Piatto di pasta con ragù; spaghetti alla bolognese

Da dove viene il grano necessario per produrre il pane e la pasta? Quanto c’è di vero negli allarmi, periodicamente lanciati da alcuni organi di informazione, sulla presenza di pericolose micotossine nei cereali di importazione? Per chiarire questi punti abbiamo intervistato Andrea Villani di AGER Borsa merci di Bologna, uno dei principali centri del commercio dei cereali in Italia, durante un convegno dedicato proprio al mercato internazionale dei cereali, con particolare attenzione all’Est Europa.

Parlando di cereali, e in particolare di grano, si parla di prodotto italiano al 100%?
«Quando si parla di grano portare avanti una battaglia per il made in Italy non ha molto senso – esordisce Villani – la cosa davvero importante è importare un prodotto di qualità garantendo l’efficienza dei sistemi di controllo che tutelano i consumatori».

Importare è dunque indispensabile?
«L’Italia produce poco più del 50% del proprio fabbisogno complessivo di cereali e semi oleosi. Per quanto riguarda il grano, importiamo più del 50% del grano tenero e il 30/40% del grano duro. Si tratta di due specie diverse, quello tenero (Triticum aestivum) serve per preparare diversi tipi di farine che poi vengono utilizzate per produrre pane e prodotti da forno. Il grano duro (Triticum durum) ha una composizione e struttura diversa e si usa per fare la pasta».

L’Italia li importa entrambi?
«Il nostro Paese è il principale produttore di grano duro al mondo insieme al Canada. Però circa il 50% della nostra produzione di pasta viene esportata, ed è una voce importante della bilancia commerciale. Per quanto riguarda il grano tenero ne importiamo soprattutto dalla Francia, anche se negli ultimi anni sono aumentati gli arrivi da paesi dell’Est che fanno parte dell’Unione Europea (Ungheria, Romania, Polonia) – ma anche dalla Russia. Questi Paesi rappresentano complessivamente il 25/30% delle esportazioni mondiali».

grano_71057378
Il nostro Paese è il principale produttore di grano duro al mondo insieme al Canada.

Ricorrere ai mercati esteri è inevitabile?
«Sì per ragioni quantitative, ma anche qualitative. Il grano è composto da molteplici varietà con caratteristiche differenti, e le farine industriali si ottengono mescolando grani diversi, per dare stabilità al prodotto. La materia prima di importazione serve a migliorare il contenuto  di glutine delle farine. I cosiddetti grani di forza, sono ricchi di proteine e sono necessari per prodotti lievitati come certi tipi di pane o il panettone».

Come garantire la sicurezza dei consumatori?
«In generale il grano è una materia prima abbastanza sicura, il rischio di imbattersi in partite contaminate da antiparassitari o metalli è limitato. In ogni caso nell’Unione Europea esistono standard di sicurezza sia per i prodotti comunitari che per quelli importati».

E per quanto riguarda la possibile presenza di organismi geneticamente modificati?
«Il problema della coltivazione di varietà geneticamente modificate non riguarda il grano, ma la soia e il mais. La legge italiana per ora vieta la coltivazione di varietà OGM, mentre la commercializzazione è permessa: la presenza del singolo ingrediente OGM non può superare lo 0,9 % e deve essere segnalato in etichetta, e questo, nel caso degli alimenti, scoraggia il mercato».

Resta il problema delle micotossine
«Le micotossine sono prodotte da alcuni funghi che si possono formare nel corso di stagioni sfavorevoli dal punto di vista climatico: per alcune di queste, in tempi relativamente recenti, sono stati stabiliti i tenori massimi – ridottissimi – ammessi nei prodotti per il consumo umano e per quello zootecnico. Per il grano il problema maggiore è il Deossinivalenolo ( DON ) prodotto da funghi del genere fusarium mentre il rischio di contaminazione da aflatossine riguarda soprattutto il mais».

pasta_141345999
Si trovano prodotti che indicano la presenza di grano italiano, per chi non vuole rinunciare al made in Italy

Come rassicurare i consumatori?
«Negli ultimi anni i controlli per garantire l’arrivo sul mercato di un prodotto indenne da possibili contaminazioni sono aumentati in modo esponenziale, sia nelle aziende sia da parte degli organi di controllo ufficiali, e poi ci sono precisi parametri da rispettare riportati nei contratti di compravendita. In alcuni casi, i grani con presenza di micotossine superiore a quella ammessa per il consumo umano vengono destinati a mangime per animali. Oggi le nuove generazioni di agricoltori sono particolarmente attente a questi problemi».

Però i consumatori preferirebbero poter contare su prodotti made in Italy, o almeno conoscerne la provenienza …
«Quello del grano è un mercato mondiale che muove milioni di tonnellate, all’interno del quale ragionare in termini locali ha poco senso. Chi vuole può acquistare pane o pasta prodotti con grano di origine italiana, scegliendo ad esempio prodotti a Indicazione Geografica Protetta, oppure marche che indicano espressamente di fare ricorso a solo grano italiano».

© Riproduzione riservata Foto: photos.com

Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.

Dona ora

3.3 6 voti
Vota
41 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
MiSembraStrano
MiSembraStrano
3 Dicembre 2013 22:58

Nessuna ricorda la puntata di Report sulle micotossine (i valori sono fissati sul consumo medio europeo e non su quello italiano di gran lunga superiore? Nessuna ricorda il fatto che il grano duro italiano (sud) ha “mediamente” meno micotossine di quello estero ? Nessuno ricorda di come molte aree in Sicilia sono incolte perché schiacciato dal grano import? Nessuno ricorda che 4 grandi broker decidono il valore del grano mondiale?

