Veneto, interferenti endocrini nell’acqua potabile. Decine di migliaia di cittadini contaminati dai Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche
Veneto, interferenti endocrini nell’acqua potabile. Decine di migliaia di cittadini contaminati dai Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche
Beniamino Bonardi 6 Maggio 2016In Veneto 250.000 persone hanno utilizzato per anni acqua potabile inquinata da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), che si sono accumulate nel loro sangue e i cui effetti sulla salute sono ancora da determinare. Di queste 250.000 persone, 60.000 sono interessate da un livello maggiore di contaminazione. Lo afferma l’Istituto Superiore di Sanità, in base ai risultati del biomonitoraggio condotto in collaborazione con la Regione Veneto, che ha coinvolto un campione di 507 persone, da cui è risultato che le concentrazioni della maggior parte dei Pfas nel sangue dei residenti nelle aree interessate dalla contaminazione delle acque sono risultate “significativamente superiori” a quelle dei non esposti.
I comuni interessati dall’inquinamento sono una sessantina, nelle province di Vicenza, Verona e Padova. La zona più colpita è quella compresa tra i comuni di Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo e Sarego, in provincia di Vicenza. Tra i cittadini esposti a questa contaminazione, il livello medio di Pfas nel sangue è di 14 ng/g, mentre tra quelli maggiormente esposti è di 70 ng/g. Le analisi hanno riguardato la presenza, in particolare, di due Pfas, il Pfoa (acido perfluoroottanoico) e il Pfos (perfluorottano sulfonato), mentre gli altri Pfas sono stati considerati in un gruppo unico. Attraverso l’acqua, i Pfas hanno contaminato anche quasi tutta la catena alimentare, dove dovrebbero essere assenti, come hanno indicato le analisi effettuate dai servizi veterinari e di igiene delle aziende sanitarie locali, diffuse lo scorso novembre.
I Pfas sono riconosciuti come interferenti endocrini correlati a patologie riguardanti pelle, polmoni e reni. Queste sostanze sono definite “microinquinanti emergenti” perché sono frutto di un’industria chimica recente e per questo motivo non vengono monitorate dalle indagini di laboratorio condotte di routine. Addirittura, non esistono limiti di legge, né a livello europeo né nazionale, alla loro concentrazione nelle acque. Esistono solo dei valori obiettivo, indicati dall’Istituto Superiore di Sanità. Per questo, sinora non è stato possibile perseguire i responsabili di questo inquinamento diffuso.
I Pfas sono sostanze chimiche, dotate di elevata persistenza nell’ambiente, utilizzate principalmente per rendere resistenti ai grassi e all’acqua vari materiali come tessuti, tappeti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti. L’azienda chimica indicata come responsabile dell’inquinamento da Pfas è la Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza, che è specializzata nella produzione di molecole fluorurate per la farmaceutica, l’agricoltura e l’industria tecnica. La Miteni, però, esclude la propria responsabilità, affermando che la presenza di Pfas “non può essere dovuta alla falda dello stabilimento Miteni. Un’area così vasta va necessariamente riferita al sistema di scarichi consortili a cui sono collegate centinaia di aziende del territorio. Miteni non produce più Pfos e Pfoa dal 2011, e ancora prima i reflui delle lavorazioni erano inviati a sistemi di trattamento esterni. Pfos e Pfoa vengono usati tutt’oggi da oltre duecento industrie del settore conciario e manifatturiero presenti nella zona che li acquistano sul mercato estero, imprese che sono allacciate agli stessi scarichi consortili a cui è allacciata Miteni”.
La Miteni, che dal 2009 è di proprietà della multinazionale tedesca Weylchem del gruppo International Chemical Investors (Icig), è l’unica fabbrica che produce Pfas in Italia. Come riporta Il Fatto Quotidiano, la produzione di “intermedi fluorurati” nello stabilimento vicentino ha una storia antica, cominciata nel 1964 quando era ancora il centro ricerche della tessitura Marzotto e si chiamava Rimar (Ricerche Marzotto). Nel corso degli anni la fabbrica è passata alla “Miteni”, joint venture tra Eni e Mitsubishi (1988), e poi alla giapponese Mitsubishi (1996), prima di essere acquisita dalla multinazionale Icig (2009). È quindi probabile che la popolazione delle tre province venete sia esposta da decenni a questo tipo di inquinamento.
