Vi scrivo per esprimere la mia più totale indignazione nei confronti del Governo italiano in relazione alla normativa che disciplina l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari. Il Governo non risulta essersi ancora attivato per mantenere l’obbligatorietà di indicare la “sede dello stabilimento di produzione” in etichetta. Da consumatore si tratta di un elemento molto importante perché voglio sapere dove un alimento è stato prodotto, in quale regione ed in quale paese!!! Il Governo sembra aver deciso di accontentarsi della debole protezione offerta da Bruxelles. Ciò è vergognoso perché si tratta di un’informazione essenziale e l’Italia ha tutto il diritto di mantenerla in vigore sul proprio territorio. Cosa si può fare per tutelare la nostra salute ed il nostro diritto ad essere informati?
Gabriele Bertossi
Risponde Dario Dongo esperto di diritto alimentare
L’indicazione in etichetta della sede dello stabilimento di produzione o confezionamento, non é mai stata prevista dal legislatore europeo, e infatti non è un elemento inserito nella nuova normativa che entrerà in vigore il 14 dicembre 2014 .Il Governo italiano ha introdotto l’obbligo di questa informazione supplementare, dopo avere ottenuto il nulla osta della Commissione europea in quanto giustificato da esigenze di sicurezza. Il perché è semplice: conoscere la sede dello stabilimento di confezionamento del prodotto consente alle autorità di controllo – anche al di fuori dei canonici orari d’ufficio – di risalire con immediatezza all’impresa e all’impianto da cui il vizio di sicurezza é scaturito. In questo modo si posono attivare facilmente le azioni correttive utili a mitigare il rischio per la salute pubblica in caso di allerta alimentare coem potrebbe accadere in una conserva vegetale contaminata dalla tossina del botulino.
Il regolamento UE 1169/2011 (vedi e-book L’Etichetta), nel ridefinire le regole comuni in tema d’informazione al consumatore per i prodotti alimentari, ha confermato la possibilità per gli Stati membri di aggiungere prescrizioni nazionali ulteriori, da applicarsi sui prodotti commercializzati sui loro territori (reg. citato, capitolo 6). A tal uopo, i Governi dei Paesi aderenti sono tenuti a notificare le norme nazionali alla Commissione europea. La quale a sua volta potrà verificare la compatibilità delle stesse con lo ‘aquis communitaire’.
C’è di più, come accenna il preoccupato consumatore che ci scrive – il Ministero per lo sviluppo economico ha effettivamente espresso l’assenza di volontà rispetto al mantenimento dell’obbligo nazionale di citare la sede dello stabilimento (di produzione e/o confezionamento) sulle etichette dei prodotti alimentari venduti in Italia. Questa intenzione è stata ribadita in una nota informativa diffusa alla fine del mese luglio 2014 che però non é stata resa pubblica, bensì trasmessa alle Associazioni rappresentative delle varie categorie produttive. Questa nota propone diversi articoli che esamineremo meglio nei prossimi giorni.
Che fare, come stimolare il Governo a riproporre l’obbligatorietà della citazione della sede dello stabilimento sulle etichette dei prodotti alimentari commercializzati in Italia? L’unica opzione è rilanciare la petizione a suo tempo promossa da Io leggo l’etichetta. Vale la pena ribadire che la notizia sullo stabilimento di produzione, oltre ad avere una funzione importante per la sanità pubblica, serve ai singoli consumatori per scegliere un alimento rispetto a un altro anche in considerazione del paese o la regione dove è prodotto per motivi legittimi come sostenere l’economia e l’occupazione locali, in nome del valore del lavoro.
Dario Dongo
Il Fatto Alimentare e Great Italian Food Trade il 5 gennaio 2015 hanno promosso una petizione per ripristinare l’obbligo di inserire in etichetta lo stabilimento di produzione.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Diciamo anche però che il bollo CE, che di fatto sostituisce l’indicazione dello stabilimento è e rimane obbligatorio per i prodotti di origine animale…
Il bollo sanitario assolve effettivamente alle esigenze di sanità pubblica per quanto attiene la gestione del rischio. Al punto che, sui prodotti che lo riportino, già da anni non è prescritta l’indicazione della sede dello stabilimento.