Alessio
Alessio
Reply to  MiSembraStrano
6 Dicembre 2013 19:52

quando si parla di grano portare avanti la battaglia del made in italy invece ha senso eccome perché nel meridione abbiamo il grano duro migliore al mondo ma ad oggi i terreni sono tutti abbandonati perché il grano duro non è più richiesto, oggi va di moda il grano tenero che per altro è per gran parte importato…è una vergogna! si prende il grano tenero dall’estero per ragioni qualitative???? ma stiamo scherzando ….qual’ è l’aspetto qualitativo per il quale vale la pena prendere il g. tenero all’estero???? il problema micotossine si risolve gestendo le colture secondo i principi agroecologici e di vocazionalità tutto qui, senza chimica e OGM anzi questi li aggravano come ben si evince da molte ricerche scientifiche. lasciamo stare la forza del grano e coltiviamo grani antichi con la loro dose naturale di proteine ci hanno cucinato per secoli e secoli..adesso arriviamo noi con la nostra stupidità e vogliamo far vedere al mondo la forza del grano che di fatto è una sua debolezza per il nostro organismo…la celiachia avanza le intolleranze e le allergie sono tra noi..usciamo la sera a mangiare una pizza e subito ci gonfiamo e non digeriamo bene; è normale questa serie di eventi quotidiani???

Alessandro
Alessandro
Reply to  Alessio
6 Dicembre 2013 22:09

Il motivo per cui il grano tenero del nord America è migliore del nostro (legga “più adatto” se la infastidisce meno) per i prodotti lievitati è stato detto più volte e non serve ripeterlo ancora. A lei che dopo una pizza si gonfia e non digerisce, consiglio, invece di parlare di W senza cognizione di causa, due cose: 1) cambi pizzeria; 2) si informi e scoprirà che gli impasti a lunga maturazione (almeno 72 ore) fatti con farine forti e che usano quindi una quantità di lievito (che è la causa del gonfiore) pressoché nulla sono, per motivi che sono anche questi già stati spiegati i più digeribili.

alessio
alessio
Reply to  Alessio
7 Dicembre 2013 18:27

in risposta ad alessandro: sulla dichiarazione migliore ci sarebbe da aprire una discussione. io non ho problemi di digestione ma vedo intorno a me quello che succede e non è la pizzeria caro alessandro piuttosto una sinergia di cose come l’utilizzo del grano mutato, l’elevata quantità proteica che contiene, l’utilizzo delle farine raffinate, l’uso del solo lievito saccaromices, per non parlare dei residui fitosanitari e metalli pesanti presenti nella cariosside.la verità è che soltanto l’utilizzo di un grano antico da molti meno problemi all’organismo; mi dica perché?non ho nominato mai la W ma ho sempre detto impropriamente “forza” e non mi pare di averlo usato senza cognizione di causa. Non parliamo poi della frazione proteica del grano che deriva dalle eccessive concimazioni chimiche azotate perlopiù….che mi dice a riguardo?

pierpaolo corradini
4 Dicembre 2013 12:22

1-La pasta che esportiamo, purtroppo per gli avventori stranieri, è fatta quasi sempre con il solo grano tenero (mentre in Italia è vietato usarlo per la pasta)
2-Ricorrere ai mercati esteri è inevitabile, sì, ma solo per aziende che vogliono fare prodotti industriali “classici”
3-Per “grani di forza” immagino intenda cosa come la farina Manitoba, che è in realtà un grano tenero. Che sia “necessaria” per il Panettone o il pane poi… Ma secondo voi per fare il “panetùn” hanno sempre usato Manitoba?
4-Che non esista il grano ogm poi… Ma pensa tu… http://www.lastampa.it/2013/05/30/scienza/ambiente/ambiente-usa-trovato-frumento-ogm-non-legale-in-oregon-oj6DzPbL5jjwwaW3ffNUCJ/pagina.html
5-Il fatto che il grano con micotossine viene dato come mangime agli animali dovrebbe rassicurarci? http://www.efsa.europa.eu/it/topics/topic/mycotoxins.htm
6-La pasta Igp potrebbe essere fatta con grano statunitense e solo trasformata in Italia…

Alessandro
Alessandro
4 Dicembre 2013 14:53

Rispondo ad alcuni punti

2-non corretto, vedi sotto
3-la “forza” non ha niente a che vedere col fatto che il grano sia tenero o duro. E’ l’indice “W”, che tanto per semplificare è proporzionale alla quantità di glutine presente. Una farina forte è tecnologicamente migliore di una farina debole per realizzare prodotti lievitati perchè la maglia glutinica che si forma nell’impasto è più resistente. Ciò consente all’impasto di maturare più a lungo senza che la maglia glutinica si rompa. Il risultato è un prodotto più leggero e più digeribile (perchè la maturazione ha consentito agli enzimi di scindere gli amidi, e trasformarli in zuccheri senza che sia il nostro corpo a doverlo fare) e con minore utilizzo di lievito.
5-non rassicura purtroppo. D’altra parte pare che ci si dimentichi ad esempio che l’italianissimo mais del 2012 era pieno di aflatossine. Anche quello era stato dato come mangime. Infatti ci si ricorda dello scandalo del latte con aflatossine?
6-corretto. Come la Bresaola della Valtellina IGP d’altra parte. D’altra parte proprio questo dimostra l’assoluta inutilità di star qui a parlare di origine delle materie prime. L’origine delle materie prime è del tutto insignificante dal punto di vista organolettico tanto che la Bresaola della Valtellina può essere realizzata indifferentemente con carne italiana o sudamericana!!!

gianfranco zambelloni
gianfranco zambelloni
4 Dicembre 2013 14:56

Non toccatemi la pasta !!!!!!!!

ALBERTO
ALBERTO
4 Dicembre 2013 15:58

Complimenti per l’esattezza e la completezza dell’argomento ad Alessandro, grazie.

pierpaolo corradini
5 Dicembre 2013 09:10

Rispondo solo al punto 3. Certo che la forza non ha a che fare con la durezza del grano! ma facevo l’esempio della Manitoba perché è molto “forte” pur essendo fatta con grano tenero, dunque con molti meno nutrienti. E poi sì, si impasta bene ma è zipilla di glutine. Sarà forse uno dei motivi per cui la celiachia sta aumentando considerevolmente?

