Api che volano davanti alle arnie

Gli insetti impollinatori sono fondamentali per la produzione della maggioranza delle specie vegetali e quindi per l’agricoltura, ma oggi sono a rischio di estinzione. Un problema legato al degrado ambientale e alla scomparsa degli habitat naturali di questi insetti, che secondo la piattaforma intergovernativa su biodiversità e servizi ecosistemici (Ipbes) riguarda oltre il 40% delle specie, principalmente api e altri imenotteri (vespe o api selvatiche) o farfalle. Per il momento si cerca di rimediare con progetti internazionali come LIFE Biodiversità PollinAction,  della durata di cinque anni coordinato dall’Università di Venezia.

Esistono varie categorie di insetti impollinatori”, spiega Emilio Guerrieri, dirigente di ricerca presso l’istituto per la Protezione sostenibile delle piante del Cnr, “tra le più importanti gli imenotteri, quali api, vespe e simili, i ditteri quali mosche e simili e i lepidotteri ossia le farfalle diurne”. Sono però gli imenotteri a essere i principali impollinatori – approssimativamente in una percentuale intorno al 50%, seguiti rispettivamente dagli altri due gruppi al 30 e al 20% – e quindi quelli più a rischio. “La criticità è legata a  diversi fattori – spiega Guerrieri – l’uso di insetticidi ad ampio spettro di azione, il cambiamento climatico che influisce sulla quiescenza, il riposo nei mesi freddi, che possiamo paragonare al letargo e la perdita di biodiversità vegetale, cui si aggiungono altri elementi di stress come i parassiti delle api”.

Gli imenotteri sono i principali impollinatori in una percentuale intorno al 50% seguiti da mosche per il 30% e dalle farfalle 20%

Eventi che mettono in crisi un meccanismo naturale di straordinaria efficienza, che offre alle piante importanti vantaggi genetici: “Gli insetti bottinano i fiori per il nettare di cui si nutrono, e in questo modo si sporcano di polline che trasportano da pianta a pianta”, spiega Guerrieri. Tra poco questo potrebbe non essere più possibile, come mostrano dati preoccupanti sulla moria di insetti, soprattutto api, con la conseguente riduzione della produzione di miele, ma soprattutto con gravi conseguenze per le coltivazioni. “In Cina ho visto frutteti in cui i fiori di pero erano impollinati a mano da braccianti agricoli, uno per uno”, ricorda Guerrieri. “Uno scenario apocalittico che non è così lontano da noi, anche se ora anche lì si sta cercando di portare l’agricoltura verso una maggiore sostenibilità”.

Ed è in questa direzione che si muove LIFE “Biodiversità” PollinAction, coordinato dalla botanica Gabriella Buffa dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, e avviato dal mese scorso con un budget di 3,2 milioni di euro e dieci partner tra l’Italia e la Spagna. Un programma di azioni finalizzate a invertire questa tendenza, recuperando gli habitat naturali di questi insetti; “Prima di tutto i prati da sfalcio, a vegetazione spontanea e quindi ricchi di biodiversità, che una volta erano un elemento essenziale del sistema agicolo da cui si ricavava il fieno per il bestiame, ma che oggi stanno scomparendo a causa dell’urbanizzazione e di un’intensificazione dell’agricoltura”, osserva Buffa. Questi prati garantiscono fioriture prolungate, dove gli insetti possono trovare nutrimento durante tutta la stagione; i coltivi hanno invece cicli più brevi, con fioriture sincrone, come ad esempio i frutteti, o hanno diversi sistemi di impollinazione come i cereali, privando api e altri insetti della possibilità di nutrirsi.

api
L’obiettivo del progetto è di realizzare infrastrutture “verdi” che favoriscano la presenza di specie vegetali adatte agli insetti

Con quali conseguenze? “Uno degli obiettivi del progetto è di quantificare la situazione”, spiega la botanica. In Europa e in altri paesi ci sono molti dati sulla perdita di insetti, mentre della situazione italiana sappiamo poco, e anche il report europeo del 2017 sulle iniziative dei diversi stati europei a tutela degli impollinatori non menziona neppure l’Italia. Anche se ci sono forti segnali di allarme, come la notevole riduzione della produzione di miele, che nel 2019 si è praticamente dimezzata.
L’obiettivo del progetto europeo è quello di realizzare infrastrutture “verdi” che favoriscono la presenza di specie vegetali adatte agli insetti. “Lavoreremo con modalità diverse”, spiega Buffa, “in Spagna puntiamo a recuperare terreni abbandonati, mentre in Italia i nostri interventi sono concentrati in aree della Pianura Padana orientale, fortemente antropizzate e dove è diffusa l’agricoltura meccanizzata“. Nel progetto sono coinvolti sei comuni, due apicoltori in Spagna, sei aree ad agricoltura estensiva in Friuli-Venezia Giulia e il Passante di Mestre oltre ad alcune aziende agricole appartenenti al circuito di EcorNaturasì, produttore e distributore di alimenti biologici e biodinamici. “Cerchiamo di dimostrare che si può fare economia utilizzando il territorio in modo sostenibile”, spiega Buffa, “in Italia stiamo creando una filiera per valorizzare la produzione di latte e formaggio da animali alimentati col fieno ricavato dallo sfalcio dei prati, per valorizzare la competitività delle aziende agricole che mettono a disposizione il terreno per il progetto”.

In altre aree, come le scarpate del passante di Mestre, è prevista invece la realizzazione di prati, siepi e bordure fiorite: “Interventi di questo tipo sono molto diffusi in altri paesi, come la Gran Bretagna”, spiega Buffa, “e oltre a rendere più gradevole il paesaggio offrono agli insetti piccole aree attraverso le quali spostarsi“. Il progetto prevede la conversione di 200mila metri quadrati di seminativi in prati fioriti, oltre al miglioramento di 2,6 milioni di m2 di praterie esistenti, e alla realizzazione di 3,5 chilometri di siepi e di corridoi ecologici su trenta chilometri di strade.

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