Il latte e i suoi derivati possono essere compresi nella dieta dei vegetariani. La questione però si complica quando si tratta di formaggi. Per definizione, infatti, il formaggio è prodotto mediante un processo di coagulazione del latte che, per essere attivato, ha bisogno dell’aggiunta di caglio. La sostanza che agisce come coagulante, e che consente quindi la separazione delle proteine e dei grassi del latte dal siero, è la chimosina, ricavata generalmente da una parte dello stomaco dei vitelli (o per alcuni formaggi degli agnelli e dei capretti) dopo la macellazione. Perché avvenga la coagulazione, però, non è strettamente necessario l’uso del caglio animale, questo infatti può essere sostituito da due soluzioni alternative: il caglio microbico, realizzato con muffe in grado di produrre chimosina, e il caglio vegetale. Tra i due, il più diffuso è sicuramente il primo, poiché è molto economico e può essere impiegato per diverse produzioni. Per questo motivo la maggior parte dei formaggi industriali che non utilizzano il caglio animale lo sostituiscono con quello microbico.
L’impiego del caglio vegetale è invece più raro e riservato a produzioni tipiche e tradizionali. La materia prima maggiormente utilizzata per realizzarlo è l’estratto acquoso dei fiori essiccati del cardo selvatico (Cynara cardunculus). Si tratta di un sistema molto antico, probabilmente precedente al caglio animale, e oggi recuperato anche laddove era stato abbandonato, proprio per venire incontro alle richieste dei vegetariani o ‘flexitariani’ (persone che vogliono ridurre il consumo di alimenti collegati alla morte di animali). Il suo limite è che l’uso può determinare complicazioni in fase di produzione, come la riduzione della resa o la formazione di difetti legati al gusto e alla consistenza del prodotto. Esistono naturalmente anche altri vegetali in grado di indurre la coagulazione nel latte, come il fico, il cui lattice dei rami è tradizionalmente impiegato nella provincia di Taranto per la preparazione del cacioricotta.
Viste le difficoltà in termini di resa, l’uso di cagli vegetali ammesso nelle produzioni casearie tipiche resta molto limitato. Fanno eccezione il Pecorino delle Balze Volterrane Dop, un prodotto toscano realizzato esclusivamente con il caglio vegetale e, dall’ottobre 2020, il Formaggio Asiago Dop, che ha apportato alcune modifiche al disciplinare, per cui si prevede la possibilità di utilizzare caglio non animale, recuperando così un’antica tradizione. Era infatti con questo tipo di caglio che si produceva formaggio nella zona dell’Altopiano di Asiago, dove vi era produzione di formaggio fin da tempi antichi, come attestato da recenti scavi archeologici dell’Università di Padova, che hanno evidenziato un’attività casearia precedente al 1.200 A.C. Tra i formaggi regionali a caglio vegetale ci sono poi altre produzioni tipiche che non hanno la Dop, come il Casu Perutu della Campania e il Caciofiore (di quest’ultimo esiste sia l’Aquilano, sia quello della Campagna romana).
Nonostante qualche difficoltà, tra i formaggi che si possono acquistare al supermercato, oggi non mancano quindi quelli che utilizzano cagli diversi da quello animale. Si tratta soprattutto di mozzarelle e di prodotti freschi non tipici, di aziende molto attive all’estero, dove la richiesta è maggiore. Questi riportano generalmente la dicitura “Adatto ai vegetariani”. Non sempre però tale dichiarazione è ritenuta sufficiente. “Il fatto di non utilizzare il caglio animale – precisa Carmen Nicchi, presidente dell’Associazione Vegetariana Italiana – non significa che si tratti veramente di prodotti adatti ai vegetariani. Perché un formaggio possa essere consumato da un vegetariano, deve offrire delle garanzie anche per quanto riguarda il benessere degli animali. Le mucche devono essere allevate in maniera rispettosa e sostenibile ed è per garantire il rispetto di tali principi che abbiamo realizzato la VLabel, un’etichetta con una V verde su campo giallo, che prevede controlli e disciplinari precisi ed è oggi il marchio vegetariano e vegano più riconosciuto a livello mondiale”.
L’etichetta, creata in Italia negli anni ’70, ha visto un’esplosione a partire dagli anni 2000 ed è oggi proposta in tre diverse modalità: per prodotti vegetariani, per prodotti vegani e per prodotti vegano-crudisti. L’uso più vasto è probabilmente nell’ambito dei prodotti vegani, rispetto ai quali può essere a volte particolarmente difficile, senza un ente di controllo, stabilire se effettivamente il prodotto sia realizzato senza sfruttare in alcun modo gli animali. Per quanto riguarda i formaggi, in assenza di una soddisfacente etichettatura unificata sul benessere animale, si tratta di un utile contributo per chi intende consumare alimenti non provenienti da allevamenti intensivi.
© Riproduzione riservata; Foto: Fotolia, AdobeStock, Consorzio Formaggio Asiago Dop, sito VLabel
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Va ricordato che generalmente la chimosina utilizzata per la coagulazione del latte nei formaggi non biologici e non a denominazione protetta è derivata da OGM (la denominazione legale sarebbe “enzima coagulante: chimosina”, viene chiamata anche “chimosina microbica da DNA ricombinante” o “chimosina genetica”), che non è tuttavia identificata come tale in elenco ingredienti.
Vedere il decreto ministeriale 2 dicembre 1991 n.446 (Regolamento concernente le modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’impiego delle preparazioni dell’enzima chimosina ottenute da microrganismi geneticamente modificati nella coagulazione del latte destinato alla produzione di formaggi).
Eresia!
Non chiamateli formaggi perché non lo sono!