Alessandro
Alessandro
Reply to  pierpaolo corradini
5 Dicembre 2013 10:29

Non è che da come aveva risposto precedentemente dava l’idea di conoscere l’argomento.
Comunque, molti meno nutrienti?
Che ci siano alcune differenza tra semola di grano duro e farina di grano tenero è ovvio, visto che sono prodotti diversi.
Molti meno nutrienti?
I macronutrienti tra i due prodotti sono pressochè identici. Andando nel dettaglio cambia poco, c’è una lieve differenza di apporto di potassio e sodio in favore della semola. Le dosi di riferimento giornaliere per quanto riguarda il potassio sono 2000 mg. In 100 g di semola ce ne sono 170, in 100 g di farina di frumento “0” ce ne sono 140. Rispettivamente si parla di 8,5% e 7%. Sono quelli i “molti meno nutrienti” per lei?
Sul glutine: è inutile girarci intorno in mille maniere. Uno dei parametri per giudicare la qualità di una pasta è la quantità di glutine.
Questo sia che il grano duro sia italiano sia che sia estero. Più ce n’è, meglio è. Se ci fa comodo dire che è meglio una pasta con meno glutine diciamolo. Ma non è vero.
Lo stesso per la farina di grano tenero e i motivi li ho spiegati.
Il fatto che si abusi troppo spesso di prodotti ad alto contenuto di glutine è un altro discorso. Si entra nel campo dell’educazione alimentare. Le caratteristiche dei prodotti variano nel tempo e di conseguenza questo dovrebbe portare ad una variazione delle abitudini alimentari, non solo per il glutine.
Questo non vale solo per la pasta, il pane, pensi alla carne di maiale…

pierpaolo corradini
Reply to  Alessandro
5 Dicembre 2013 11:08

È vero, non sono un chimico, un biologo o un nutrizionista ma un semplice giornalista. Dunque non sarebbe vero che, seppur di poco, il grano duro ha più proteine e vitamine del grano tenero? Perché non dovrebbe essere meglio una pasta con meno glutine, magari prodotta con grani antichi che già di per sé di glutine ne hanno meno?

Giulio
Giulio
5 Dicembre 2013 09:36

Leggo commenti avventati sulle micotossine: data la portata e la complessità dell’argomento, mi permetto di dire che è avventato e semplicistico affermare che il grano italiano ha mediamente meno micotossine rispetto a quello estero. Le produzioni italiane (e non parlo solo di frumento, ma di masi, uva ecc…) spesso sono colpite in maniera pesante da questo problema.

Corrado
Corrado
5 Dicembre 2013 11:34

Quanto l’informazione è corretta, puntuale e soprattutto a 360° bisogna solo fare i complimenti.
Detto questo, la verità che viene fuori per quanto riguarda la Pasta Italiana 100% è che importiamo solo il 30/40% di grano duro.
Bene! Basterebbe intanto pagare giustamente al produttore il grano che produce e reinvogliare i produttori che hanno smesso perchè vessati dai prezzi poco attraenti; in tal modo, quel 30/40% scenderebbe di gran lunga.
Poi, cercare di produrre pasta italiana solo con grano italiano e farla pagare per quel che vale, piuttosto che farsi concorrenza selvaggia; visto che a tutto il mondo piace mangiare italiano (lo paghi!).
Infine, semplicemente informare trasparentemente il consumatore che quella pasta è fatta da grano prodotto interamente in Italia oppure anche con grano provveniente da un paese terzo.
Distinti saluti

Alessandro
Alessandro
Reply to  Corrado
5 Dicembre 2013 12:47

Corrado, le chiedo: perchè bisognerebbe fare quello che scrive?
Se lo scopo è (e deve essere, perchè su questo siamo tutti d’accordo) quello di promuovere l’eccellenza italiana, perchè penalizzare le aziende che cercano di reperire, nel mondo, i grani di migliore qualità per realizzare pasta eccellente? Perchè “obbligarli” ad usare un grano potenzialmente inferiore? Lei giustamente dirà che non sono obbligati, perchè “basterebbe” (è già stato detto perchè non sia così semplice farlo in realtà) inserire l’indicazione dell’origine delle materie prime.
Ma finchè al consumatore si continuerà a voler raccontare che per chissà quale magica coincidenza del destino il nostro Paese è in grado di ottenere materie prime eccellenti in tutte le categorie merceologiche, è ovvio che il consumatore ci creda e si orienti in buona fede in quella direzione…

Alessandro
Alessandro
5 Dicembre 2013 12:32

Rispondo a Corradini.
Capisco la sua abilità nel voler girare il discorso, ma lei nel suo primo commento (quello a cui ho risposto) dice che la farina di grano tenero ha “molti meno nutrienti”. Poi già cambia versione e dice che, “seppur di poco la semola ha più proteine e vitamine”. La contraddizione tra i due interventi è evidente. Nel dettaglio comunque, le proteine nella semola sono il 14%, nella farina di grano tenero “0” sono 13%. Per lei significa “molte meno proteine”?
Lei poi parla di vitamine. Io invece le ho citato il Potassio, sali minerali.
Ma anche per le vitamine, la semola contiene una quantità maggiore di niacina (quasi doppia) e riboflavina ad esempio, mentre contiene meno tiammina rispetto alla farina di grano tenero.
Se lei avesse esposto da subito questa sua nuova versione del commento, le avrei risposto così: sì, “seppur di poco il grano duro ha più proteine e più vitamine (alcune)”. Ma è evidente quanto poco valga quel tipo di affermazione, se si guardano le tabelle nutrizionali con senso critico, perchè di fatto, nutrizionalmente si tratta di prodotti molto simili.
Sulla seconda osservazione: maggiore è il glutine presente migliore è la tenuta in cottura della pasta perchè una maglia glutinica forte impedisce all’amido di uscire. Ciò consente al nostro corpo di assimilarlo in modo graduale e di evitare ad esempio picchi glicemici dopo il consumo. Per lo stesso motivo il tenore di glutine elevato favorisce al cottura al dente che porta la pasta ad essere più digeribile.
Quindi, uno dei parametri oggettivi per cui si valuta la qualità della pasta è appunto la quantità di glutine.
Diverso è dire invece che soggettivamente uno possa preferire paste con meno glutine. Mio nonno, che non ha i denti, non mangia pasta al dente: mangia la pasta scotta e quindi a lui, giustamente, dell’elevato tenore di glutine interessa poco. Per lui è sicuramente migliore un’altra pasta. Come per tanti altri, per svariati motivi. Ma ciò, con i parametri di valutazione oggettiva della qualità non c’entra nulla.

