Nel 2020 la Commissione europea aveva giurato di “vietare le sostanze chimiche più dannose nei prodotti di consumo”, Pfas e ftalati compresi. Tre anni dopo, documenti riservati ottenuti dal quotidiano britannico The Guardian rivelano che Bruxelles sarebbe in procinto di rimangiarsi il divieto promesso, uno dei pilastri del ‘Green Deal’ europeo, sotto le pressioni dell’industria chimica e del Partito Popolare Europeo, la formazione di centro-destra di cui fa parte anche la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen.
Il piano prevedeva, nell’ambito dell’aggiornamento della normativa Reach*, il bando di una cifra compresa tra 7mila e 12mila sostanze chimiche pericolose, che non si sarebbero più potute utilizzare nei prodotti di consumo, con deroghe solo per gli impieghi essenziali. Nella lista sarebbero state incluse le sostanze per- e polifluoroalchiliche, meglio note con la sigla Pfas, composti chimici ‘perenni’ che si accumulano nell’ambiente e negli organismi diversi. Secondo un’analisi, vietare le sostanze chimiche più pericolose comporterebbe un risparmio per i sistemi sanitari di 11-31 miliardi di euro l’anno, decisamente superiore ai costi che dovrebbe sopportare l’industria chimica per allineare i suoi processi produttivi alle nuove regole (0,9-2,7 miliardi di euro l’anno).
Nonostante questo, l’aggiornamento della normativa Reach è slittato a causa di uno scontro tra due dipartimenti della Commissione europea che stavano lavorando sul testo: quello che si occupa di ambiente, a favore misure più restrittive, e quello deputato al mercato interno, che si opponeva. Un documento legislativo visionato dal Guardian rivela come la Commissione stia considerando tre possibili opzioni, che prevedono rispettivamente una restrizione del 50%, del 10% o dell’1% delle sostanze chimiche pericolose attualmente disponibili sul mercato.
Una fonte interna alle istituzioni europee ha dichiarato al quotidiano britannico che a Bruxelles si è creato “un cambiamento completo nell’ondata di sostegno ai consumatori e all’ambiente”, da cui nel 2020 erano nati il ‘Green Deal’ e la strategia ‘Farm to Fork’, due iniziative che, negli ultimi mesi, stanno perdendo pezzi a causa delle pressioni di vari settori industriali (agroalimentare compreso), con il sostegno di alcuni partiti politici, soprattutto di destra e centro-destra. Il già citato Partito Popolare Europeo ha proposto infatti una “moratoria regolatoria per rimandare quegli atti che aumenterebbero inutilmente i costi per le aziende … come la normativa Reach”. A queste si sono aggiunte le ingerenze di alcuni capi di stato, come il presidente Francese Emmanuel Macron e il primo ministro belga Alexander De Croo.
Le pressioni più pesanti, però, probabilmente sono arrivate dalla Germania. L’Associazione tedesca delle industrie chimiche (Vci) aveva chiesto chiesto di rimandare il divieto già nel marzo 2022 e lo scorso giugno aveva dichiarato, per bocca del suo direttore Wolfgang Grosse Entrup, che la proposta di vietare gli Pfas avrebbe effetti ‘fatali’ per l’industria tedesca. Secondo dati dell’associazione Corporate Europe Observatory, 11 operatori del settore Pfas tedesco hanno impiegato 94 lobbisti, spendendo un totale di 9 milioni di euro. A Bruxelles, 12 membri dell’industria degli Pfas hanno 72 lobbisti attivi, per una spesa annuale compresa tra i 18 e i 21 milioni di euro.
La riforma della normativa Reach era una delle priorità del vice-presidente della Commissione Frans Timmermans, che nel 2020 aveva dichiarato: “È particolarmente importante smettere di usare le sostanze chimiche più dannose nei prodotti di consumo, dai giocattoli e i prodotti per l’infanzia ai tessuti e i materiali che entrano in contatto con il nostro cibo”. Ora, però, sembra che le promesse della Commissione debbano piegarsi al volere dell’industria, insieme agli interessi e alla salute delle persone
Nota: la normativa Reach è il regolamento dell’Unione Europea del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Siamo alle solite: davanti ai soldi si prostrano tutti, anche gli annunciatori delle svolte più rivoluzionarie. sarò un pessimista, ma vedo perdenti, di fronte agli smisurati e molteplici muri di gomma elevati da politici e corporazioni, le varie Greta Thunberg che si agitano in difesa di un futuro vivibile per le nuove generazioni.
Se vogliamo fare la guerra ai PFAS, basta smettere di comprare pdelle antiaderenti e abigliamento impermeabile…
Cala la domanda, cala l’offerta.
Della serie: la responsabilità è del consumatore, mai del legislatore.
I numeri sono … “allucinanti”: ” tra 7mila e 12mila sostanze chimiche pericolose”; se fossero vietate si avrebbe un risparmio tra gli 11 e i 31 miliardi di euro (e io aggiungo, scusate se è poco, e molta sofferenza in meno per gli ammalati e le loro famiglie); la Germania (chissà gli altri!) ha speso 9 milioni di euro per l’attività lobbystica dei suoi 94 emissari.
Se la memoria non m’inganna l’UE si vantò anni fa di procedere democraticamente con una consultazione pubblica dei suoi cittadini in merito a questa problematica. Questionari lunghissimi, contenenti anche domande tecniche assolutamente impegnative per dare una risposta minimamente di senso e poi … questo è il risultato? Si afferma chi ha più denaro e potere (non solo politico ovviamente, ma anche economico, mediatico, finanziario).
È proprio vero che la vera rivoluzione è nelle mani dei consumatori ma purtroppo questa verità è finita in uno spot pubblicitario ed ha perso un pò di valore. Forse, con scopo diametralmente opposto, si dovrebbe usare la stessa tecnica della destra….terrorizzare le persone affinché non comprano più certi prodotti…..ed informare, informare, informare.
Terribile, vincono ancora le lobby
Le multinazionali della chimica sono molto più potenti degli stati ormai e agli stati poco importa della salute dei propri cittadini. Ormai il business è sopra ogni cosa e chi se lo può permettere e aggiungo informato cambia zona abitativa o si fa curare privatamente.