È passato poco più di un anno dall’invasione russa dell’Ucraina e il contraccolpo sulle filiere alimentari è evidente. Ma ciò che preoccupa di più è il futuro: i danni, al momento sono rilevanti ma ancora assorbibili (se si escludono quelli sul sistema produttivo ucraino), ma qualora la situazione dovesse prolungarsi ancora a lungo o peggiorare, per esempio per la chiusura dei corridoi che permettono il transito delle navi con i prodotti agricoli dal Mar Nero, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche.
Questa la conclusione cui giunge uno dei primi rapporti dedicati esplicitamente a ciò che è successo nel mercato dei cereali (principalmente mais e grano) e di altri prodotti agricoli, pubblicato sul Applied Economic Perspectives and Policy dai ricercatori della University of Southern California, sintetizzata da una cifra di per sé molto esplicita: il mondo, nel primo anno di guerra, ha perso 1,6 miliardi di dollari, a causa delle difficoltà nell’esportazione di cereali. L’Ucraina, infatti, è il quarto Paese al mondo per export di mais e il quinto per esportazioni di grano. Il Paese, da solo, ha perduto quasi 859 milioni di dollari, pari a poco meno dell’1% del suo prodotto interno lordo (Pil), perché la sua economia dipende in larga misura dall’export di cereali, mentre la Russia, per il momento, essendo molto meno legata a quell’unica voce, non essendo stata attaccata sul suo territorio e potendo anche contare sulle sue materie prime e su un apprezzamento del rublo, ha perso solo 3,8 milioni di dollari.
Per quanto riguarda il mercato asiatico (escluse la Cina che da sola ha perso 133 milioni di dollari, Giappone e India), cui era ed è destinata una parte rilevante dei cerali ucraini, la stima è di -573 milioni di dollari, mentre per l’Europa (Turchia compresa) il danno è stato di quasi 138 milioni di dollari. Alcuni Paesi, al contrario, hanno avuto un beneficio dal riorientamento dei mercati, perché hanno aumentato le loro esportazioni e ampliato le aree commerciali: tra questi l’India, che nel primo anno ha guadagnato 171 milioni in più, il Canada (+32 milioni) e l’America Latina (+25) mentre gli Stati Uniti, pur essendo grandi produttori, hanno perduto 28 milioni di dollari.
L’impatto sul Pil globale – scrivono poi i ricercatori – sarebbe stato ancora più grave (di ulteriori 590 milioni), se non ci fosse stato l’accordo per lasciar transitare le navi nel Mar Nero. Questo, tuttavia, è scaduto a metà marzo, e per il momento è stato prolungato solo di poche settimane, fino a metà maggio: una precarietà che preoccupa molto, anche perché la Russia ha già minacciato di non rinnovarlo.
Se poi si osservano i numeri dell’Ucraina, la devastazione è evidente. Il Paese, che è anche il primo produttore al mondo di olio di girasole, ha perso il 20-30% della produzione dell’inverno del 2021, e ovviamente i suoi coltivatori sono riusciti a seminare molto meno del solito in quello del 2022. Secondo le stime, i primi raccolti di grano del 2023 saranno decurtati del 50% e le esportazioni di cereali e altri prodotti agricoli nei prossimi mesi caleranno della stessa percentuale.
Oltre alle conseguenze su tutti i mercati dei Paesi più ricchi, gli effetti sono evidenti in quelli in via di sviluppo, molti dei quali erano e sono ancora quasi del tutto dipendenti dall’Ucraina e dalla Russia per il proprio sostentamento a prezzi accessibili. Anche per questo si temono conseguenze ancora peggiori, con possibili nuove ondate migratorie, se la situazione dovesse peggiorare. Oltretutto, lo studio prende in considerazione solo i cereali, ma i danni della guerra sono molto più ampi: basti pensare a ciò che è successo in campo energetico, nel commercio di minerali o nella produzione di metalli.
Il sistema globale, comunque, ha assorbito relativamente bene le conseguenze della guerra. Tuttavia, secondo gli autori, si tratta di un equilibrio molto precario, che non potrà reggere ancora a lungo, proprio perché le filiere sono interconnesse e le falle dei diversi punti nodali non sono contrastabili per periodi di tempo prolungati. In caso di grave deterioramento, però, anche i numeri della Russia sarebbero molto peggiori di quelli attuali. E questa potrebbe essere una motivazione sufficiente per indurre Vladimir Putin a non danneggiare ulteriormente le filiere alimentari.
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Giornalista scientifica
E chissà se questa guerra finirà…….!!!!Non esistono più i presupposti affinche i idue Presidenti si siedano intorno a un tavolo x discuterne .. La vedo dura..ma si spera sempre … E nel frattempo hanno pagato con la propria vita tanti bimbi ucraini insieme al loro popolo e ai loro soldati, ucraini e russi ,pagano le filiere agroalimentari del mondo e dulcis in fundo paghiamo anche noi. .La domanda che vorrei fare ai due Presidenti :”Ma cosa pensate di aver ottenuto fin adesso???
La guerra in Ucraina sta costando oltre l’immaginabile, sempre troppo da ogni punto di vista, come tutte le guerre. In termini di vite umane è un atroce controsenso pensare a quanti sforzi tutto il mondo ha fatto per sopravvivere al Covid e ora ci si ammazza con bombe e fucili; in termini ambientali, mentre fermiamo le automobili di vecchia data per non inquinare, volano aerei da guerra e razzi, ci sono esplosioni e incendi che mandano in atmosfera quantità enormi di sostanze tossiche; acque e terreni devastati da armi chimiche saranno inutilizzabili per molti anni, per molte generazioni; in termini economici… ops… forse qui c’è qualche settore che non si dispera: la grande industria delle armi, il grande settore della ricostruzione, con tutto l’indotto che ne deriva. Noi possiamo pure piangere insieme ai bambini terrorizzati o mutilati o resi orfani dalle bombe, ma gli affari non si fermano certo per quattro lacrimucce e chi ha più potere di noi chiede di non cercare soluzioni diplomatiche, ma di continuare così, guerra a oltranza! Gli affari sono affari. Che tristezza.
Non credevo che in questo millennio, in Europa, ci saremmo trovati ancora in questa situazione