Maurizio
Maurizio
Reply to  Alessandro
5 Dicembre 2013 16:37

Caro Alessandro, capirà che il problema delle importazioni non è cagionato dalle inferiori qualità tecnologico-nutrizionali delle produzioni. Dobbiamo assumere per assurdo che per tipologia di merce, in ogni nazione si possa produrre bene o male un determinato articolo. Ci sono paesi più o meno vocati a fare questo o quell’altro ma, il problema sorge quando una nazione non riesce neanche a sopperire per il proprio fabbisogno per nutrirsi, no?? Poi il discorso che fa lei nel complesso sui valori on ha nulla di sbagliato. Ha letto la mia considerazione in fondo?? che ne pensa??

Alessandro
Alessandro
Reply to  Maurizio
5 Dicembre 2013 17:24

Premetto che il mio discorso, ma più in generale tutti gli interventi che ho ritenuto opportuno fare (a torto o a ragione) sull’argomento fino ad oggi hanno avuto il solo scopo di sostenere la tesi che non è certo l’origine di un prodotto a renderlo qualitativamente di pregio. Che alla situazione in cui siamo abbia contribuito anche la PAC è fuori discussione. Ma non sempre in modo negativo a mio parere.
L’ho detto commentando l’altro articolo: il mercato di oggi non è il mercato di qualche decennio fa. Sono cambiati i volumi e sono cambiati gli attori. Possiamo discutere se sia meglio o peggio…ma è questo e in questo ci si deve muovere, non crede?
Come può la piccola Italia competere nel settore primario con colossi come Cina, Argentina, USA, Canada, Australi, Russia? A mio parere non può anche per evidenti limiti territoriali. Per questo io dico che bisognerebbe investire in settori diversi dal primario. L’esempio della pasta: non è forse meglio per l’eccellenza italiana che le aziende puntino a reperire grano di prima qualità per realizzare il proprio prodotto piuttosto che puntare sull’incentivazione alla coltivazione di grano nazionale che qualitativamente potrebbe essere inferiore? E poi: il grano è coltivato in Italia, ma le sementi da dove vengono? dove sono state selezionate? sono italiane, non lo sono? E poi ancora: mettiamo anche che incentivando la coltivazione di grano si copra il nostro fabbisogno…cosa facciamo con tutte le altre materie prime per le quali il nostro fabbisogno non è coperto? Bisogna superare a mio parere il concetto distorto di “made in Italy” che abbiamo qui e cominciare a ragionare semplicemente alla realizzazione di prodotti di eccellenza attraverso materie prime eccellenti.
Faccio un esempio un po’ fuori tema ma molto chiaro secondo me: nella nazionale di calcio vorremmo che giocassero i migliori giocatori di tutta Italia (migliori materie prime in assoluto), o vorremmo che ci giocassero solo quelli della squadra per cui tifiamo (materie prime italiane)?

Maurizio
Maurizio
5 Dicembre 2013 12:32

A prescindere dal fabbisogno di autoconsumo, il problema è che nel sistema di politiche economiche, comunitarie e internazionali, si fa si che sia non remunerativo coltivare colture in Italia (per esempio), per favorire lo scandaloso commercio dai paesi esteri che premiano gli importatori che fanno produrre dove costa poco e importano a prezzi concorrenziali con i prodotti interni ma, con un ricarico importante sulle vendite. Il fatto è che potremmo snocciolare studi, statistiche nel merito ma, tra le sbagliate informazioni e le approssimazioni di ognuno non se ne verrebbe a capo. Il punto è per esempio che nel sud Italia negli ultimi dieci anni si è persa superficie importante alla coltivazione di un grano duro che per il clima e le varietà coltivate dava ottimi risultati dal punto di vista della qualità tecnologiche. Purtroppo il sistema di aiuti che pilota le nazioni verso l’una o l’altra prospettiva, limita e condiziona la scelta imprenditoriale dei singoli agricoltori, che sono ignari del fatto che le derrate alimentari, sono oggi come mai, imbrigliate anch’esse in un sistema di speculazioni di borsa e finanza, come se questi beni fossero, oro, obbligazioni, BOT, derivati etc…. é poi normale che se noi singolarmente non riusciamo a massimizzare quello che possiamo secondo le nostre estensioni, dobbiamo per forza importarlo. Ma la domanda è, cosa fa il nostro ministero delle politiche agricole?? Da un lato investe sugli agricoltori, dall’altro prende accordi commerciali con i paesi in via di sviluppo che ci mandano prodotti agricoli, coltivati a centinaia di chilometri e invadono a basso prezzo il nostro mercato interno, atterrando i guadagni unitari dei nostri agricoltori, ormai esausti.

Daniele
Daniele
6 Dicembre 2013 05:18

Concordo con Maurizio e aggiungo che gli agricoltori, sono sovvenzionati ( costretti ) a tenere incolte le terre, per accordi internazionali. Così in luoghi dove prima c’erano immense distese di grano, ora ci sono spesso distese di pannelli fotovoltaici. Non che mi dispiaccia, ma quando devo mangiare grano estero, trasportato su navi dove trasportano di tutto, soprattutto quando in Sicilia avremmo la possibilità di coltivare molto più grano di varie qualità e non solo tenero o duro e soprattutto con livelli di micotossine molto bassi, la cosa mi infastidisce un po’.

Alessandro
Alessandro
Reply to  Daniele
6 Dicembre 2013 09:14

Questo è un esempio ottimo: dove prima c’era il grano ora ci sono pannelli fotovoltaici. La questione è appunto scegliere dove investire. Meglio le fonti rinnovabili o l’agricoltura?
Il mio parere è proprio che, visto che non possiamo competere sull’agricoltura perchè di fronte abbiamo dei colossi perchè non utilizzare quel territorio per investire ad esempio nelle fonti rinnovabili? E comunque, anche se paradossalmente “risolvessimo” la questione grano, cosa facciamo con tutte le altre materie prime per cui non riusciamo a soddisfare il nostro fabbisogno?!
Quanto alle micotossine: io ci andrei cauto. Ho già riportato l’esempio delle aflatossine nel mais italiano del 2012…Stiamo parlando di prodotti pesantemente soggetti alle condizioni climatiche e quindi, variabili di anno in anno.
E in ogni caso, i limiti delle micotossine sono normati dall’UE che li stabilisce su basi scientifiche.