Tuttavia, dal punto di vista dei consumatori – la cui maggioranza non fa la spesa portando con sé l’elenco degli stabilimenti autorizzati in UE – la notizia sul luogo di produzione dell’alimento può costituire un elemento utile a eseguire una scelta informata di acquisto.
E appare incontestabile il diritto del consumatore medio di poter sapere, ad esempio, se una mozzarella proviene dall’Austria piuttosto che dall’Italia. O no?
Salve, purtroppo una delle novità del Regolamento che come è stato ben descritto nell’articolo novità non è, è quella di ribadire nuovamente che l’unica indicazione obbligatoria in etichetta è quella del responsabile commerciale.
Pertanto spero che tutti gli imprenditori italiani riportino volontariamente se possibile, l’indirizzo dello stabilimento italiano di produzione al fine di consentire ai consumatori di scegliere cosa acquistare e non.
Purtroppo essendo non più una direttiva ma un Regolamento credo che il governo italiano se interessato, possa lavorare legislativamente solo a livello europeo.
Evoluzione del genere umano o involuzione? O chi è più grosso schiaccia il più piccolo?
Questa e’ l’ennesima decisione da contrastare in tutte le maniere, che mira a nascondere quanto più’ possibile ai consumatori le verità’. Perché non dobbiamo conoscere lo stabilimento di produzione di quello che mangiamo e utilizziamo? Quali oscuri interessi devono essere a noi nascosti. Perché la luce del sole da tanto fastidio? Da consumatore bisogna fare in modo di penalizzare tutti i partiti ,i movimenti politici che a livello nazionale non si battono per evitare che tutto ciò’ avvenga.
Non vedo come può tutelare il fatto di conoscere l’indirizzo dello stabilimento di produzione,che tra le altre cose attualmente potrebbe essere solo il confezionatore.
Da consumatore vorrei sapere se è prodotto in italia,ma sarebbe più utile conoscere la provenienza delle materie prime utilizzate.
Solo che alla fine tutte queste informazioni non si possono mettere in etichetta perché non ci stanno fisicamente.
Che senso ha avere un prodotto fatto in toscana con le materie prime della cina!e allora è davvero importante conoscere lo stabilimento di produzione?direi di no….
Avvocato Dongo, ho semplicemente trovato fuori luogo enfatizzare una “mancanza” del Reg UE 1169/2011, quando in realtà, di fatto, per i prodotti di origine animale, non cambia nulla. L’indicazione dello stabilimento può essere messa su base volontaria, tanto quanto prima.
Sono portato a pensare che molti di quelli che si scandalizzano e gridano all’occultamento delle informazioni non sappiano che in realtà la sede dello stabilimento (in forma esplicitamente testuale) non era obbligatoria nemmeno fino ad ora…altrimenti questa levata di scudi mi sembra quantomeno in ritardo di 22 anni almeno…
Quindi, va benissimo invocare i diritti del consumatore, ma ci vuole anche coerenza…
Veramente il D.Lgs. 109 del 1992, tutt’ora in vigore, all’articolo 3 recita, “i prodotti alimentari preconfezionati destinati al consumatore devono riportare le seguenti indicazioni:
e) il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la
sede o del fabbricante o del confezionatore o di un venditore
stabilito nella Comunita’ economica europea;
f) la sede dello stabilimento di produzione o di
confezionamento”
non mi pare facoltativo!
Ma il D.Lgs. 109/1992 decadrà il 13/12/14 (salvo alcune specifiche parti) con l’entrata in vigore del Reg. 1169/2011
il regolamento va sopra alla nostra 109,
vedi le note 0139304 del Min Sviluppo Economico del 31/07/2014
Nel quale sostanzialmente si ribadisce che l’indicazione dello stabilimento è volontario … e se indicato non può occupare lo spazio di quelle obbligatorie e deve indurre in errore sulla responsabilità,
…in quanto ad oggi non vi sono strumenti per mantenere le disposizioni nazionali diverse da quelle UE.
