Camion con semirimorchio refrigerato che viaggia in autostrada. Tir

Fibre, vitamine, sali minerali, carboidrati, grassi e…residui di pneumatici. Rischia di essere questa la composizione di molte verdure a foglia, specie se coltivate nelle vicinanze di strade e autostrade. Perché gli pneumatici rilasciano nell’atmosfera nano- e microplastiche, e un particolato composto da centinaia di additivi e sostanze di vario tipo, che poi si depositano direttamente sui vegetali, oppure sul terreno e, da lì, arrivano fino alle falde acquifere, rientrando così nei cicli naturali delle piante coltivate all’aperto.

A dimostrare che il fenomeno è sempre presente, in vari Paesi, è uno studio dei ricercatori del Center for Microbiology and Environmental Systems Science dell’Università di Vienna, in Austria, che per la prima volta conferma la presenza di sostanze che possono derivare solo dagli pneumatici in verdure a foglia destinate al consumo umano coltivate in campi reali, e non in laboratorio.

Lo studio

Le gomme per autotrasporto sono realizzate con miscele molto sofisticate, che vengono costantemente ottimizzate per migliorare le prestazioni e la durata, e che non sempre sono del tutto note, per motivi di brevetti. Contengono però sempre una percentuale compresa tra i 5 e il 15% di additivi di vario tipo (centinaia di sostanze diverse) come antiossidanti, vulcanizzanti, antiozonizzanti, che si disperdono con attrito tra gli pneumatici e il suolo, e vanno a contaminare le acque irrigue, i terreni e l’atmosfera.

Per verificarne la concentrazione nelle piante coltivate, gli autori hanno analizzato la presenza di 16 tra i più comuni additivi in 28 campioni di verdure a foglia acquistate o coltivate all’aperto in Austria, Spagna, Israele e Italia, e hanno poi stimato l’assorbimento delle stesse sostanze nel corpo umano, in seguito a un consumo medio.

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La plasticoltura è diventata ubiquitaria ma è anche una delle principali fonti di contaminazione da microplastiche delle verdure e del suolo

Pneumatici e additivi

Come hanno poi illustrato su Frontiers in Environmental Science, il 71% dei campioni conteneva uno o più additivi. La concentrazione media, però, era bassa, e pari, per esempio, a 238 nanogrammi per chilo (ng/kg) di benzotiazolo (BTZ), e a 0,4 ng/kg di 6PPD.

Considerando un consumo medio, ciò corrisponde a un assorbimento nel corpo umano compreso tra 12 e 1.296 ng per persona al giorno per il BTZ, tra 0,06 e 2,6 ng/persona/giorno per il 6PPD. Tali quantità, comparabili come ordine di grandezza, per tutti e 16 i composti – hanno precisato gli autori – sono simili, e spesso inferiori, a quelli dei residui di farmaci presenti dalle verdure, provenienti anch’essi dalle acque irrigue. Non ci sarebbero quindi rischi gravi. Tuttavia, è importante capire in che modo, esattamente, gli additivi arrivino alle verdure, e quali possano essere le conseguenze di un’assunzione continuativa.

La plastificazione delle coltivazioni

Del resto, che le piante possano assorbire materiali nocivi tra i quali le microplastiche è noto da tempo. Per questo si sta cercando di limitare una pratica diffusissima, ma probabilmente da abbandonare: quella della plasticoltura.

In sintesi, consiste nell’avvolgere le piante in vario modo con abbondanti quantità di plastica, che isolano le radici dai parassiti e conservano il calore. Introdotta nel 1948, la plasticoltura è diventata ubiquitaria ma, come ricorda un articolo di Civil Eats, è anche una delle principali fonti di contaminazione da microplastiche delle verdure e del suolo. I terreni delle aziende che usano la plasticoltura hanno una concentrazione di plastica che è 75 volte quella dei terreni delle aziende che non usano plastiche nei campi: questa cifra, da sola, fa capire perché sia necessario andare oltre, e superare un modello nel quale la maggior parte dei materiali utilizzati è in plastiche varie (compresi, per esempio, i tubi per l’irrigazione o i flaconi dei fitofarmaci).

Per tale motivo, ricorda infine Civil Eats, dal 2021 la FAO raccomanda di ridurre, e se possibile eliminare l’impiego delle plastiche sui terreni agricoli. E forse prima o poi raccomanderà anche di distanziare il più possibile i campi dalle strade dove passano motoveicoli che viaggiano su gomma.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com

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luigiR
luigiR
14 Giugno 2024 15:22

me l’aspettavo che prima o poi qualche studio sull’inquinamento dell’ambiente da usura pneumatici sarebbe saltato fuori. superfluo dire che tra microplastiche, pesticidi, erbicidi, fungicidi, pfas, nanoresidui da pneumatici (ufficialmente riconosciuti ora) e non saprei cos’altro, stiamo accumulando sostanze su sostanze che, insieme, interagiscono con l’organismo umano e di tutti gli altri esseri viventi, senza ancora realmente capire quali possano essere le conseguenze (certamente negative).

Alessandro
Alessandro
17 Giugno 2024 14:27

https://www.liberta.it/news/cronaca/2023/08/07/api/

“I combustibili fossili sono fonte di inquinamento, ma uno studio dei ricercatori dell’Università Cattolica mostra come l’80% delle polveri ultra fini – quelle più piccole e dannose – derivino soprattutto dall’impianto frenante dei veicoli e dagli pneumatici”.

…però nessuno parla mai di filiera corta o di trasporto su rotaia in Italia… basta farsi un giro sulle autostrade italiane, soprattutto al Nord e nella già martoriata pianura padana, per rendersi conto delle decine di migliaia di TIR che ogni giorno spandono i loro effluvi.

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