Maurizio
Maurizio
Reply to  Alessandro
6 Dicembre 2013 16:19

Ripeto. Non mi sembra che i prodotti provenienti dall’estero abbiano meno aflatossine. Partiamo dal presupposto che siamo tutti nelle medesime condizioni di poter produrre bene o meno bene un prodotto. Tu non devi ragionare sul fatto che non si può competere sulla produzione di ciò che devi mangiare. Questa idea appunto della competitività è appunto una idea capitalistica e liberista senza controllo e porta nelle menti delle persone che se non sei competitivo , sei niente. Il concetto fondamentale è che se fosse forte la richiesta nel territorio attraverso, Km zero, mercati interni nelle singole città, non avremmo bisogno di tutto questo import e premieremmo i nostri lavoratori agricoli. Secondo punto; hai considerato mai la ricaduta nel lungo termine di forti investimenti in energie ancora poco garantite?? Domani quando avrai perso la capacità produttiva interna, mangerai celle di silicio o prenderai ciò che le multinazionali ti offrono??

gianluigi mazzolari
gianluigi mazzolari
6 Dicembre 2013 08:08

grano italiano o no? bahh!
Non stiamo parlando di qualità ma di emotività ed anche quest’ultima ha i suoi diritti e va quindi rispettata.
L’unica vera realtà è che produrre in Italia(qualunque cosa) costa più che produrre altrove e questo determina le conseguenze ampiamente commentate.
Mi sorge spontanea una domanda: perchè produrre pasta in Italia? Invece di spostare il grano dall’Ucraina all’ Italia spostiamo la produzione in Ucraina e facciamo viaggiare la pasta: sai che vantaggi?
Temo purtroppo di non essere il primo a pensarlo.

Daniele
Daniele
Reply to  gianluigi mazzolari
6 Dicembre 2013 09:05

Questo è proprio quello che è successo in questi anni. Spostaree la produzione per abbassare i prezzi. Ma così facendo, primo togli lavoro da un settore di produzione fondamentale e secondo non sai se i prodotti vengono coltivati in modo corretto e con i controlli che ci sono qui in Italia. Che senso ha comprare a basso prezzo se non hai il lavoro/soldi?

Maurizio
Maurizio
Reply to  Daniele
6 Dicembre 2013 16:24

Bravissimo Daniele. Se potessimo essere in così tanti a pensarla in questa direzione avremmo il controllo del nostro territorio e pensa se in tutto il mondo ogni nazione si impegnerebbe a essere autosufficiente in quel che può, poi miglior offerente in base alla qualità, e fatto il mercato. Così toglieremmo il giochino dei divertimenti al WTO e company che specula troppo spesso con le nostre vite ignare. Le nostre idee, vere, queste sarebbero e sono la nostra politica.

Maurizio
Maurizio
Reply to  gianluigi mazzolari
8 Dicembre 2013 16:17

La tua idea liberista e libertaria credo che sia proprio in linea con questo sistema capitalistico. Ti ricordo però che in queste logiche di mercato ci sono, oltre al “conveniente” anche persone, saperi, cultura e speranza, che se defraudate alla lunga rendono le persone, distanti, distaccate e soprattutto disoccupati all’interno della società. Se tu fossi un operaio del settore grano o pasta o un imprenditore, lasceresti tutto in nome del conveniente economicamente?? Cosa resta di intessuto sociale, culturale se rapinato nei propri valori?? Infatti guardando la realtà dovremmo cercare sempre più popoli da sfruttare, terre da conquistare, forse inizieremo a coltivare grano su marte o sulla luna, brevettando il marchio e affamando i popoli.

Maurizio
Maurizio
Reply to  Maurizio
8 Dicembre 2013 16:18

Riferito a mazzolari.

Alessandro
Alessandro
6 Dicembre 2013 18:01

Maurizio, l’esempio dell’energia rinnovabile serviva solo a dire che ci sono vari settori in cui si può pensare di investire. Non sto sostenendo che quella sia necessariamente la strada.
Ammettiamo che si decida di investire nel settore primario. Facciamo in modo che la Sicilia venga ricoperta di campi di grano. Perfetto…abbiamo risolto il nostro fabbisogno così? Magari no…facciamo lo stesso in Puglia….abbiamo risolto così? forse sì, ottimo. Ci rimangono tutte le altre materie prime il cui fabbisogno non riusciamo a coprire…cosa facciamo? Bisogna trovare il posto per allevare i manzi per realizzare tutta la carne che serve per la Bresaola della Valtellina IGP, bisogna trovare il posto per piantare gli olivi che mancano, abbiamo risolto col grano duro, e dove coltiviamo il grano tenero per poter soddisfare la domanda di pane e pizza?
Maurizio, tu credi che se tutti consumassero a km 0 ci sarebbe la possibilità di coltivare o allevare sul nostro territorio tutte le materie prime richieste? E se anche fosse, siamo sicuri che il territorio utilizzato per coprire questa domanda non potesse essere utilizzato in modo migliore per altro?
Ma anche se avessimo risolto la domanda interna…come soddisfiamo l’export?

Maurizio
Maurizio
Reply to  Alessandro
8 Dicembre 2013 11:31

Credo che sia difficile stimare tutti i fabbisogni di tutte le materie prime di una nazione. I calcoli e gli indici sono tutti approssimativi e non sono esaustivi, sono di massima interpellabili dagli azionisti di mercato merci a cui fanno riferimento per orientare il lo business. Ma riusciamo a capire purtroppo proprio questo?? Le nazioni non possono servire solo per orientare i propri appetiti economici o commerciali. Purtroppo siamo difronte ad un sistema economico sbagliato, truccato dove la scienza server solo a far aderire le intenzionalità di chi ha forza per spostare le microeconomie. Quando l’analista intervistato dice che è inevitabile importare il 50% non dice un dato fasullo. Dico solo che se la direzionalità dell’economie è spinta a far si che una nazione non possa per quanto può massimizzare le rese, come facciamo a dire che abbiamo per forza necessità di importare ?? non sviamo il discorso in cose puri giuste e precise, didattiche che tu esponi. Se fai un giro in italia e sei anche curioso del territorio, ti accorgerai che vi sono estensioni inqualificabili di terra lasciata incolta grazie alle politiche agricole, ovvero pagare gli agricoltori per non produrre?? Questo non ti fa accendere nessuna lampadina?? Cosa pensi di questo?? “é come dire, tu non produrre ti do i soldi, poiu quando hai fame te lo procuro io e pagamelo”, cosa ne pensi?? In più, non pensi che il cibo non sia un bene non equiparabile a tutte le altre produzioni e pertanto dovrebbe essere dispensato da queste spirali vorticose dell’economia?? Non lo vedi che neanche attraverso l’analisi economica di base si possono spiegare certe dinamiche?? Non siamo più difronte al semplice incontro tra la curva di domanda e offerta??