La contaminazione di interferenti endocrini nelle acque è stata scoperta nel 2013, quando uno studio del Cnr, commissionato due anni prima dal Ministero dell’Ambiente, rivelò che “nel bacino di Agno e Fratta Gorzone, anche a monte dello scarico del collettore Arica, sono state misurate concentrazioni di Pfoa molto elevate, spesso superiori a 1000 ng/litro, che destano una certa preoccupazione dal punto di vista ambientale. Ancora più preoccupazione desta la misura della concentrazione di queste sostanze nelle acque potabili campionate da punti di erogazione pubblici e privati. Nel bacino di Agno – Fratta Gorzone, vi sono concentrazioni crescenti da nord a sud che raggiungono valori di Pfoa superiori a 1000 ng/l e di Pfas totale superiori a 2000 ng/l.” Lo studio avvertiva su “un possibile rischio sanitario per le popolazioni che bevono queste acque, prelevate dalla falda”.
Le iniziative sanitarie individuate ora come necessarie dalla Regione Veneto prevedono il rafforzamento e la messa a sistema tutte le attività preventive e clinico-organizzative per la sorveglianza della popolazione, cominciando da quella più esposta; offerta di valutazioni cliniche in esenzione dal ticket; avvio di studi sperimentali ad hoc; implementazione della valutazione tossicologica delle sostanze; rafforzamento della formazione degli operatori; sostegno al territorio per quanto riguarda la comunicazione con la popolazione.
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Questi i dati dell’agenzia Veneta di salute pubblica:
http://www.arpa.veneto.it/dati-ambientali/open-data/file-e-allegati/pfas/
Questo un audio di un medico esperto del caso pfas:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/06/allarme-da-avvelenamento-pfas-in-veneto-ma-cosa-sono-ascolta-il-podcast/2702923/
Quindi io da cittadina veneta come posso attivarmi per avere una tutela? È prevista una analisi del sangue gratuita e una dell’acqua di pozzo o la spesa sarà a carico mio? Ringrazio per l’articolo molto dettagliato ed utile.
Gentili lettori,
sostenete la petizione su change.org :
https://www.change.org/p/al-parlamento-firmiamo-perche-i-pfas-siano-riconosciuti-agenti-inquinanti
Qui, troverete anche il link per la petizione promossa da Legambiente e Coordinamento acqua libera da pfas, “Bastapfas”.
Cara Erica, ascolta l’intervista al dott. Cordiano come suggerito dal lettore IO e leggi i documenti che ho postato su change.org.
Grazie per quanto potrai fare.
Ciao,
Lucia Ballarin
Credo sia importante precisare che mentre non esistono limiti massimi legali per i PFAS nell’acqua e (soprattutto, essendo sostanze persistenti e capaci di bioaccumulo) negli alimenti, esiste già dal 2008 una dose tolerrabile massima stabilita da EFSA per ciascuno dei due PFAS principali, PFOS e PFOA (http://www.efsa.europa.eu/it/press/news/contam080721). Questo è importantissimo perché vuol dire che i dati di presenza nelle acque e (soprattutto) negli alimenti possono essere trasformati (con semplici modelli) in dati di assunzione complessiva e confrontati con il limite tollerabile di assunzione EFSA. E ciò sia per la popolazione generale, sia per i gruppi più vulnerabili (donne in età fertile e bambini piccoli)
L’Istituto Superiore di Sanità insieme a gruppi di ricerca universitari si è occupato di biomonitoraggio dei PFAS (e di altri interferenti endocrini) nella popolazione italiana al di fuori dei c.d. “siti a rischio”, grazie al progetto PREVIENI, finanziato dal Ministero Ambiente. I PFAS ci sono, e sono ubiquitari, anche se i livelli sono variabili. Ecco i link con alcune pubblicazioni scientifiche open-access
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4626977/
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4210972/
Biomonitoraggio, fissazione dei limiti massimi d’impiego, accumulo organico, sommatoria di sostanze chimiche tossiche= politica dello struzzo.
La soluzione dei problemi d’inquinamento ambientale chimico ed alimentare, è solo una: prima non inquinare, poi controllare.
La causa è causa dell’effetto e l’effetto è incontrollabile se non si agisce sulle cause che lo produce.