Pasta integrale tipo fusilli in una ciotola azzurra, su una tovaglietta grezza

La produzione nazionale di frumento presenta criticità sotto il profilo qualitativo e per questo aumenteranno le quantità di grano duro importate dall’estero necessarie per confezionare la pasta italiana. È la situazione presentata da Italmopa (Associazione industriali mugnai d’Italia) alla luce delle specifiche tecnologiche e merceologiche del nuovo raccolto. “L’andamento climatico costatato nel corso degli ultimi due mesi –  evidenzia Enzo Martinelli, presidente della sezione Molini a frumento duro Italmopa – ha gradualmente e profondamente mutato il quadro di una prospettiva che invece risultava, sino alla fine di aprile, particolarmente favorevole, per quanto concerne l’esito quantitativo e qualitativo del raccolto. I volumi produttivi, che stimiamo in circa 4,15 milioni di tonnellate, appaiono certamente ridimensionati rispetto alle iniziali aspettative”.

“Ma sono i risultati qualitativi del raccolto a destare grandi preoccupazioni –prosegue Martinelli – visto che tutti i principali parametri, dal tenore proteico al peso ettolitrico, devono purtroppo essere considerati chiaramente insoddisfacenti. Una situazione che non potrà non influire sulle strategie di approvvigionamento dell’Industria molitoria, con necessità di un maggior ricorso ad onerose importazioni da parte della medesima che, da sempre, trasforma le migliori varietà di frumento, a prescindere dalla loro origine, per produrre semole rispondenti alle esigenze dei pastai italiani e dei consumatori”.

Grano, pasta
Quest’anno la produzione nazionale di frumento presenta criticità sotto il profilo qualitativo. Aumenterà l’import di grano duro

La situazione avvalora il concetto secondo cui la qualità della materia prima non può essere semplicemente ricondotta soltanto alla sua origine, ma piuttosto alle condizioni agronomiche e climatiche, oltre alla necessaria professionalità dell’imprenditore agricolo. Il comunicato di Italmopa rivela una realtà ben nota agli addetti ai lavori, ovvero che la pasta italiana utilizza tutto il grano duro di qualità proveniente dal nostro territorio, ma importa anche materia prima perché i quantitativi non sono sufficienti. Tutto ciò non è un mistero, visto che sull’etichetta delle confezioni è obbligatorio indicare l’origine della materia prima. Per sopperire a questa carenza molte aziende acquistano una quota rilevante di grano duro pregiato da Paesi come: Canada, Stati Uniti, Francia.

Si tratta di uno scenario che si ripete ogni anno. L’unica variabile sono le quantità, correlate al raccolto nazionale. Stiamo parlando comunque di quantità rilevanti che oscillano dal 30 al 40% del fabbisogno. Un altro elemento poco considerato è che circa il 60% della pasta italiana (prodotta anche con grano ‘straniero’) viene esportata in altri Paesi dove è apprezzata proprio per la qualità. Il grano proveniente dall’estero, contrariamente a quanto viene detto è un prodotto di alta qualità, e non potrebbe essere diversamente visto che gli acquirenti sono pastifici che producono la pasta ‘migliore del mondo’ e quindi conoscono bene la materia prima. Anche le notizie sulla presenza di rilevanti quantità di contaminati come il glifosato nel grano duro canadese non trovano riscontri analitici nei controlli di routine.

© Riproduzione riservata – Foto: Depositphotos, AdobeStock

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Mario (quello vecchio)
Mario (quello vecchio)
21 Luglio 2023 05:31

Con buona pace di quelli che vaneggiano che si debbano usare “solo grani italiani antichi”, è almeno dal tempo dell’impero romano che il grano duro viene importato dall’estero (a quell’epoca, dall’Egitto soprattutto) semplicemente perché non abbiamo lo spazio per coltivarne a sufficienza per l’uso interno.

Le condizioni climatiche anomale di questa stagione ci hanno aggiunto il carico da undici, facciamocene una ragione, panificare e fare pasta esclusivamente con i grani locali (qualunque cosa siano) mantenendo elevata la qualità del prodotto è come pretendere di fare polpette per tutti esclusivamente con le lingue di canarino.