Alessandro
Alessandro
7 Dicembre 2013 19:41

@Alessio.
– sul termine migliore le ho infatti specificato che è da intendere “più adatto” e i motivi sono stati spiegati continuare a ripeterli è pedante.
-l’utilizzo di Saccharomyces cerevisiae non è certo un’invenzione dell’epoca moderna. E il suo utilizzo come già detto può essere quasi nullo in impasti a lunga maturazione che necessitano di farine forti.
-la W è la forza della farina. Se le cita la forza cita la W. Altrimenti la sta citando impropriamente, appunto, senza cognizione di causa.
-i residui dei prodotti fitosanitari si accumulano prevalentemente sul pericarpo. E di conseguenza sono molto più presenti nella farine meno raffinate.

Alessio
Alessio
Reply to  Alessandro
9 Dicembre 2013 13:46

– pensavo che l’indice W fosse un termine più tecnico rispetto a “forza”, siccome non sono un tecnologo e mi occupo di altro o meglio di ciò che viene prima della farina sono spesso impreciso ma non cito senza cognizione di causa.
– i principi attivi dei fitofarmaci si muovono anche per via sistemica e si trovano quindi anche nell’endosperma, mentre è diverso per i metalli pesanti che sembra si fermino nei tegumenti esterni.
– è ovvio che il S.C.non è un invenzione dell’epoca moderna ma l’utilizzo c’è eccome, basta che domanda a qualche suo amico pizzaiolo ….
Tutto questo per dire che si parla di forza della farina come aspetto vitale rispetto alla genuinità del prodotto stesso anche perché vediamo tutti i giorni una farina raffinata di manitoba per esempio cosa fa al nostro organismo….

Carla
Carla
7 Dicembre 2013 20:44

Alessandro scusa, ma in un mondo dove il terreno e la produzione di alimenti e sempre piu preziosa per una popolazione in crescita anche nella qualita dei prodotti, ci preoccupiamo se dobbiamo importare prodotti? Puertroppo questo lo dovremo fare in opgni caso, ma ci sono grandi margini di miglioramento. Accordi strutturati tra produttori italiani e molini o pastifici vanno a beneficio di entrambi, per la minore distanza, la maggiore conoscenza del prodotto, e anche. L’indotto che si genera. Pensare che tanto e uguale avere un grano buono estero o un grano buono italiano distrugge la nostra economia ed e quello che sta avvenendo. Il Germaania (hanno meno l anello al naso di noi) sono molto attenti a utilizzare prima tutte le loro risorse interne. E un circolo virtuoso che fa crescere il Paese

Maurizio
Maurizio
Reply to  Carla
8 Dicembre 2013 16:09

Esatto, Carla. Nei miei post, volevo appunto evidenziare questo.

Alessandro
Alessandro
Reply to  Carla
8 Dicembre 2013 17:07

Credo sia il caso di cominciare a definire alcune cose.
Siamo in UE e lo abbiamo voluto noi.
Siamo in una situazione in cui il mercato del grano non è il massimo della trasparenza.
Siamo in un mercato di dimensione globale.
In questo contesto la nostra offerta non soddisfa la domanda e dobbiamo importare.
Questo è lo scenario. Giusto o sbagliato che sia. Io non sto difendendo lo status quo. Ma le considerazioni che faccio si basano sulla situazione come è ora.
Un’azienda che compra semola per fare pasta può (estremizzo per semplicità): 1) Acquistare ottimo grano nazionale; 2) acquistare ottimo grano esterno; 3) acquistare pessimo grano nazionale; 4) acquistare pessimo grano estero.
Se noi diamo importanza alla qualità del prodotto premiamo il caso 1 e il caso 2.
Se noi inseguiamo la bandierina dell’origine premiamo il caso 1 e il caso 3.
E premiare il caso 3 non va assolutamente a vantaggio del nostro sistema paese.
Ma accadrà questo se ad accompagnare in etichetta l’indicazione dell’origine non ci sarà anche una corretta campagna di informazione che dia voce anche alle correnti diverse da quelle che fanno demagogicamente blocchi al Brennero.

Alessio
Alessio
Reply to  Alessandro
9 Dicembre 2013 14:02

“Siamo in UE e lo abbiamo voluto noi”: direi proprio di no assolutamente falso non ci hanno chiesto nulla!
“In questo contesto la nostra offerta non soddisfa la domanda e dobbiamo importare”: intanto abbiamo migliaia e migliaia di ettari in abbandono al sud e importiamo grano da fuori stivato in navi e già ti ho detto tutto…oppure produciamo per il biogas, il biodiesel oppure mettiamo i pannelli fotovoltaici anziché mettere colture vocate e potenzialmente di altissima qualità….senti ma aldilà della bandierina ti hanno informato mai sull’inquinamento che crea il transito di merce da fuori? favorire il sistema economico locale oggi più che mai bloccato dalla globalizzazione del mercato è un vantaggio per chi produce e per chi consuma …

