Gli allevamenti di visoni, ancora una volta, sono al centro di un salto di specie che sta destando moltissima preoccupazione: quello dell’influenza aviaria, che ha colpito un allevamento in Spagna nell’ottobre 2022, passando dagli uccelli ai visoni, in cui il virus è mutato, diventando in grado di trasmettersi da visone a visone. Sembrano così concretizzarsi le peggiori previsioni degli ultimi mesi, rafforzate anche da un’altra segnalazione dello stesso periodo che ha appena trovato conferma: la trasmissione di un ceppo di aviaria in un gatto, questa volta in Francia, certificato dall’Agenzia nazionale francese per la sicurezza alimentare (Anses).
L’influenza aviaria ad alta patogenicità, nell’ultimo anno, ha provocato, solo in Europa, la soppressione di oltre 50 milioni di animali e, soprattutto, non ha seguito il decorso stagionale, che di solito la vedeva quasi scomparire nei mesi estivi. Questa volta, non se n’è mai andata. E, come si temeva, ha compiuto il salto di specie (o spillover) in un allevamento di mammiferi, i visoni, indicati da tempo come specie ideale per la ricombinazione di ceppi virali, essendo suscettibili sia ai virus dell’influenza aviaria che a quelli dell’influenza umana (oltre che al Covid).
In base a quanto riportato sulla rivista Eurosurveillance, infatti, i sospetti su una mortalità settimanale eccezionalmente alta – passata dallo 0,25% allo 0,77%, fino a raggiungere un picco del 4,3% – emersa lo scorso ottobre in un allevamento della Galizia, sono stati confermati dalle analisi del Laboratorio veterinario centrale del ministero spagnolo dell’Agricoltura e da Isabella Monne, dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (IZSVe), centro di riferimento europeo per l’influenza aviaria. Inoltre, è stata segnalata la presenza nel ceppo isolato, H5N1, di una mutazione, chiamata T271A, già individuata in un altro ceppo, quello responsabile della pandemia di influenza suina del 2009. Inoltre, secondo quanto riferisce Nature, sono state identificate sequenze provenienti dai gabbiani, oltre alla già citata mutazione T271A, che aumenta la probabilità di infettare i mammiferi. E anche questo suscita non poco allarme.
Il 18 ottobre, in seguito alle prime conferme, è stato ordinato l’abbattimento di oltre 52mila capi, ma nessuno si illude che la crisi sia stata scongiurata. Secondo Marion Koopmans, una degli esperti che hanno studiato l’origine di Sars-CoV-2 per conto dell’Organizzazione mondiale della sanità, “stiamo giocando con il fuoco”. Per Jeremy Farrar, ricercatore britannico esperto di malattie emergenti, “non c’è più un minuto da perdere” e bisogna sviluppare vaccini e trattamenti per ogni tipo di influenza animale.
Prima del Covid, in Europa c’erano 2.900 allevamenti di visoni, che producevano 27 milioni di pellicce all’anno; in seguito, a causa degli abbattimenti di massa associati al Covid, avvenuti soprattutto nei Paesi Bassi e in Danimarca (ne abbiamo parlato, ad esempio, in questo articolo), secondo il quotidiano spagnolo El Paìs il numero è sceso a 755, principalmente in Finlandia, Polonia, Lituania e Grecia.
L’epidemia di influenza aviaria, intanto, è arrivata anche in Sud America, dove ha mandato in terapia intensiva una bambina di nove anni dell’Ecuador, entrata in contatto con dei volatili malati, e dove ha ucciso migliaia di uccelli selvatici tra Argentina e Perù. In Spagna, i focolai dell’ultimo anno sono stati 37, con 150mila capi soppressi e alcuni lavoratori infettati, anche se non ci sono stati casi gravi nelle persone.
Per quanto riguarda il caso del gatto francese, si sarebbe infettato entrando in contatto con un vicino allevamento di anatre e, avendo sviluppato complicanze neurologiche gravi, è stato soppresso. Si tratta del primo caso francese, anche se la trasmissione dell’aviaria ai gatti era già emersa in Thailandia e in Germania nel 2006. Ma secondo l’agenzia il segnale è chiaro, e lo spillover è sempre più probabile, perché i virus influenzali in circolazione sono molti e perché quello che ha ucciso il gatto presentava riarrangiamenti genetici che rendono più facile l’infezione dei mammiferi.
In caso di pandemia, rispetto al Covid, la situazione dovrebbe esser più gestibile, perché la maggior parte delle persone ha qualche forma di immunità verso i virus influenzali e perché realizzare vaccini efficaci dovrebbe essere un procedimento relativamente rapido, soprattutto con la tecnologia a mRNA. Tuttavia, tutti gli esperti sottolineano quanto non ci sia da stare tranquilli, vista l’elevata inclinazione di questi virus, di cui si sa molto, ma non tutto, a mutare e a riassortire il patrimonio genetico, e visti i precedenti storici delle grandi pandemie influenzali e del Covid. Come ha sottolineato a Nature Wendy Puryear, virologa della statunitense Tufts University “ci muoviamo in un territorio inesplorato”.
Per quanto riguarda i visoni, secondo alcuni virologi, dopo quello che è accaduto con il Covid si sarebbero dovuti vietare definitivamente gli allevamenti di questi animali, suscettibili a virus di origine diversa e terreno ideale per un rimescolamenti e insorgenza di nuove mutazioni. Oltretutto, si tratta di animali importanti solo nel mercato del lusso, cui si dovrebbe definitivamente rinunciare (aiutando i produttori a riconvertire le loro attività). Non a caso, le drammatiche soppressioni del Nord Europa sono state efficaci, dal punto di vista della trasmissione di Sars-CoV-2. Secondo altri è comunque indispensabile introdurre misure di allevamento e di controllo molto più severe di quelle attuali, per evitare che nascano focolai da cui origini un salto di specie verso gli esseri umani. “Un virus influenzale capace di causare lo spillover nei mammiferi va fermato prima che diventi un problema per la sanità pubblica” ha commentato infine Isabella Monne.
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Giornalista scientifica
Dall’articolo:
“Prima del Covid, in Europa c’erano 2.900 allevamenti di visoni, che producevano 27 milioni di pellicce all’anno; in seguito, …. secondo il quotidiano spagnolo El Paìs il numero è sceso a 755, principalmente in Finlandia, Polonia, Lituania e Grecia.
Ma si allevano ancora i visoni da pelliccia?!?
Ma chi usa più le pellicce???
Eh si purtroppo, il mercato delle pellicce è sempre rimasto e ci sono parecchie “Signore/ine” che incrementano le vendite con le loro richieste. Non stupisce comunque, i cappucci dei famosi giacconi sportivi vengono venduti per la maggior parte in pelliccia (non di visoni ma pur sempre pelliccia) e rarissimi sono quelli in pelliccia sintetica sia su richiesta maschile che femminile.
Ma con il Covid non si era deciso di eliminare definitivamente l’allevamento dei visoni?
Credo sia giunto il tempo di chiudere tutti, in tutto il mondo – e per sempre – gli allevamenti di animali da pelliccia.
Le pellicce sintetiche ormai sostituiscono in modo egregio quelle vere.