In India, pubblicità martellanti su tutti i mezzi di comunicazione (televisione, radio, cartelloni, ma soprattutto social media e testimonial famosi) invitano la popolazione a consumare molto più zucchero di quanto non si faccia ora, abbandonando i dolcificanti. L’insolito invito, di cui dà conto la BBC, è stato lanciato dalla Indian Sugar Mills Association (Isma) e nasce da esigenze prettamente economiche. Il paese produce più zucchero di quanto non riesca a consumare, al punto che deve destinare una parte piccola alla produzione di etanolo per biocarburanti (nel 2020 ne sono stati prodotti 1,9 miliardi di litri).
Oggi gli indiani consumano poco zucchero rispetto al resto del mondo: il quantitativo pro capite è di 19 kg all’anno, mentre la media dei paesi più sviluppati è di 27 kg. Al tempo stesso, sono i primi sul pianeta per consumo di dolcificanti. Scopo dei produttori è dunque quello di riorientare gli acquisti, riconquistando parte di coloro che usano edulcoranti artificiali al posto dello zucchero di canna.
Ma fare pressioni affinché la popolazione assuma molto zucchero va contro tutte le linee guida internazionali, a cominciare da quelle dell’Oms, che da anni stanno cercando di farne diminuire il consumo, esploso nell’ultimo secolo e causa di enormi problemi per la salute quali obesità, diabete, malattie cardiovascolari e carie.
Nel 2015 la stessa Oms ha fissato limiti molto severi al quantitativi di zuccheri aggiunti consigliabile, che non dovrebbe superare il 10% delle calorie giornaliere, proprio per lanciare un messaggio chiaro. L’obbiettivo è difficile da raggiungere, perché lo zucchero è pervasivo nei cibi industriali, e perché nel corso degli ultimi decenni la sua concentrazione ha continuato ad aumentare, rendendo moltissime persone assuefatte a gusti sempre più dolci. Ma proprio per questo l’Oms ha definito un target che vuole soprattutto riportare il consumo nelle giuste proporzioni. E tutti i paesi cercano di andare in quella direzione.
Tutti tranne l’India, perché se l’eccesso di produzione dovesse aumentare, il paese perderebbe i sussidi internazionali, e molti dei 50 milioni di piccoli agricoltori che lavorano nei campi di canne da zucchero e dei milioni di altri lavoratori impiegati nella realizzazione del prodotto finale e nella logistica perderebbero il mezzo principale del loro sostentamento.
Si ripropone, insomma, anche in India lo scenario visto per altre coltivazioni intensive di ingredienti e nutrienti che sarebbe meglio limitare, come l’olio di palma. Seguire le indicazioni delle autorità sanitarie o i progetti che cercano di promuovere prodotti sostenibili significa, in molti casi, infliggere colpi mortali a economie già fragili, se la transizione non è gestita nel modo giusto, per esempio con il cambio della destinazione dei sussidi dalle canne da zucchero a colture alternative. Per fare tutto ciò, occorrono programmi strategici in grado di agire a diversi livelli contemporaneamente.
E in India sarebbe veramente utile farlo, visto che l’obesità, nel subcontinente, ha assunto proporzioni epidemiche, con 135 milioni di obesi, e le proiezioni sono drammatiche: non sarebbe proprio il caso di spingere la popolazione a consumare più zuccheri.
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Giornalista scientifica