Fonte di proteine animali alternativa alla carne e recentemente riabilitate dal punto di vista salutistico, le uova rappresentano da sempre un must nel frigorifero degli italiani. Oggi però, come dimostra l’ultimo report di Ismea, la loro vendita è rallentata e non solo rispetto al 2020. Le ragioni di questa crisi sono diverse e sono state affrontate nell’ambito del Poultry Forum di Rimini, conclusosi lo scorso 6 maggio. Nel 2019 l’Italia era il quarto produttore europeo di uova (12,3 miliardi l’anno), dopo Francia, Germania e Spagna, con un consumo pro capite di 210 unità. Il trend positivo è continuato anche l’anno successivo quando, durante il primo lockdown, il consumo pro capite ha raggiunto il record delle 219 unità. Negli ultimi tempi si è però registrato un ulteriore calo dei consumi che preoccupa i produttori.
Dopo il boom dell’anno precedente, la contrazione nel 2021 (-9,5%) era prevista. In seguito a un periodo di costrizione domestica, con molto tempo da trascorrere ai fornelli, il ritorno alla normalità, con la ripresa della vita fuori casa, ha infatti comportato una riduzione fisiologica di molti consumi. Anzi, confrontando i dati del 2021 direttamente con quelli del 2019, si osserva addirittura una lieve crescita. L’aspetto non prevedibile è la flessione, seppur limitata rispetto ad altri prodotti agroalimentari, registrata nei primi mesi del 2022. Secondo il rapporto Ismea, infatti, anche il settore avicunicolo subisce i contraccolpi dei rincari dovuti al conflitto tra Russia e Ucraina, da quelli nel comparto energetico e dei trasporti a quelli, ancora più significativi, dei mangimi d’importazione a base di cereali. A questi fattori si aggiungono l’aumento della domanda cinese di mais e soia e la contrazione dell’offerta dovuta alle restrizioni imposte per i focolai di influenza aviaria.
Se confrontiamo i dati del primo trimestre del 2022 con quelli relativi allo stesso periodo del 2021 il calo delle vendite è del 4-5%. “È la concomitanza temporale tra calo delle vendite e aumento dei costi di produzione nell’attuale contesto a preoccupare chi opera nel settore, soprattutto perché – fa notare il direttore di Assoavi (Associazione nazionale allevatori e produttori avicunicoli) Stefano Gagliardi, – lo scenario quotidiano non vede imminenti cambiamenti di orizzonte e, anche se si stanno pianificando acquisti di materie prima da Paesi diversi rispetto agli esportatori tradizionali, i prezzi rischiano di restare alti almeno fino alla prossima primavera”.
Secondo il rapporto Ismea la produzione delle uova è tra le più colpite dall’attuale congiuntura economica sfavorevole. Infatti, mentre il comparto delle carni può contare su una domanda dinamica, che permette di trasferire gradualmente ‘a valle’ l’inasprimento dei costi ‘a monte’ della produzione, questo non sta avvenendo nel segmento delle uova e il loro prezzo sugli scaffali dei supermercati non è aumentato in misura proporzionale ai costi di produzione (cresciuti del 50% circa rispetto all’inizio del 2021). La crescente attenzione dei consumatori per il benessere animale sta inoltre gradualmente indirizzando gli acquisti verso uova prodotte in allevamenti più sostenibili e rispettosi delle galline. A diminuire maggiormente è quindi la vendita delle uova provenienti da allevamenti in gabbie arricchite (23% delle uova in commercio), mentre tiene la domanda di quelle bio (10% del totale) e provenienti da galline allevate all’aperto (3%).
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