La cucina si fa sempre più sperimentale e gli ingredienti diventano sempre più bizzarri, come ci insegna MasterChef. Mentre gli insetti si apprestano ad approdare anche sulle nostre tavole, nei ristoranti sono arrivati i licheni. Ne parla Giovanni Ballarini, in un articolo pubblicato su Georgofili.info.
Non è una novità che in alcuni ristoranti italiani si usano i licheni, seguendo una tendenza nordica verso una cucina del cibo selvatico, nobilitato con il temine di foraging, e venuta di moda con il ristorante danese Noma di René Redzepi. Per foraging s’intende la raccolta in ambienti naturali di vegetali interi o parti di essi, ritenuti commestibili e adatti al nutrimento. Un tempo questa era un’attività normale, se non necessaria per coloro che non avevano altra scelta per mangiare, oggi è a volte quasi edonistica e di appassionati della natura e del cibo naturale. Questa tendenza comincia a fare proseliti in Italia anche attraverso Wood*ing – wild food lab, laboratorio di ricerca e sperimentazione sull’utilizzo del cibo selvatico per l’alimentazione e la nutrizione umana. Ci si dimentica però a volte che il foraging non è una banale raccolta di prodotti spontanei ma deve rispettare precisi criteri di scelta in grado di non danneggiare l’ambiente e che usando come alimento i vegetali selvatici, necessita di profonde sapienze tradizionali, da integrare con conoscenze botaniche e tossicologiche.
Accanto ai tradizionali funghi e tartufi, oggi si stanno riscoprendo molte erbe, bacche e non ultimi muschi e soprattutto i licheni con i loro sapori, aromi e profumi inusuali. Più che per le loro caratteristiche nutrizionali ora i licheni, non facili da usare nelle cucine domestiche, sono utilizzati dai grandi cuochi per dare ai loro piatti proprietà organolettiche con sensazioni che ricordano aromi e profumi di sottobosco a piatti di carne, in particolar modo cacciagione, certi tipi di pesce e talune verdure, in alcuni casi arrivando ai dolci, che si avvantaggiano di aromi del bosco, vantando in questi casi di far rivivere non controllabili sensazioni ancestrali.
Funghi e tartufi sono tra gli organismi vegetali più antichi comparsi sulla Terra, seguiti dai licheni, derivati dall’associazione di un fungo con un cianobatterio o un’alga che convivono traendo reciproco vantaggio. Il fungo sopravvive grazie ai composti organici prodotti dalla fotosintesi del cianobatterio o dell’alga, mentre quest’ultima riceve in cambio protezione, sali minerali ed acqua. Il vantaggio di questa associazione è così grande che permette ai licheni di vivere in condizioni estreme e di sopportare e concentrare anche composti tossici pericolosi, come dimostra il disastro di Chernobyl del 1986, quando i licheni nel nord della Scandinavia di cui si nutrono le renne accumularono tanta radioattività da rendere le loro carni pericolose per il consumo umano. Per questo motivo i licheni sono oggi utilizzati per il controllo dell’inquinamento ambientale soprattutto da elementi tossici o nocivi (cadmio, cromo, rame, piombo, manganese, nichel e zinco), mettendo anche in evidenza un rischio di cancro a causa del consumo di licheni come pane (1).
Come per i funghi, e si può dire lo stesso quasi per ogni altro vegetale, anche tra i licheni ve ne sono di buoni e di cattivi, e questo in relazione alle condizioni ambientali, come se ne sono accorti animali e uomini, stabilendo anche complicati rapporti. Molti animali ruminanti, ordinatamente o occasionalmente, si nutrono di licheni: varie specie di cervi, l’antilocapra, la capra delle nevi, l’alce e soprattutto le renne. I Sami o Lapponi, popolo delle renne, non mangiano i licheni di cui si nutrono invece i loro animali, in particolare la Cladonia rangiferina, un lichene in grado di sintetizzare vitamina D2 e D3. I Lapponi, mangiando le carni delle renne che si sono nutrite di lichene, si arricchiscono di vitamina D a loro necessaria. Inoltre, consumano il contenuto dei prestomaci, dove i licheni sono divenuti commestibili per le fermentazioni ruminali.
Oggi la scienza si interessa dei licheni perché sono ritenuti una fonte non sfruttata di attività biologiche di importanza industriale e con un potenziale ancora da esplorare e utilizzare per i loro composti bioattivi, molto promettenti per le applicazioni biofarmaceutiche come agenti antimicrobici, antiossidanti e citotossici e per lo sviluppo di nuove formulazioni o tecnologie a beneficio della vita umana (2).
Per quanto riguarda la sicurezza dei licheni in alimentazione umana, analogamente a quanto avviene per i funghi, bisogna considerare l’estrema varietà di specie e di ambienti di crescita e quindi usare una certa attenzione. Non bisogna però dimenticare che, contrariamente ai funghi, i licheni in cucina (salvo quando sono usati per fare il pane dove si sfrutta le caratteristiche gelatinose della loro carragenina) quasi sempre sono usati occasionalmente, come aromatizzanti e in piccole quantità e soprattutto dopo una cottura che sembra eliminare gli acidi lichenico e usnico.
Note
- Murat Topal, E Işıl Arslan Topal, Erdal Öbek, Ali Aslan – Potential human health risks of toxic/harmful elements by consumption of Pseudevernia furfuracea – Int J Environ Health Res – 10, 1-8, 2021
- Vasudeo P. Zambare, Lew P Christopher – Biopharmaceutical potential of lichens – Pharm Biol, 50 (6),778-98, 2012
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
Mah, io sapevo che i licheni sono così coriacei che solo le renne riescono a nutrirsene…
Se poi per renderli fruibili per l’uomo bisogna lavorarli parecchio, si entra nel campo dei cibi “ultratrasformati” che tanto vengono demonizzati.