Un gruppo di scienziati europei pubblica una lettera aperta ai governi degli Stati membri dell’Unione, che il 22 marzo avrebbero dovuto decidere se accettare la proposta della Commissione europea di vietare in maniera permanente l’uso di tre insetticidi neonicotinoidi – clothianidin, imidacloprid e thiamethoxan –, considerati tra i principali responsabili della scomparsa delle api, ma il voto è stato rimandato. Ripubblichiamo qui di seguito il testo della lettera.
Abbiamo bisogno delle api. Circa un terzo delle nostre riserve di cibo sparirebbe senza il lavoro di api domestiche e selvatiche e di altri impollinatori. Non è esagerato dire che questi insetti sono di importanza vitale, sia per gli ecosistemi naturali che per la nostra stessa sopravvivenza. Molti governi sostengono che gli attuali standard di protezione degli impollinatori siano sufficienti. Ma in qualità di scienziati che hanno dedicato decenni di studio ai delicati equilibri tra insetti, ambiente, e coltivazioni da cui tutti dipendiamo, ci permettiamo di dissentire.
Molte specie selvatiche hanno già subito un enorme declino, mentre altre si sono addirittura completamente estinte. Anche se i motivi di questa scomparsa sono complessi, come la perdita degli habitat e la diffusione di malattie non native, l’esposizione ai pesticidi è emersa come una probabile causa determinante. In particolare, esiste ormai una sempre più consistente letteratura scientifica sugli insetticidi neonicotinoidi, che suggerisce come questi abbiano una serie di effetti nocivi sulle api, causandone la morte, la perdita delle capacità di orientamento, la ridotta fertilità e la compromissione del sistema immunitario.
Come conseguenza del sempre più evidente collegamento tra neonicotinoidi e declino delle api, nel 2012 la Commissione Europea ha richiesto una revisione degli studi disponibili. Pubblicata nel gennaio 2013, questa revisione ha concluso che i tre neonicotinoidi più usati al mondo (imidacloprid, thiamethoxam and clothianidin) rappresentano un “rischio inaccettabile” per le api. La Commissione ha quindi proposto un bando all’uso di questi composti sulle colture in fiore che attirano le api. Nonostante la grande pressione dei produttori di pesticidi, che teorizzavano una grande perdita di raccolti se il divieto fosse stato approvato, il divieto parziale è entrato in vigore nel dicembre 2013 e sembra non aver avuto alcun impatto sui raccolti.
Da allora, le prove sulla minaccia portata da questi pesticidi alle api non hanno fatto che aumentare. Un nuovo rapporto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha appena confermato che la quasi totalità degli usi correnti dei neonicotinoidi mette in serio pericolo le api. Pubblicato il mese scorso, dopo aver esaminato in due anni oltre 1.500 studi da tutto il mondo, le valutazioni dettagliate di 588 esperimenti scientifici e l’impatto su varie specie, il rapporto ha confermato la nocività dei neonicotinoidi per le api, sia domestiche che selvatiche, una conclusione in linea con una serie di altre analisi pubblicate da scienziati indipendenti nell’ultimo anno e con il rapporto del 2015 della European academy of science advisory council (Easac). È ormai chiaro che questi pesticidi usati sui campi in fiore non solo mettono in pericolo le api, ma rimangono nel suolo dopo il raccolto anche a lungo, contaminando il successivo ciclo di coltivazione e le piante selvatiche ai margini dei campi.
Questo rapporto va sicuramente a sostenere la richiesta di maggiori restrizioni sull’uso dei neonicotinoidi in tutta Europa, e non solo. Gli stati membri dell’Ue, gli Usa, il Canada, che stanno tutti riconsiderando come gestire questi pesticidi, hanno ora la responsabilità di ridurne l’uso. Inoltre, ci sembra utile sottolineare come sia necessario anche un ripensamento generale dei metodi di coltivazione stessi.
Sono 60 anni che continuiamo a girare sulla giostra dei pesticidi: generazioni dopo generazioni di prodotti chimici vengono messi in commercio per essere vietati 10 o 20 anni dopo, quando emergono i danni ambientali da essi causati. Ogni volta vengono sostituiti con qualcosa di nuovo, e ogni nuova sostanza porta nuovi problemi e imprevisti. Considerata l’intelligenza della nostra specie, è straordinario come noi esseri umani riusciamo a ripetere sempre gli stessi errori.
