Le piantagioni di palme da olio alterano profondamente, in senso negativo, il comportamento dei primati. E questo può avere ripercussioni sulla convivenza con le persone che abitano nelle stesse zone, per tutto l’ecosistema, nonché per la stessa sopravvivenza della specie. Tra gli effetti deprecabili della coltivazione estensiva di palme da olio si deve annoverare quindi anche l’alterazione dei comportamenti sociali dei primati, stando a quanto emerso da un importante studio pubblicato su Scientific Reports e condotto sul campo, a Segari, in Malesia, dai ricercatori del Max Plank Institute tedesco e dell’Università di Lipsia, insieme a una collega della Universiti Sains Malaysia.
I primatologi hanno seguito 50 esemplari di due gruppi di macachi della specie Macaca nemestrina che vivevano nella foresta tropicale attorno alle piantagioni. Questi animali ogni giorno camminavano per tre ore per arrivare fino al cuore della coltivazione, per procurarsi cibo. Hanno così delineato tre tipi di habitat – quello della foresta, quello della zona di confine tra foresta e piantagioni, e quello delle palme da olio – rilevando significativi cambiamenti nelle abitudini sociali degli animali a seconda del luogo dove trascorrevano il tempo.
Innanzitutto, i primati all’interno piantagione erano molto più aggressivi rispetto agli altri habitat. Secondo i ricercatori, questo dipende dal fatto che quando sono protetti dalla fitta vegetazione della giungla, gli animali si sentono tranquilli e si rilassano. Quando invece sono tra le palme, dove non c’è alcun riparo, assumono uno stato di ipervigilanza che li rende più pronti ad attaccare, anche gli esseri umani. E questo, visti i rischi sempre crescenti di salti di microrganismi patogeni da una specie all’altra, è un comportamento che preoccupa; oltretutto, questi macachi entrano spesso in contatto con i coltivatori, dai quali sono ben accetti perché si nutrono di roditori, e aiutano così a controllare la piantagione.
Inoltre, più tempo trascorrevano tra le palme, meno ne dedicavano ai comportamenti sociali quali il grooming e il gioco, fondamentali per la struttura gerarchica del gruppo. Senza di essi, il gruppo tende a sgretolarsi, e questo minaccia la continuazione della specie. Allo stesso modo, le madri che restavano di più nella piantagione tendevano ad allungare il periodo di svezzamento dei figli, coccolandoli di meno. Alla lunga ciò significa che nel periodo fertile hanno meno figli, e anche questo mette a rischio la sopravvivenza della specie. Il motivo, anche in questo caso, sarebbe l’ipervigilanza indotta dalla mancanza di riparo, che riduce il tempo dedicato all’accudimento della prole, e di più al controllo del territorio.
Oltre alla perdita di biodiversità, all’eliminazione della foresta, alla contaminazione dei suoli, allo sfruttamento dei lavoratori, le grandi coltivazioni di palme da olio hanno anche un effetto preoccupante su una specie a rischio di estinzione, inserita nelle liste internazionali, e dalla quale potrebbe arrivare anche una minaccia microbiologica a causa del contatto sempre più ravvicinato con le persone. Il tutto per un prodotto che, com’è noto, non fa affatto bene alla salute umana.
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Giornalista scientifica