Consumare alimenti prodotti vicino a casa, il cosiddetto km zero, è vantaggioso per l’ambiente, perché abbatte l’impronta associata al trasporto e allo stoccaggio. Inoltre mette al riparo dagli effetti di eventi catastrofici ed emergenze globali come la pandemia da Covid-19. Ma non è alla portata di tutti. Al contrario, meno di un abitante della Terra su tre se lo può permettere, perché le filiere sono ormai globalizzate e perché in aree vastissime non ci sono le condizioni climatiche per far crescere, per esempio i cereali o altre colture fondamentali.
L’impossibilità di creare autosufficienza alimentare per tutti emerge da uno studio condotto da alcune università australiane, statunitensi ed europee coordinate da quella di Aalto, in Finlandia, pubblicato su Nature Food. I ricercatori hanno creato un modello apposito considerando le condizioni climatiche minime per far crescere i cereali e legumi adatti ai vari climi temperati, tropicali… Hanno quindi calcolato la distanza tra colture e insediamenti umani, sia nella situazione attuale, che in un ipotetico scenario migliore, in cui lo spreco dovesse diminuire in misura significativa e i sistemi di coltivazione diventare più efficienti, ottenendo una situazione molto diversificata.
Se in Europa e Nord America i consumatori riescono ad avere la stragrande maggioranza dei cereali che consumano da fonti situate entro 500 km, a livello globale la distanza media è di 3.800 km, e supera i mille km per una percentuale di popolazione che varia dal 26 al 64%. In generale solo il 27% della popolazione mondiale ha accesso a cereali coltivati in zone temperate a meno di 100 km, valore che diventa 22% per quelli tropicali, 28% per il riso e 27% per i legumi. Per quanto riguarda il mais la percentuale scende ulteriormente, arrivando all’11%, un dato che più di ogni altro fotografa la grande concentrazione delle produzioni industriali di mais in enormi zone dedicate, mentre per i tuberi tropicali ci si ferma al 16%, per ragioni climatiche. Osservando poi la mappa dell’intera Terra preparata dagli autori, si nota come le popolazioni nella situazione peggiore che dipendono dall’importazione di alimenti essenziali siano quelle più povere e residenti nelle aree con il clima peggiore.
Per come è strutturato oggi il mercato, concludono i ricercatori, il sistema alimentare mondiale in definitiva non è in grado di assicurare l’autosufficienza a larghe fasce di popolazione. Ma migliorare la produzione locale e km zero avrebbe un sicuro impatto positivo da molteplici punti di vista, anche se in zone densamente popolate potrebbe esacerbare problemi di distribuzione e inquinamento delle acque.
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Giornalista scientifica
il km zero è possibile solo se si riduce di due terzi il numero di abitanti del pianeta. Con 8 miliardi e passa di persone non è fattibile.
concordo
Sicuramente in molte aree del mondo è impossibile l’autosufficienza, vista anche la densità delle popolazioni, quindi ben venga la globalizzazione. Però che a Milano si trovino sugli scaffali del supermercato le pere (bio) provenienti dall’Argentina o i kiwi (bio) neozelandesi, costituisce un segnale preoccupante su quanta sia la distanza dal Km0 e quanto il “mercato” sia irragionevolmente lontano dalla tutela del clima. Possibile che non si possa fare proprio nulla?
solo chi si coltiva grano , mais , ortaggi , ecc , ecc e poi se li trasforma e’ a km 0 il resto e’ pura utopia , tanto + che il consumatore che va a comperare farine o altri prodotti in cui nelle etichette sono indicati KM 0 E X IL 99% NON LO SONO chi dovrebbe controllare la filiera non controlla nulla , non parliamo poi dei mercatini di produttori campagna amica , ho saputo da persone affidabili che questi pseudo condatini a km 0 li hanno visti comperare frutta e verdure nei supermercati LD.