I consumatori britannici sono sempre più preoccupati per la shrinkflation, un fenomeno ben noto anche in Italia, dove prende il nome di sgrammatura. Il neologismo contiene due parole, shrink, cioè restringimento, e inflation, inflazione, e indica la tendenza a mettere in vendita confezioni di prodotti che, a parità di prezzo o con lievi aumenti rispetto alle versioni precedenti, pesano di meno o contengono porzioni più piccole. Quindi costano di più al chilo o al litro.
Le prime avvisaglie, che riguardavano solo pochi prodotti, spesso presentati con una riformulazione del packaging per essere meno evidenti, sono comparse alla ripresa dell’inflazione dopo la pandemia e all’inizio della crisi alimentare scatenata dalla guerra in Ucraina, ma il fenomeno si è poi esteso a moltissimi prodotti e alla maggior parte dei Paesi più industrializzati: è diventato, insomma, troppo palese per non essere notato anche dai consumatori più distratti. I quali, nel Regno Unito come altrove, stanno reagendo in modo abbastanza omogeneo, e cioè abbandonando i produttori che praticano la sgrammtura (da cui si sentono anche ingannati) a favore di altri che propongono prodotti simili, ma con un migliore rapporto qualità-prezzo.
E il fatto non stupisce anche per altri motivi: secondo un’indagine di Barclays citata FoodNavigator, l’88% dei consumatori è preoccupato per l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e due terzi (il 65%) hanno notato l’alleggerimento delle confezioni, che secondo quasi tutti (l’83%) è a dir poco preoccupante. Sempre secondo un campione di cittadini, i prodotti in cui il fenomeno è più presente sono il cioccolato, indicato dal 50% come alimento più soggetto a shrinkflation, seguito dalle patatine (40%), dai pacchi di biscotti (39%) e dagli snack in barretta (20%). La consapevolezza quindi c’è e si tramuta in cambiamenti nel comportamento, dal momento che il 63% del campione afferma di cercare costantemente il modo per spendere di meno quando fa la spesa, optando per prodotti sostitutivi di quelli che diminuiscono le quantità: il 20% ha già lasciato i vecchi marchi per rivolgersi ad altri più convenienti.
Il Regno Unito sta vivendo una vera crisi economica e anche se non è ancora tecnicamente in recessione, la sua economia è ferma e l’inflazione molto alta. Ciò porta un numero crescente di persone (il 41% del totale) a ricorrere a coupon, buoni e promozioni per acquistare i generi di prima necessità e negli ultimi due-tre anni ha spinto poco meno di una persona su tre ad aumentare la proporzione di alimenti surgelati, che permettono di ridurre lo spreco. Per questo la maggior parte dei consumatori presta molta più attenzione ai prezzi, evitando i prodotti che sono diventati vistosamente più costosi e rinunciando a ciò che non è indispensabile, come si vede anche dagli aumenti molto piccoli nelle vendite registrati dal settore dei beni non essenziali (solo il 3%) e dal fatto che un intervistato su due ammette di aver eliminato diverse voci dalla spesa quotidiana. Parallelamente, i ristoranti hanno avuto un calo di fatturato del 5,3% nell’ultimo mese, mentre il cibo da asporto e consegnato a domicilio sembrano essere le uniche voci in crescita, in media del 13%, sempre su base mensile.
Tutto ciò sembra essere una tendenza ormai consolidata, anche se l’inflazione sta calando rispetto a qualche mese fa, a causa del freno ai prezzi dell’energia. Ma i prezzi dei prodotti alimentari non scendono. Ciò scoraggia i consumatori e li induce a una maggiore prudenza e attenzione. Inoltre, gli effetti della sgrammatura potrebbero estendersi anche al capitale più prezioso, per un produttore o rivenditore: la fiducia dei suoi clienti, che rischiamo di diventare ex.
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Giornalista scientifica
Personalmente cerco sempre di confrontare i prezzi al chilo, al litro. E poi scelgo, tenedo conto del rapporto qualità prezzo.
Certo, si impiega un po’ di più a far la spesa e devo sempre ricordarmi gli occhiali per leggere i caratteri microscopici…
Però penso di fare il mio interesse.
Non è soltanto per il suo interesse, legittimo, ma per quello di tutti i consumatori anche per quelli che non esercitano il diritto e l’obbligo di tutelarsi. Grazie
Per una maggiore resa economica e miglioramento delle risorse sarebbe più opportuno che le confezioni diventassero più grandi, riducendo così anche il costo dell’imballaggio (confezioni più piccole = maggiore spreco di imballaggio). Il costo per quantità maggiori di prodotto deve essere minore