Nel 2016 il Parlamento canadese ha bocciato la legge S-228, lo Child Health Protection Act, con la quale si voleva introdurre il divieto di pubblicizzare il junk food in modo mirato ai bambini. Ora una dettagliata indagine ricostruisce che cosa è successo: le grandi aziende hanno esercitato un’ingombrante azione di lobbying, fino a ottenere il risultato desiderato. A raccontare tutta la vicenda, sotto forma di vero e proprio studio scientifico, è un gruppo di ricercatori dell’Università di Toronto, che ha pubblicato sulla principale rivista medica nazionale, il Canadian Journal of Medical Association, quanto ricostruito. Per capire come erano andate le cose, hanno scandagliato due grandi archivi, il “Meetings and correspondence on healthy eating” database, che contiene gli scambi ufficiali tra il Ministero della salute Health Canada e le aziende in merito ad argomenti relativi all’alimentazione, istituito nel 2016, e Canada’s Registry of Lobbyists, che registra tutte le attività ufficiali dei lobbisti. In entrambi i casi sono presenti verbali, resoconti e contatti: una fonte inesauribile di prove o quantomeno indizi di ciò che accade dietro le quinte.
In questo caso, il materiale relativo agli anni 2016-2019 è stato classificato in base alla natura di chi parlava con le autorità sanitarie: privati, non privati e misti, intervenuti a 139 congressi, 65 tentativi di esercitare un’azione di lobbying e 215 effettive attività di questo genere, più oltre 3.400 comunicazioni tipo email inerenti sia la nutrizione dei bambini che la legge S-228. Il risultato è stato evidente: in tutti i casi, la stragrande maggioranza di contatti è avvenuta per iniziativa di aziende, che hanno preso contatti nell’84,2% dei congressi, nell’81,5% delle azioni tentate, nell’83,3% di quelle andate a buon fine e nell’83,9% delle comunicazioni. Non solo: percentuali simili sono state riscontrate quando si è andato a verificare con chi parlavano i funzionari governativi ai più alti livelli, per esempio parlamentari o ministeriali: in più di otto casi sui dieci con rappresentanti delle aziende.
Per il momento non ci sono dettagli sugli argomenti trattati (che almeno in parte possono essere ricostruiti, e che dovrebbero essere oggetto di ulteriori approfondimenti da parte dello stesso gruppo), ma per gli autori è chiaro che una sproporzione così palese tra interlocutori privati e non, e contatti così frequenti con le aziende non possono che essere la dimostrazione indiretta di una pesante pressione esercitata da gruppi detentori di grandi interessi.
Tra l’altro ci sono precedenti che vanno nella stessa direzione. Nei primi mesi dell’anno i ricercatori dell’Università di Ottawa hanno dimostrato che nel 2015, quando si stava definendo quella che sarebbe diventata la Healthy Eating Strategy, resa nota nel 2016, Health Canada aveva parlato il 56% delle volte con i rappresentanti delle industrie. Per questo motivo, e per la polemica che ne era scaturita, lo stesso Health Canada aveva poi tentato di impedire l’accesso delle stesse ai lavori di elaborazione della recente Food Guide, con scarsissimo successo. Come riferiscono ancora gli autori, le aziende si erano fatte sostituire da membri dell’agenzia governativa Agriculture and Agri-Food Canada, che avevano lavorato per i loro interessi, come avevano documento diverse inchieste giornalistiche. Un altro caso di cui l’opinione pubblica era venuta a conoscenza era stata l’opposizione all’introduzione di una legge sulle etichette con indicazione, nella parte frontale, degli alti livelli eventualmente presenti di sali, zuccheri e grassi: una legge guarda caso ancora in stallo.
La questione dell’influenza delle aziende nelle decisioni relative alle politiche di salute pubblica e alimentazione è quindi sempre presente, in Canada come negli Stati Uniti e in altri paesi, e secondo gli autori è indispensabile introdurre normative molto più stringenti, chiare e che permettano ai cittadini di controllare indebite ingerenze nella definizione delle politiche che li riguardano.
Agnese Codignola
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Giornalista scientifica