Alessandro
Alessandro
8 Dicembre 2013 17:42

Che poi si possa e si debba lavorare a livello politico per migliorare lo status quo non lo discuto.
Quando Maurizio parla di massimizzare le rese io condivido. Non dico che non si debba fare.
Ma è come mettersi un maglione in più quando si ha freddo invece di chiudere la porta per evitare che il freddo entri.
Poi Maurizio, non so se ho compreso bene il tuo esempio. Dici: “perchè non devo produrmi io il cibo invece di pagarlo?” Ok, ma se applichiamo lo stesso concetto ad altri settori? L’energia ad esempio…In un paese industrializzato (e il nostro è ancora il settimo al mondo), l’energia non ha la stessa importanza del cibo? Non è anche quello penalizzante per il nostro sistema paese?? Ma anche per quella siamo costretti a rivolgerci altrove…E qui ritorno a quando si parlava dei pannelli fotovoltaici in Sicilia. E ripeto, non sto necessariamente sostenendo il fotovoltaico. E’ un esempio che mi serve per dire che, in quel caso, devi scegliere se investire in energia o in agricoltura. Quando la coperta è corta si deve necessariamente scegliere quale parte accontentare.
E anche se si decidesse di investire in agricoltura si dovrebbe comunque scegliere quale settore privilegiare a scapito di altri. Grano sì e latte no? Grano sì, latte, sì, carne bovina no? Il motivo lo si capisce, lo ripeto, con il mappamondo davanti.
Che i nostri politici non siano stati in grado di difendere sufficientemente la nostra agricoltura quando era il momento di farlo non lo discuto. E non è certo l’unica cosa su cui hanno mancato purtroppo…
Ma in UE ci siamo e per il fatto di esserci bisogna a mio parere cominciare a ragionare su scala più ampia.

Maurizio
Maurizio
Reply to  Alessandro
8 Dicembre 2013 23:34

Carissimo Alessandro, ciò che dici del sistema politico europeo è ormai assodato e pienamente condivisibile. Quello che però dobbiamo valutare è se l’UE sia o meno un vincolo troppo pesante da sostenere, visto anche che non abbiamo fatto un suffragio universale per volerla. Il concetto su cui non possiamo discutere e che dovrebbe unirci è che l’alimentazione come e prima della salute, è VITA. Se ci permettiamo di trattare il cibo come tutti gli altri settori, abbiamo veramente finito la nostra indipendenza. Se parli poi di Energia, dovresti sapere che i prezzi che vengono applicati alle singole nazioni, non rispondono a reali prezzi di mercato ma, sono anch’essi vittima di speculazioni e raggiri burocratici. Se ben sai l’Italia per esempio ha una quota molto buona di produzione sia da fonti rinnovabili sia da nuovi impianti tradizionali (di ultima generazione), che consentirebbero di avere un risparmio teorico in bolletta cospicuo ad ogni cittadino o imprenditore, data la maggiore efficienza di costi e produzione netta dei medesimi.
Però l’energia che è nel libero mercato come a te piace, subisce anzitutto le influenze del costo del petrolio e in più è aggravata dalle oscillazioni finanziarie che ne determinano l’appetibilità economica da parte degli investitori; a dimostrazione di ciò, gli ultimi trend d’investimento nel settore energetico sono fortemente in ribasso poiché la crisi ha determinato un minore consumo della stessa così da trascinare il prezzo verso valori più alti. Capisci quindi che in un mondo dove tutto è connesso, l’instabilità che si genera volutamente o no, crea disastri che la massa è costretta a sostenere. Capisco però anche la tua forte buona volontà e capacità a voler far si che purtroppo, che lo vogliamo o no, bisogna correre ai ripari altrimenti gli altri ci calpesteranno…

Maurizio
Maurizio
8 Dicembre 2013 23:33

Carissimo Alessandro, ciò che dici del sistema politico europeo è ormai assodato e pienamente condivisibile. Quello che però dobbiamo valutare è se l’UE sia o meno un vincolo troppo pesante da sostenere, visto anche che non abbiamo fatto un suffragio universale per volerla. Il concetto su cui non possiamo discutere e che dovrebbe unirci è che l’alimentazione come e prima della salute, è VITA. Se ci permettiamo di trattare il cibo come tutti gli altri settori, abbiamo veramente finito la nostra indipendenza. Se parli poi di Energia, dovresti sapere che i prezzi che vengono applicati alle singole nazioni, non rispondono a reali prezzi di mercato ma, sono anch’essi vittima di speculazioni e raggiri burocratici. Se ben sai l’Italia per esempio ha una quota molto buona di produzione sia da fonti rinnovabili sia da nuovi impianti tradizionali (di ultima generazione), che consentirebbero di avere un risparmio teorico in bolletta cospicuo ad ogni cittadino o imprenditore, data la maggiore efficienza di costi e produzione netta dei medesimi.
Però l’energia che è nel libero mercato come a te piace, subisce anzitutto le influenze del costo del petrolio e in più è aggravata dalle oscillazioni finanziarie che ne determinano l’appetibilità economica da parte degli investitori; a dimostrazione di ciò, gli ultimi trend d’investimento nel settore energetico sono fortemente in ribasso poiché la crisi ha determinato un minore consumo della stessa così da trascinare il prezzo verso valori più alti. Capisci quindi che in un mondo dove tutto è connesso, l’instabilità che si genera volutamente o no, crea disastri che la massa è costretta a sostenere. Capisco però anche la tua forte buona volontà e capacità a voler far si che purtroppo, che lo vogliamo o no, bisogna correre ai ripari altrimenti gli altri ci calpesteranno…