Un’analisi recente delle riserve naturali in Germania ha riscontrato un calo del 76% degli insetti volanti nei 27 anni precedenti al 2016. Potrebbe essere una coincidenza, ma questo periodo coincide quasi del tutto con l’adozione dei neonicotinoidi da parte degli agricoltori (il cui uso è in aumento costante dal 1994), ma più in generale non può più esserci alcun dubbio che inondare le campagne di pesticidi abbia un ruolo chiave in questo declino. Se perdiamo gli insetti, non perdiamo solo gli impollinatori, ma anche l’alimento principale di innumerevoli specie di uccelli, pipistrelli, rettili, pesci e anfibi. L’ecosistema della Terra collasserebbe. È certamente arrivata l’ora di scendere dalla giostra dei pesticidi e di e sviluppare metodi sostenibili per dar da mangiare al mondo. Servono restrizioni globali sull’uso dei neonicotinoidi, subito, e dobbiamo anche assicurarci che non siano semplicemente sostituiti con qualcosa di ugualmente pericoloso.
Non serve guardare lontano per trovare le alternative. Uno studio pubblicato il mese scorso dimostra che è possibile controllare i parassiti in modo integrato salvaguardando sia l’ambiente che i risparmi degli agricoltori. In molte fattorie convenzionali si coltiva già con successo senza neonicotinoidi. E l’agricoltura biologica ha una resa media dell’80%: con una piccola riduzione degli sprechi di cibo (attualmente intorno al 35%) e del consumo di carne rossa, potrebbe facilmente sfamare il mondo intero. L’agroforestazione su piccola scala e i sistemi di permacoltura offrono rese addirittura maggiori dell’agricoltura convenzionale. Per produrre il cibo di cui abbiamo bisogno, ci sono modi molto migliori invece di continuare con gigantesche monocolture da spruzzare costantemente con varie miscele di pesticidi.
Firmatari:
- Prof Dave Goulson, School of Life Sciences, University of Sussex, Brighton, Regno Unito
- Prof Dr Randolf Menzel, Department Biologie, Freie Universität Berlin, Berlino, Germania
- Dr.ssa Cristina Botías, Departamento de Ecología Integrativa, Estación Biológica de Doñana, Siviglia, Spagna
- Dr Christopher N Connolly, Associate Director of CECHR, School of Medicine, University of Dundee, Dundee, Regno Unito
- Prof. Dr. J. Wolfgang Wägele, Director, Zoologisches Forschungsmuseum Alexander Koenig, Leibniz-Institut für Biodiversität der Tiere, Bonn, Germania
- Prof. Dr. Jeroen P. van der Sluijs, Copernicus Institute for Sustainable Development, Utrecht University, Paesi Bassi, e University of Bergen, Norvegia
- Prof. Dr. Hans de Kroon, Professor of Plant Ecology and Director Institute for Water and Wetland Research, Radboud University, Nimega, Paesi Bassi
- Prof. Dr. Rien Aerst, Professor of Systems Ecology, Vrije Universiteit Amsterdam, Paesi Bassi
- Prof. Dr. Frank Berendse, Emeritus Professor, Plant Ecology and Nature Conservation, Wageningen University, Paesi Bassi
- Prof. Dr. ir. Paul Struik, Centre for Crop Systems Analysis, Wageningen University, Paesi Bassi
- Dr. Simone Tosi, Division of Biological Sciences, Department of Ecology, Behavior, and Evolution, University of California San Diego, USA e Department of Agricultural and Food Science (DISTAL), Alma Mater Studiorum – University of Bologna, Italia
- Prof. Stefano Maini, Prof. Giovanni Burgio, Dr Claudio Porrini, Dr Giovanni Giorgio Bazzocchi, Dr Fabrizio Santi, Dr Paolo Radeghieri, Department of Agricultural and Food Science (DISTAL), Alma Mater Studiorum – University of Bologna, Italia
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[sostieni]
L’agricoltore che per salvare il fiore taglia tutto il ramo, è da salvare dalle illusioni di chi gli vende i prodotti che utilizza inconsapevolmente.
I produttori di bombe ecologiche ed ambientali vanno disattivati e ristrutturati verso altra occupazione maggiormente utile anche per loro stessi.
Le istituzioni politiche e soprattutto quelle scientifiche inadeguate, o quando addirittura conniventi, sono la principale causa di queste molteplici situazioni disastrose.
La ricerca scientifica finanziata è ottusa se centrata al solo raggiungimento economico della loro attività e grande complice della distruzione dell’equilibrio ecologico del nostro pianeta.
Questa lucida e responsabile anche se tardiva, presa di posizione di molti scienziati ricercatori, va indirizzata soprattutto al mondo istituzionale e della scienza applicata alla chimica distruttiva che servono, ma in prima istanza al mondo degli agronomi che supportano senza scrupoli, ne alcuna lungimiranza quotidianamente gli operatori agricoli.
anzichè rivedere i prodotti che vengono usati come pesticidi … cosa fanno? creano delle API ROBOT … vi sembra che stiamo cercando di salvare queste “lavoratrici”? …. stiamo andando verso la morte del nostro pianeta se veramente non mettiamo UNO STOP A TUTTO QUESTO