Sempre più sotto attacco per l’impronta ambientale a essi associata, gli allevamenti cercano di diventare più sostenibili, con soluzioni di diverso tipo, una delle quali è stata appena presentata su iScience. I ricercatori della Southwest Jiaotong University cinese hanno infatti inventato dei dispositivi wireless indossabili per il monitoraggio delle funzioni vitali degli animali – nello specifico delle mucche – e delle condizioni ambientali alimentati dal movimento, e quindi a impatto zero.
I dispositivi, da mettere sul collo e sulle caviglie dei bovini, raccolgono in tempo reale una serie di dati relativi alla temperatura, al movimento, alla concentrazione di ossigeno e di umidità nell’atmosfera, ai cicli riproduttivi, alla produzione di latte, al moto giornaliero, alle malattie e altro ancora. Le informazioni sono quindi trasmesse a un ricevitore che le invia a un computer e, a quel punto, sono sistematizzate e impiegate per ottimizzare il funzionamento dell’allevamento e il benessere degli animali, in un ciclo tipico da Internet delle cose. Come sottolineano gli autori, l’energia cinetica è ovunque, perché associata a qualunque tipo di movimento, ma fino a oggi non è stata sfruttata se non in minima parte, pur essendo a costo zero o quasi, ma applicazioni come quella dell’allevamento smart potrebbero trarre un grande impulso da questo tipo di alimentazione.
Indicazioni altrettanto importanti, ma di tipo diverso, giungono poi da una grande metanalisi effettuata su un tema che, negli ultimi anni, ha subito una accelerazione evidente: quello della mitigazione delle emissioni di metano da parte degli animali. Nel 2019, il metano proveniente dagli allevamenti ha rappresentato il 39% del totale di quello immesso in atmosfera, e secondo tutti gli studi è indispensabile abbatterne la quantità, se si vuole realmente cercare di intervenire sui gas serra. Ma quanto si sa delle molte soluzioni proposte?
Per rispondere, i ricercatori dell’Università statale della Pennsylvania e dell’International Livestock Research Institute di Nairobi, in Kenya, hanno analizzato 425 studi pubblicati tra il 1964 e il 2018, suddividendo gli interventi in tre categorie principali, alimentazione e gestione degli animali, formulazione della dieta e modifiche nel rumine. Ogni categoria è stata suddivisa, a sua volta, in cinque sottogruppi, per un totale di quasi 100 interventi analizzati, con i relativi effetti su tutti i principali parametri associati tanto alle emissioni quanto alla produzione e al benessere animale.
Le strategie più efficaci sono risultate essere gli inibitori del metano come le alghe, i nitrati, gli oli vegetali e i semi oleosi, e i foraggi tanniferi. Tuttavia, ciascuna delle soluzioni presenta alcuni limiti, o informazioni insufficienti. Così, un eccesso di oli può influenzare negativamente l’assunzione di mangime, la funzione del rumine e le prestazioni degli animali, in particolare nelle vacche da latte. I nitrati, dal canto loro, suscitano qualche preoccupazione per la salute degli animali, anche se diminuiscono effettivamente di un terzo le emissioni di metano senza conseguenze sulla produzione di latte, sulla quantità di cibo consumato o sul peso. Piuttosto, esistono valori soglia oltre i quali la mitigazione delle emissioni diminuisce. Una situazione simile è quella dell’alga Asparagopsis taxiformis, che riduce sensibilmente il metano, ma sulla quale sono necessari ulteriori studi, in particolare sull’efficacia a lungo termine, e sugli effetti sulla produzione di latte e sulla salute degli animali. I tannini e i foraggi tanniferi, infine, possono avere un effetto negativo sulla digeribilità dei nutrienti e comunque, anche per essi, mancano dati a lungo termine con animali ad alte prestazioni.
Il quadro che ne emerge è comunque quello di un settore in evoluzione, nel quale si stanno facendo sforzi significativi per rendere più sostenibili gli allevamenti: anche se restano da chiarire molti aspetti, i segnali di un cambiamento sono evidenti.
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Giornalista scientifica