L’Europa deve decidere come regolamentare le nuove tecniche di miglioramento genico delle piante: valutare il prodotto ottenuto indipendentemente dal metodo usato, come chiedono molti scienziati, oppure sulla base della tecnica impiegata, come si fa ora, e considerarle Ogm? Mentre le discussioni proseguono a Bruxelles e in tutta l’UE, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare fa un passo avanti verso la regolamentazione dei cosiddetti nuovi Ogm pubblicando i criteri richiesti dalla Commissione europea per la valutazione del rischio delle varietà prodotte attraverso tre tecniche utilizzate per alterare, rimuovere o introdurre DNA in un organismo: mutagenesi sito-specifica, cisgenesi e intragenesi.
La ragione per cui non è stato ancora deciso come regolamentare le piante ottenute con le nuove tecniche genomiche è dovuta al fatto che alcune di esse presentano solo piccole variazioni, che possono presentarsi anche in natura o essere ottenute anche con tecniche tradizionali, mentre altre contengono modifiche estese, simili a quelle degli Ogm ‘classici’. La mutagenesi sito-specifica, ad esempio, comprende un insieme di tecniche utilizzate per indurre una mutazione specifica in posizioni precise del genoma di un organismo, senza inserire materiale genetico estraneo. La cisgenesi e l’intragenesi, invece, permettono di modificare il genoma di un organismo con DNA della stessa specie o di una strettamente correlata: nel primo caso viene inserita una copia esatta della sequenza di DNA di interesse, nel secondo si utilizza una combinazione di diverse sequenze riarrangiate.
Per valutare il rischio correlato alla coltivazione e al consumo di piante ottenute con queste tre tecniche l’Efsa propone sei criteri, quattro dei quali relativi alla caratterizzazione molecolare della modificazione genetica introdotta: (1) nella pianta è stata inserito del DNA estraneo? (2) Da dove proviene il DNA inserito? (3) In che modo e dove è stata integrata la sequenza nel genoma? (4) La modifica ha avuto conseguenze negative sul DNA della pianta, ‘spezzando’ a metà altri geni? Se analizzando questi quattro punti non vengono identificate conseguenze negative o rischi particolari, si passa agli ultimi due punti. In primo luogo, (5) si verifica se la sequenza modificata ha già una storia d’uso, come la presenza in natura in altre specie o in altre varietà già autorizzate in Europa o altrove. In caso contrario struttura e funzioni della sequenza di DNA modificata devono essere attentamente valutate. Tutti i criteri si applicano alla cisgenesi e all’intragenesi, mentre per la mutagenesi sito-specifica, che non inserisce materiale genetico estraneo, si saltano i primi quattro punti e si fa riferimento solo agli ultimi due.
L’Efsa ha elaborato questi criteri su richiesta della Commissione europea, basandosi su opinioni scientifiche precedenti sulla valutazione delle piante Ogm e di quelle ottenute mediante le nuove biotecnologie. Questo documento sarà un nuovo tassello nel lavoro della Commissione europea per arrivare a una regolamentazione di queste nuove varietà.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.