Quando si parla di obesità e sovrappeso, molti studi internazionali evidenziano come negli ultimi 40 anni ci sia stato un aumento del fenomeno tale da poter usare le espressioni ‘epidemia’ ed emergenza. Anche se non stiamo parlando di una malattia contagiosa, si tratta comunque di un fenomeno in crescita esponenziale che, nel periodo preso in considerazione, è più che raddoppiato. Ne deriva un’emergenza sanitaria, visto che l’obesità costituisce un fattore di rischio per molte altre malattie e che l’aumento della sua prevalenza, soprattutto nella fase giovanile, è particolarmente preoccupante.
L’Italia risulta ai primi posti in Europa per quanto riguarda la percentuale di bambini obesi o in eccesso ponderale. I dati raccolti tramite il sistema di sorveglianza di Epicentro OKkio alla Salute evidenziano che, nel 2019, un bambino italiano su tre era in sovrappeso o obeso. Più nel dettaglio, nell’ultima edizione della rilevazione, in tutta Italia sono stati presi in considerazione oltre 50 mila bambini e bambine della terza classe della scuola primaria. Quelli giudicati in sovrappeso sono complessivamente il 20,4%, mentre gli obesi rappresentano il 9,4%, con una lieve prevalenza dei maschi in quest’ultima fascia.
Si evidenzia però una notevole differenza geografica all’interno della Penisola. Sono soprattutto le regioni del sud del Paese ad avere i valori più elevati, con quote doppie e a volte anche triple rispetto a quelle del nord. Il picco più basso si registra in Valle d’Aosta, con il 14%, mentre quello più alto è in Campania, con il 44,2%. Un altro aspetto significativo riguarda la maggiore incidenza del problema nelle fasce socioeconomiche più svantaggiate, e tra i bambini allattati al seno per meno di un mese o con genitori in sovrappeso. Particolarmente significativo è anche il dato riguardante la percezione materna. Come già visto in altre occasioni, anche in questo caso si riscontra una ridotta consapevolezza da parte delle madri dei bambini con eccesso ponderale. Anzi, il 40,3% di loro percepisce i propri figli come sotto-normopeso e quasi il 70% ritiene che non mangino quantità di cibo eccessive.
Il ruolo e la consapevolezza dei genitori risultano particolarmente importanti, perché sono determinanti nell’incoraggiare stili di vita sani. Tra gli indicatori relativi agli stili di vita presi in considerazione dalla ricerca spiccano infatti l’abitudine a fare un’adeguata colazione, quella della merenda di metà mattina, l’attività fisica, il tempo passato davanti agli schermi, il consumo di bevande zuccherate e quello di frutta e verdura. In quest’analisi vediamo che, negli ultimi dieci anni, la maggior parte degli aspetti considerati è rimasta pressoché invariata, ma qualche indicatore mostra un miglioramento.
Resta più o meno uguale la quota di bambini che non mangiano frutta e verdura ogni giorno (23/24%) e quella di coloro che non fanno colazione al mattino (circa 10%). Lo stesso vale per i bambini che vanno a scuola a piedi o in bicicletta, che da dieci anni sono sempre circa un quarto del campione. Si registra invece un miglioramento nella riduzione dell’abitudine di fare un’abbondante merenda di metà mattina, che passa dall’82% al 55%, o in quella di bere quotidianamente bevande zuccherate o gassate, che scende dal 41 al 25%. Diminuiscono inoltre, anche se con una quota più piccola (dal 26% al 20%), i bambini che il giorno prima della rilevazione non avevano fatto alcuna attività fisica.
Il miglioramento dei risultati relativi allo stile di vita trova conferma anche nei dati complessivi sulla rilevanza del problema. Nell’ultimo decennio si evidenzia una riduzione sia dei bambini sovrappeso (dal 23,2% al 21,4%), sia di quelli obesi (dal 12% al 9,4%). Si tratta di un piccolo segnale positivo, che sembra dimostrare l’utilità dei progetti messi in campo finora. Questi, inseriti nel programma Guadagnare Salute, contribuiscono alla presa di coscienza del fenomeno e favoriscono le azioni per promuovere la salute. Un ruolo importante ha il coinvolgimento di vari settori della società, interni ed esterni al sistema sanitario, come raccomandato dall’Unione europea e dall’Oms. I dati a disposizione fino a questo momento, però, arrivano fino al 2019, non considerano ancora gli anni della pandemia, che hanno portato significativi cambiamenti nello stile di vita di molte persone.
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