Nuovo sprint ai negoziati per il libero scambio con l’UE, riferisce l’Economic Times dall’India. Restano da risolvere un paio di questioni, l’estensione dell’accordo ai servizi e il riconoscimento delle DOP. Ma la diplomazia europea trascura del tutto il land-grabbing, che vede alcuni colossi indiani in prima fila. L’obiettivo è un “Bilateral Trade and Investment Agreement” (BTIA), per liberalizzare gli scambi di beni e servizi tra le due grandi aree. Gli ottimisti confidano possa venire raggiunto entro fine 2012. A giugno la prossima riunione a Bruxelles tra il Ministro per il commercio Anand Sharma e il Commissario europeo Karel De Guch, mentre le delegazioni dei funzionari (gli sherpa, in gergo tecnico) lavorano alacremente ai dettagli della una trattativa che ha avuto inizio nel 2007.

 

Le questioni da risolvere sono essenzialmente due:

– se e a quali condizioni estendere il libero scambio al settore dei servizi (dalla telefonia alla Information Technology, la consulenza nei più disparati ambiti dall’ingegneria al management, servizi bancari e di assicurazione, la distribuzione al consumatore di beni e servizi),

– se ed entro quali limiti le parti sono disposte a riconoscere le rispettive denominazioni e indicazioni d’origine a tutela dei prodotti alimentari tipici (formaggi e vini europei, yogurt e altre specialità indiane), nonché più in generale i diritti di proprietà intellettuale e industriale (marchi e brevetti), di particolare rilievo per l’industria farmaceutica.

 

L’Europa ha buone ragioni per trovare compromessi utili a fare affluire valuta nel vecchio continente: basti pensare che le relazioni commerciali UE-India nel 2010 hanno raggiunto i 91,3 miliardi di US$ e potrebbero più che raddoppiare a breve, fino a 207 miliardi nel 2015.

 

E il land-grabbing? Gli investitori indiani sono considerati tra i maggiori responsabili della rapina delle terre, in Africa soprattutto, a discapito delle popolazioni locali. Come si può consentire che l’agro-industria europea debba trovarsi a competere sul proprio mercato con operatori che hanno realizzato materie prime agricole al costo delle gravi violazioni dei diritti umani? Si parla infatti di intere popolazioni, rapinate e deportate dalle loro terre per fare spazio alle colture intensive dei neo-colonialisti.

 

Il Parlamento europeo potrebbe intervenire, si spera, per chiedere garanzie sul rispetto (e la vigilanza sul rispetto) dei diritti umani in India. Ma soprattutto per pretendere dal governo di Nuova Delhi un impegno concreto e misurabile affinché le sue imprese mettano fine al land-grabbing e provvedano alla compensazione dei torti già procurati. Come? Applicando le Linee guida FAO, per iniziare.

 

Dario Dongo

Foto: Photos.com

 

Precedenti articoli de ilfattoalimentare che associano la rapina delle terre a investitori indiani:

http://www.ilfattoalimentare.it/land-grabbing-in-etiopia-lettera-aperta-al-popolo-indiano-per-fermare-la-rapina-di-terre-risorse-vita.html

http://www.ilfattoalimentare.it/land-grabbing-il-caso-delletiopia.-mentre-i-cittadini-muoiono-di-fame-il-governo-cede-terreno-alle-imprese-straniere.html

http://www.ilfattoalimentare.it/etiopia-rapina-terre-investitori-indiani-siccità-fame.html

http://www.ilfattoalimentare.it/terre-madagascar-fanno-gola.iniziative-popolari-contrastare-land-grabbers.html

 

Parecchi altri casi sono documentati su:

http://www.ilfattoalimentare.it/land-grabbing-rapporto-oxfam-problema-terre.html

http://www.ilfattoalimentare.it/i-nuovi-colonialisti-ritornano-alla-terra-coltivabile.html

http://www.ilfattoalimentare.it/rapina-terre-capire-land-grabbing-libro-stefano-liberti.html

http://www.ilfattoalimentare.it/corsa-alla-terra-de-castro.html