Alessandro
Alessandro
Reply to  Maurizio
9 Dicembre 2013 10:46

Maurizio, stiamo guardando le cose da punti diversi.
Io guardo lo status quo e cerco di capire in che modo ci si deve muovere all’interno di esso.
Tu guardi lo status quo e ragioni su come cambiarlo. Io non sto contestando il tuo modo di vedere la cosa che trovo nobile e che peraltro largamente condivido.
E il mio ragionamento non è nemmeno dettato dal menefreghismo o dall’accettare se non addirittura condividere lo status quo, come pensi che io faccia.
Io penso però che ognuno debba avere il suo ruolo e sulla base di questo, ognuno ha le sue responsabilità.
La scelta di entrare nell’UE è stata fatta. Possiamo anche discutere sulle modalità o sull’utilità di tale scelta. Ma è stata fatta.
Un’azienda, un agricoltore, un allevatore, qualunque operatore lavora in questo contesto. Che può non essere il migliore dei contesti possibili ma è questo. Lamentarsi di un’azienda che a parità di qualità sceglie la materia prima che costa meno, anche se estera, è sbagliato. Un’azienda seria ha il dovere di perseguire la qualità. Poi a seconda della “mission” un’azienda può privilegiare materie prime nazionali. Anche qui, come in tutto, si tratta di scelte. Non è corretto dire, come leggo qui, che chi persegue la qualità a prescindere dell’origine sia un “furbetto”. Poi il consumatore ha diritto di premiare la scelta che ritiene più in linea col proprio pensiero. Però deve essere chiaro, che in un caso, premia la qualità, nell’altro no, o meglio, non necessariamente.
Questo non viene detto in modo chiaro, perchè ci sono lobby che non hanno l’interesse che questo sia chiaro.
E questo è il motivo per cui sostengo che indicare obbligatoriamente l’origine, non garantisce, ad oggi, a causa dell’informazione di parte che quotidianamente subiamo, la trasparenza verso il consumatore, ma anzi favorirebbe di più le aziende meno serie e meno attente che sceglierebbero senza pensarci troppo materie prime scadenti ma italiane, pur di mettere una bandierina in etichetta.
Poi, a livello politico, bisogna lavorare per fare in modo che lo status quo migliori. Ma le battaglie politiche vanno combattute in modo trasparente verso tutti. Non con le ideologie, non con le divisioni tra buoni e cattivi, ma valutando i vantaggi e gli svantaggi di ogni scelta che si farà…consci che qualunque sia la scelta genererà parti soddisfatte e parti scontente.

Alessandro
Alessandro
9 Dicembre 2013 20:52

@Alessio: ormai i concetti si fanno ridondanti.
Se si parla di un argomento bisogna anche utilizzare un vocabolario comune. W è la forza. Non è che uno lo deve necessariamente sapere, io sono il primo degli ignoranti qui dentro, ma nel momento in cui la si cita lo si deve fare in modo pertinente.
Quanto al lievito di birra: lei conosce la ricetta della pizza? ha idea di quanto lievito vada nell’impasto? Per il resto, come ho già detto, l’impasto con farine forti consente di utilizzare una quantità di lievito quasi nulla. Se i pizzaioli che lei conosce abusano di lievito non è colpa nè della farina nè del lievito stesso.
Quanto all’altro suo intervento, siamo membri fondatori: non mi pare di ricordare una levata di scudi contro i graduali processi di unificazione europea che si sono succeduti in questi quasi 70 anni. Anzi. Nel ’89 quando si è votato il passaggio da CEE a UE la % di favorevoli è stata ampia.
Sul resto dell’intervento: sul km 0 e sulle aree incolte ormai si è detto e stradetto e rischia di non essere più un confronto costruttivo, ma solo uno sterile botta e risposta tra le due parti, anche poco interessante.
Mi dica solo una cosa a cui ancora non ho sentito risposta: tra i 4 casi che ho riportato in un mio commento precedente, dando per scontato che il caso 1 (utilizzo di ottimo grano nazionale) è quello che tutti vorremmo , lei preferisce un’azienda che per i suoi prodotti utilizza un ottimo grano estero (caso 2) o un pessimo (perchè esiste anche quello eh!) grano nazionale (caso 3)?

Alessio
Alessio
Reply to  Alessandro
10 Dicembre 2013 15:01

eheheh queste domandine costrittive sono fantastiche ma non è un quiz di guida caro alessando la realtà è diversa…per esempio, per la mia azienda che fa biscotti andrò dal molino più vicino che abbia queste caratteristiche: macine a pietra, faccia la linea del biologico, abbia delle farine che provengano da una miscela di grani antichi locali capaci di fornire ottime prestazioni tecnologiche all’impasto e lievitazione e il resto viene da sè….e ci sono queste realtà mi dispiace che non le menziona e se non ci sono in alcuni areali si costruiscono perché sono vantaggiose per tutti i soggetti di filiera nessuno escluso!!!! è questa la sfida caro alessandro!!!

Alessandro
Alessandro
Reply to  Alessio
11 Dicembre 2013 09:48

Io, a differenza sua e di altri qui, non rifiuto assolutamente nessuna realtà a priori. Se lei ha trovato il suo optimum nell’utilizzo di farine ottenute da “miscele di grani antichi” è giusto che le utilizzi e sbaglierebbe a cambiare.
Pretendere però che le farine che per il suo processo tecnologico sono perfette debbano andare bene per tutti è sbagliato. Sostenere che per forza la farina del mulino dietro l’angolo vada bene per il pizzaiolo del paese è sbagliato. E se il pizzaiolo in questione invece di cercare la farina migliore per il prodotto che vuole realizzare si limita ad accontentarsi di ciò che trova dietro l’angolo sbaglia.
Se seguissimo questa logica tutti dovremmo comprare solo automobili Fiat.
Questo voler cambiare i massimi sistemi economici da parte di alcuni qui è nobile ed è una linea che va sostenuta e che sostengo anche io per migliorare il “domani”.
Ma una cosa non esclude l’altra.
Le aziende che lavorano “oggi”, hanno il dovere di farlo con le materie prime migliori ai costi migliori. Se “domani” tali materie prime saranno italiane, allora sì che sarà meglio per tutti. Ma fino ad allora è assurdo chiedere alle aziende di spendere di più per avere una materia prima di qualità uguale o inferiore pagandola di più. Aiuti gli agricoltori della zona così? ottima cosa. Magari però riduci i margini dell’azienda che potrebbe trovarsi costretta lasciare a casa qualcuno visto il momento non certo roseo che attraversiamo. Chi ci ha guadagnato da questa situazione? Non è che il sistema Italia è fatto solo dall’agricoltura. E’ troppo semplicistico trarre conclusioni generali guardando i vantaggi di una parte sola.
E bisogna uscire dalla mentalità che identifica gli agricoltori tra i buoni e le industrie tra i cattivi.
La situazione si può e si deve migliorare a livello politico in UE con la riforma della PAC ad esempio.
Fino ad allora, volersi comportare come se l’UE non esistesse e senza accettare che il mercato e i suoi attori non sono quelli di “una volta” è miope.
Quindi le chiedo ancora e mi spiace se per lei è un quiz costrittivo: nel contesto in cui siamo oggi, chi è da premiare? chi per i propri prodotti utilizza un ottimo grano estero o chi utilizza un pessimo grano nazionale?