Certo, ma come confermato anche dall’avvocato Dongo, per i prodotti di origine animale, il bollo CE sostituisce l’indicazione dello stabilimento di produzione.
Francamente non capisco questo scandalismo che trovo fuori luogo.
Forse è meglio dire le cose come stanno.
1) Da diversi anni ormai, se io sono un importatore di prodotti comunitari, non indico lo stabilimento di produzione
2) In Italia permaneva l’obbligo con la 109, ma in Europa no. Quindi un prodotto fatto in un Paese comunitario viene attualmente venduto in Italia senza riportare lo stabilimento
3) Rimane l’obbligo del Bollino per i prodotti animali, ma evidentemente è un’indicazione per gli addetti ai lavori e non per i consumatori.
La questione mi pare semplice. La responsabilità del prodotto è di chi ci mette il marchio e lo commercializza. Quindi lui ha l’obbligo di attivare tutte quelle attività di controllo della salubrità di un alimento esattamente come il produttore che gestisce la linea.
Prenderne atto significa che la fiducia del consumatore deve essere rivolta al proprietario del marchio e non allo stabilimento. Ma questo è sostanzialmente già così, perchè in caso di produzione per terzi, il produttore non decide nulla tranne il fatto di rispettare le norme per evitare che il committente possa rivalersi in caso di contestazioni.
Insistere sullo stabilimento è solo prendere in giro il consumatore, o peggio esprimere un pregiudizio rispetto alla località di produzione, la quale a sua volta nulla dice rispetto alla provenienza delle materie prime.
Egr. Avvocato a questo punto mi sorge un dubbio, nel caso di un prodotto IGP, mi riferisco in particolare alla pasta di Gragnano, l’indicazione del produttore nonché dello stabilimento di produzione è e rimarrà sempre obbligatoria, giusto?
Il Regolamento (UE) n. 969/2013 iscrive la denominazione pasta di Gragnano IGP nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette sulla base del disciplinare che prevede le indicazioni in etichetta:
a) “Pasta di Gragnano” e “Indicazione Geografica Protetta” o l’acronimo “I.G.P.”;
b) di nome, ragione sociale e indirizzo dell’azienda confezionatrice o produttrice;
c) il logo della denominazione da utilizzare in abbinamento inscindibile con la Indicazione Geografica Protetta.
L’obbligo di indicare la sede dello stabilimento di produzione/confezionamento può essere o meno utile. La valutazione è più politica che pratica, se si pensa che 26 stati di europa su 27 non hanno tale indicazione, ed esistono disposizioni armonizzate da ormai 25 anni senza che l’assenza di tale requisito abbia determinato forme di eccidio o ecatombe altrove. Se utile, conserveremo tale indicazione in via volontaria, con buona pace dei retaggi di leggi di polizia sanitaria che francamente era ora cessassero di esistere! Questo obbligo tutto italiano ha invece creato per anni un alibi utile (a Industrie e GDO committenti) a far comparire anche il nome del produttore in etichetta (non richiesto dal 109) attribuendogli – di conseguenza – ogni responsabilità, sia sul prodotto che sulle informazioni fornite ai consumatori. Laddove è invece sempre vero che ogni cliente verifica il prodotto e decide dove e come fornire le informazioni ai consumatori! Ben venga dunque la scomparsa dello stabilimento di produzione, se favorisce pratiche leali, allora! Ben vengano committenti che si assumono anche le responsabilità e gli oneri (oltre che gli onori) dei prodotti loro forniti e venduti a proprio marchio! Ben vengano le sanzioni per fallaci o ingannevoli informazioni indirizzate finalmente agli effettivi responsabili delle informazioni! Ben venga che una pletora infinita di Autorità di controllo, spesso in sovrannumero e carenti per competenza/informazione, studino le normative e si attivino per reperire di volta in volta e con la dovuta tempestività le informazioni necessarie a tracciare il prodotto….finalmente lavorano!
