Gli allevamenti del futuro saranno nutriti anche con proteine provenienti non da soia, mais o mangimi animali, ma da microrganismi quali funghi, alghe e batteri, ingegnerizzati per produrre tutto ciò che è necessario per alimentare bovini, suini e pollame. Se sarà così e se anche solo il 2% del cibo (o, meglio, del quantitativo di proteine) necessario sarà di provenienza industriale, il vantaggio ambientale sarà davvero significativo: per esempio, il rilascio di gas d’azoto e in generale di gas serra diminuirà del 5% in media.
Questo lo scenario prospettato da uno studio pubblicato su Environmental Science and Technology dai ricercatori dell’Università di Posdam, in Germania, che hanno ipotizzato che cosa potrebbe succedere nel 2050 in 48 situazioni differenti, dimostrando che le proteine dei microrganismi potrebbero fornire, a livello globale, tra i 137 e i 307 milioni di tonnellate di proteine, a seconda dei sistemi di produzione e della fonte primaria, giungendo a rimpiazzare tra il 10 e il 19% dei mangimi derivati da vegetali quali la soia. Ipotizzando uno scenario medio, e cioè la sostituzione del 13% delle proteine vegetali con quelle microbiche, si potrebbe usare il 6% in meno di terreno per le coltivazioni intensive di piante da mangimi (mais, soia, colza e così via), si perderebbe l’8% in meno di azoto dalle stesse coltivazioni e si rilascerebbe nell’atmosfera il 7% in meno di gas serra.
Produrre proteine dai microrganismi è ormai alla portata di qualunque azienda che abbia la necessaria tecnologia, e permette di consumare molte meno risorse, a parte l’acqua, gli elementi essenziali quali l’azoto o il carbonio, e l’energia elettrica. Secondo quanto ipotizzato dagli autori, ci potrebbero essere cinque diverse fonti di nutrimento per i microrganismi: il gas naturale o l’idrogeno, che slegherebbe del tutto questo tipo di produzione dal consumo di suolo, non causando alcun tipo di inquinamento, anche se per ora richiede grandi quantitativi di energia. In alternativa ci potrebbe essere una fotosintesi industriale che partisse da zuccheri specifici, oppure da biogas o, ancora, da singas (miscele di gas industriali e di sintesi) di origine agricola.
Queste tecniche avrebbero un impatto ambientale maggiore, e potrebbero anche essere responsabili di un aumento dell’inquinamento da azoto o da gas serra, ma probabilmente si tratterebbe solo di un incremento presente nella fase iniziale, perché via via che la produzione cresce di scala (e, per esempio, nel caso delle alghe, sono già numerosi i siti di produzione in tutto il mondo), l’efficienza dei sistemi aumenta, le soluzioni tecnologicamente avanzate si diffondono e i costi scendono.
Nessuno – concludono gli autori – si aspetta che questo tipo di proteine possa già oggi rimpiazzare del tutto quelle classiche, e al momento non si tratta di tecnologie competitive dal punto di vista economico, ma è evidente che è necessario introdurre cambiamenti radicali nelle filiere, soprattutto in quelle relative alla produzione di carne e pesce. Chiedere aiuto alle tecnologie e ai microrganismi è senz’altro un approccio originale e ricco di possibilità, di cui solo ora si iniziano a quantificare i potenziali benefici.
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Giornalista scientifica