Leggendo articoli di giornale, scorrendo le pagine dei social network e guardando servizi televisivi, capita spesso di venire a sapere di indagini dei Nas su frodi alimentari al ristorante, esercenti che vendono prodotti contaminati o aziende che – consapevolmente o meno – commerciano alimenti in cattivo stato di conservazione. Ma raramente veniamo a sapere come vanno a finire queste storie e quali condanne vengono pronunciate contro chi è stato riconosciuto colpevole. Inutile chiedere informazioni ai Nas o alle Asl. Dopo che l’accertamento di infrazione è stato fatto e la procedura giudiziaria ha preso il suo corso, i promotori ne perdono le tracce e non seguono più la vicenda. Nessuno sa come finiscono le storie e, tranne casi eccezionali, a livello mediatico tutto finisce nel dimenticatoio. Per rompere questo muro di silenzio, Il Fatto Alimentare propone alcune sentenze definitive pubblicate dalla Corte di Cassazione nei mesi di maggio e giugno 2017, senza alcun fine statistico, riprese dalla Rassegna normativa di diritto alimentare e legislazione veterinaria . Ecco le più interessanti.
Alcuni casi sono proprio eclatanti. Come quello verificatosi in Sicilia di un uomo condannato per la detenzione al fine della vendita di ben 30 kg di carne avariata di manzo e maiale. Ma la vicenda non si conclude qui: l’uomo, pluripregiudicato, è stato anche condannato per avere prodotto salsicce e hamburger – presumibilmente con la carne avariata – in un locale non autorizzato, intestato a un suo omonimo. Alla fine è stata inflitta una sentenza di 6 mesi di carcere, oltre a 8 mila euro di multa.
In quest’altra storia, il metilmercurio ha inguaiato un’azienda milanese che commercializza prodotti ittici. I controlli dell’Asl su una partita di pesce – presumibilmente pesce spada o tonno – proveniente dalla Spagna e venduto in tranci, avevano rilevato una concentrazione di metilmercurio pari 1,8 mg/kg, quasi il doppio rispetto al limite di legge di 1 mg/kg. L’azienda ha provato a difendersi affermando – oltre al presunto fraintendimento di un esperto della Asl – che i calcoli sul contenuto di metilmercurio erano sbagliati: in una fetta di pesce era presente una quantità pari alla metà rispetto a quanto contestato all’imprenditore. Peccato che a fare fede sia la concentrazione per chilogrammo di alimento, e quella purtroppo non era sbagliata. La Suprema Corte, quindi, ha confermato la sanzione di 10 mila euro all’impresa.
A volte sono i parassiti il problema. Come nel caso di un’azienda romagnola, condannata al pagamento di 5 mila euro di multa per una partita di alici proveniente dalla Croazia e infestata dall’Anisakis. Questo nonostante la certificazione di controllo frontaliera e i controlli a campione fatti dall’azienda siano risultati negativi. Per i giudici, visto che la contaminazione era visibile anche alla semplice osservazione, l’aver messo in circolazione alimenti pericolosi per i consumatori è ancora più grave. A un’altra azienda romagnola 136 scatole di pistacchi salati e tostati invase da Plodia interpunctella (nota ai più come tarma del cibo), per un totale di 800 kg, sono costate ben 3 mila euro.
In un agriturismo situato nella provincia milanese sono stati rinvenuti durante un’ispezione dei carabinieri del Nas 35 kg di carni e insaccati in cattivo stato di conservazione all’interno e all’esterno dei frigoriferi della cucina della struttura. Gli alimenti erano in parte invasi da ghiaccio e brina per via del congelamento improprio, in parte ricoperti da muffa e mosche. I prodotti erano anche privi della documentazione di tracciabilità. La proprietaria dell’agriturismo è stata multata con una sanzione da 6 mila euro.
Spuntano spesso tra le sentenze anche vari ristoranti giapponesi e cinesi, che, al pari dei loro colleghi italiani, spesso non dichiarano l’utilizzo di pesce congelato o non conservano adeguatamente i prodotti. Salta all’occhio però un caso in cui il gestore di un ristorante orientale milanese, oltre ad avere in dispensa numerosi cibi avariati, è stato pizzicato a vendere alcolici fatti in casa senza autorizzazione, per evitare di pagare le accise sull’alcol. Una scelta che è costata caro: oltre ai 2 mila euro di multa per gli alimenti in cattivo stato, è stato sanzionato per oltre 5 mila euro per gli alcolici illegali,.
Nella maggior parte dei casi, comunque, le sanzioni per non aver dichiarato l’uso di alimenti surgelati in origine (soprattutto pesce) e per la vendita di cibi avariati sono comprese tra gli 800 e i 2 mila euro.
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Senza voler infierire su chi ha sbagliato involontariamente se dotato dei mezzi per ben operare, ma chi mette in commercio o somministra consapevolmente alimenti adulterati e viene condannato in un processo penale, non può cavarsela con poche migliaia di euro di multa, visto che i giorni di detenzione nessuno li sconterà.
Quando il caso è grave e palese la colpa ed il dolo, al colpevole dovrebbe essere anche vietato continuare un’attività potenzialmente pericolosa per i consumatori, vista e provata la sua irresponsabilità ed incapacità nella gestione degli alimenti.
Perfettamente d’accordo!
Non solo la pena non è proporzionata (alla faccia degli utenti fino a quel momento intossicati…), ma la reiterazione è letteralmente “dietro l’angolo”, come dimostrano abbondantemente le statistiche degli addetti ai controlli ufficiali…
Se dovessimo fare i “conticini della serva” (come spesso succede, sopratutto in tempi recenti, nella grande famiglia della pubblica amministrazione), con la sanzione comminata non si ripaga assolutamente nemmeno l’apparato messo in moto per le indagini e gli accertamenti relativi…
concordo con Ezio