Hanno percorso quasi 12.000 chilometri e sono arrivati al largo delle coste della California, destando allarme in tutto il versante orientale del Nord e Centro America. Sono i tonni rossi orientali (Thunnus orientalis) di Fukushima, veri giganti del mare che, ad alcuni mesi di distanza dall’incidente alla centrale Dai-ichi e allo sversamento in mare di ingenti quantità di isotopi, sono stati trovati appunto in zone dove non erano attesi. Infatti non è mai stato documentato un viaggio così lungo effettuato da banchi di questa specie, e si era sempre pensato che fossero in grado di metabolizzare ed espellere l’eventuale radioattività assorbita. Ne dà conto PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences USA), in un articolo pubblicato dai ricercatori della Stony Brook University di New York insieme con gli oceanografi della stazione di ricerca marina, Woods Hole.
Per verificare quella che fino a quel momento era solo un’ipotesi, i ricercatori hanno analizzato le carni di 15 tonni pescati al largo di San Diego circa cinque mesi dopo l’incidente, e in tutti e 15 hanno trovato livelli di due isotopi, il cesio 134 e il cesio 137, mediamente dieci volte superiori a quelli attesi. Come sottolineano gli autori, si tratta di quantità di isotopi comunque entro i limiti di sicurezza, ma certo impressiona e preoccupa il fatto che animali che sono tra i più grandi del Pacifico (possono raggiungere 4-5 quintali di peso e i tre metri di lunghezza) non siano riusciti a eliminare, in un viaggio così lungo, la radioattività assunta.
Per essere sicuri che si trattasse proprio di isotopi riconducibili all’incidente del Giappone, comunque, i ricercatori hanno analizzato anche le carni di altri tonni pescati nel Pacifico, quelli a pinna gialla, e di tonno rosso orientale che erano arrivati al largo della Baja California prima dell’incidente in Giappone, dimostrando che non recavano neppure tracce di cesio 134 e che il cesio 137 era presente in quantità minime, compatibili con le contaminazioni marine derivanti dai test nucleari effettuati negli anni sessanta. «Il risultato non lascia spazio a equivoci – ha commentato Ken Buesseler, di Woods Hole – gli isotopi arrivano da Fukushima e sono stati assorbiti probabilmente attraverso il krill (piccoli crostacei all’ordine Euphausiacea) e i calamari mangiati. È evidente che, anche se crescono durante il tragitto, i giovani tonni non riescono a eliminare del tutto la radioattività assorbita».
La scoperta desta sconcerto sia in relazione al tonno pescato e venduto negli Stati Uniti e in Messico, sia perché i mercati sono globali. Infine perché il Giappone è il primo importatore, con l’80% del totale, di tonno rosso, sia di quello pescato nell’Atlantico, il Thunnus thynnus, che di quello del Pacifico, ossia il Thunnus orientalis. Queste due specie sono considerate delle prelibatezze, tanto che raggiungono cifre astronomiche, e il timore è che qualche partita di carne con isotopi (anche se al di sotto dei livelli di guardia) possa comunque finire sul mercato, fatto già avvenuto per altri alimenti come i manzi, nei mesi successivi al disastro.
«Alcune risposte – concludono gli autori – si avranno nelle prossime settimane, e cioè quando i ricercatori ripeteranno test ed analisi su campioni più ampi di tonni giapponesi giunti nelle acqua americane, perché i quelli analizzati cinque mesi dopo erano stati esposti presumibilmente per circa un mese alle acque contaminate di Fukushima, mentre quelli che arriveranno durante l’estate avranno nuotato tra gli isotopi più a lungo». Inoltre, visti i dati sui tonni, i ricercatori hanno deciso di analizzare anche tartarughe, squali e uccelli marini.
Agnese Codignola
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