prezzi che colpiscono soprattutto l’Europa. Lo si vede, innanzitutto e macroscopicamente, nell’olio di oliva, i cui costi, secondo FoodNavigator, sono in aumento del 20% su base mensile e del 114% su base annuale, perché nei Paesi che guidano la produzione, la Spagna e l’Italia, l’alternanza di siccità, incendi e alluvioni continua a minacciare gli uliveti. Questo, a sua volta, fa sì che sul mercato non vi sia una quantità sufficiente di olio di oliva rispetto alle richieste e che i prezzi continuino a lievitare. E non ci sono elementi per pensare a un’inversione di tendenza per tutto il 2024, come minimo, secondo alcuni consulenti interpellati dalla testata.
I numeri, del resto, sono molto chiari: l’anno scorso, la produzione è stata attorno alle 600mila tonnellate, cioè molto inferiore agli 1,5 milioni del 2021, e anche se le stime parlano di un aumento per il 2023, prevedono anche che nel prossimo inverno la disponibilità sarà insufficiente e i prezzi altissimi.
Naturalmente la carenza di olio di oliva si ripercuote su tutti gli altri oli vegetali come quelli di girasole, colza e mais, ma in questo caso le previsioni sui prezzi sono migliori: molte aziende hanno approfittato delle oscillazioni del mercato per acquistarne grandi quantità e si prevede che i costi, molto aumentati dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, diventino più stabili, nei prossimi mesi. Tuttavia, ci sono, anche in questo caso, due variabili non controllabili: la guerra e il clima, che potrebbero far cambiare la situazione molto rapidamente.
La guerra e il mercato degli oli vegetali
La guerra, in particolare, ha modificato profondamente il mercato: oltre ad aver fatto aumentare moltissimo il costo dell’olio di girasole, di cui l’Ucraina è il primo produttore mondiale, ha spinto quasi tutti i Paesi ad investire sulle produzioni di altri semi, per limitare la dipendenza dalle forniture ucraine. Si stima che, nella stagione 2023/2024, la produzione ucraina arriverà a 12,4 milioni di tonnellate, leggermente più alta rispetto all’anno scorso, ma ancora al di sotto degli oltre 17,5 che sono stati prodotti prima della guerra (nel 2021/2022). Tuttavia, molto dipenderà anche dagli effetti della distruzione della diga di Kakhovka, che ha compromesso migliaia di ettari coltivati, dei continui bombardamenti sul porto di Odessa e, ovviamente, della sospensione dell’accordo sul grano.
Per il momento, in Europa, si è raggiunto un plateau, con un’offerta crescente di grassi vegetali diversi: oggi il prezzo degli oli di girasole, palma, colza e soia è al di sotto delle quotazioni precedenti la guerra. E questo, a sua volta, ha spinto Polonia, Romania e Bulgaria a vietare l’import di olio di girasole ucraino, perché questi Paesi temono che possa minacciare le produzioni locali. Le aziende che sono passate, per le loro ricette, dall’olio di semi di girasole ad altri oli, infatti, difficilmente torneranno indietro, almeno fino a quando la guerra non sarà finita, e questo potrebbe generare un paradossale surplus di olio ucraino sul mercato. Su tutto ci sono poi fattori psicologici, che spingono gli acquirenti a indirizzarsi verso oli ‘sicuri’.
Gli effetti del cambiamento climatico
Per quanto riguarda il clima, gli inverni caldi e siccitosi in Nord America, le ondate di calore estive in Europa e il luglio molto piovoso nel Regno Unito hanno spinto in alto il prezzo dell’olio di colza, la cui produzione europea è ai massimi storici, e la corsa potrebbe continuare, anche se per ora l’offerta supera la domanda e così dovrebbe rimanere nei prossimi mesi.
Il mercato è quindi in balìa di diverse variabili poco gestibili, e per questo, secondo FoodNavigator, anche se le varietà coltivate oggi sono già molto resistenti, i nuovi scenari impongono un ripensamento e, laddove possibile, probabilmente, l’utilizzo di nuove piante geneticamente modificate, che potrebbero rendere di più ed essere ancora meno vulnerabili agli sconvolgimenti climatici e agli eventi estremi.
Infine, si sta cercando di capire quali impatti avrà la nuova legislazione europea contro la deforestazione, che rischia di colpire soprattutto i coltivatori più piccoli, i quali, nel caso dell’olio di palma, rappresentano circa il 40% del totale. È probabile che siano esclusi dal mercato europeo, a meno che non si introducano correzioni alla legge, e che offrano il loro prodotto ad altri Paesi come la Cina. Ciò significa che, in Europa, la domanda di oli vegetali alternativi anche a quello di palma è destinata a salire e, con essa, i prezzi.
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Giornalista scientifica