Come principio generale ogni info veritiera è utile (se non finalizzata a fare confusione), per cui sceglierò solo tra i prodotti che recano anche l’indicazione dello stab. di produzione. Solo un esempio: non è utile sapere da dove viene l’acqua utilizzata?
@vincenzo:
L’acqua di processo dev’essere in ogni caso conforme alla normativa vigente, ovunque il prodotto sia realizzato.
Chi opera nell’alimentare,poi, sa che non solo i grandi stabilimenti, ma anche buona parte dei piccoli laboratori artigianali, utilizza purificatori (per deionizzazione, microfiltrazione e ultrafiltrazione, addolcimento, dissalazione, depurazione a scambio ionico, osmosi inversa ecc.).
Salve Avv.Dongo,
ho avuto il piacere di conoscerla di persona a Bari in occasione del Workshop organizzato da Indicod, mi è sembrata una persona molto disponibile per cui mi permetto di chiederle un chiarimento in merito all’origine del prodotto….conserve vegetali: ingredienti di provenienza italiana, comunitaria ed extracomunitaria…conserve prodotte totalmente in Italia….posso inserire in etichetta dicitura “Made in Italy”? Posso utilizzare la bandiera Italiana? Il dubbio mi sorge perchè per alcuni nostri prodotti l’ingrediente primario è di origine non Italiana.
La ringrazio in anticipo per la sua disponibilità
Salve a tutti.
A proposito della legittima esigenza, da parte del consumatore, di sapere se un prodotto è realizzato o no in Italia: il 1169/11, se non sbaglio, dice anche che “Le indicazioni relative al paese d’origine o al luogo di provenienza di un alimento dovrebbero essere fornite ogni volta che la loro assenza possa indurre in errore i consumatori per quanto riguarda il reale paese d’origine
o luogo di provenienza del prodotto”; se su un etichetta leggo la ragione sociale di un’azienda e il suo indirizzo in Italia, a mio modesto avviso l’omissione dell’indicazione del paese in cui il prodotto è effettivamente realizzato può eccome trarre in inganno il consumatore… in questo caso dovrebbe assolutamente essere specificato “Prodotto in Cina”, “Turchia” o quello che è! Questa almeno è la mia interpretazione del comma in questione…
Aspetto diverso è invece lindicazione dello stabilimento produttivo in Italia, che non serve tanto ai consumatori quanto alle autorità!
A PROPOSITO DI IGP: Grazie per la risposta Avvocato, il regolamento lo conosco bene. Mi chiedevo però: in questo caso non abbiamo un regolamento che va contro una legge europea? Non bisogna rispettare comunque quella che se non sbaglio si chiama “gerarchia delle norme”?
Grazie, Ciro.
Sono esterrefatto: sulla mia confezione della pasta frolla Buitoni c’è scritto SOLO “importato da Nestlè italiana” , ma importato da dove ???
Guarda che non è così strano. Bisogna cambiare prospettiva. Chi ha la responsabilità del prodotto è Nestlè. Che poi lo faccia su un suo impianto o su un impianto di terzi sono problemi suoi, se il prodotto è fatto a Padova o in Birmania sono problemi suoi, ma nulla tolgono alla sua responsabilità per aver messo in commercio il prodotto. Questa c’era anche prima, ma con il nuovo regolamento europeo viene ulteriormente chiarita.
La questione fondamentale è il rapporto tra te e Nestlè: se ti fidi bene, compri il prodotto, ma se non ti fidi non devi comprare il prodotto. Se vuoi comprare prodotti locali devi fare scelte diverse.
Infine tieni conto che Nestlè ha scritto la parola importato, ma poteva non farlo e scrivere solo Nestlè senza indicare lo stabilimento o la provenienza ed era tutto regolare. Oggi ci sono sul mercato molti prodotti fatti all’estero ed importati in Italia da qualcuno che indica solo il proprio nome senza indicare che è importato. Magari il marchio appartiene ad un’azienda che fa solo commercializzazione e non controlla nulla sulla qualità. Pensa che potrebbe non avere l’autorizzazione sanitaria e la cosa sarebbe perfettamente in regola!