tonno rosso pinna blu nuota in mezzo ad altri pesci

La maggior parte dell’esposizione al metilmercurio, il derivato tossico del mercurio, avviene attraverso il consumo di tonno contaminato. Tuttavia, i livelli sono molto diversi da tonno a tonno, e non è facile sapere quando un animale ne contiene concentrazioni elevate, a meno di non compiere indagini specifiche. Ora però c’è un metodo messo a punto da alcuni ricercatori e illustrato su Environmental Science and Technology che fornisce uno strumento di previsione, verificato su una vasta area di oceano. Il modello potrebbe quindi essere utilizzato anche in altre zone per circoscrivere le popolazioni di tonni più a rischio.

Il mercurio inorganico è presente normalmente nell’atmosfera e si concentra in alcune zone, come quelle vulcaniche. Oltre alla quota in atmosfera ne esiste una direttamente associata alle attività umane e, soprattutto, agli impianti di raffinazione degli oli derivati da combustibili fossili e alle miniere (specialmente d’oro). Per questo motivo i ricercatori francesi dell’Università della Sorbona e di Tolosa, insieme con quelli dell’Università della Nuova Caledonia di Nouméa, nell’ambito di un grande progetto pubblico di ricerca dedicato al mercurio nei pesci chiamato MERTOX, hanno pensato di combinare le due fonti. Gli scienziati hanno valutato la possibile concentrazione di mercurio considerando  la temperatura superficiale del mare, che influisce sullo scioglimento del metallo atmosferico, e la composizione dei fanghi dei fondali, che funzionano da deposito per quello rilasciato in mare da terra e da fonte di nutrimento per gli animali marini. 

tonno metilmercurio mercurio aree oceano pacifico
Un gruppo di ricercatori francesi ha messo a punto un modello per prevedere le concentrazioni di mercurio nel tonno

Hanno poi verificato le loro previsioni in vaste aree dell’Oceano Pacifico. Su oltre mille campioni di tre tipi di tonno tra i più comuni, quasi tutti avevano valori al di sotto del limite massimo per il consumo umano: il tonno pinna gialla (Thunnus albacares), quello obeso (Thunnus obesus) e quello alalunga (Thunnus alalunga). Il modello è quindi risultato affidabile, soprattutto nelle zone del Pacifico centro-settentrionale e centro-equatoriale, mentre mostra qualche debolezza nelle aree del Pacifico occidentale-equatoriale, dove il livello di metilmercurio è stato un po’ sottostimato dai calcoli.

Anche in questo caso, come dimostrato in diversi altri studi, la taglia del pesce è un fattore determinate: più il tonno è grosso più tende ad accumulare metilmercurio. Tuttavia anche le rotte migratorie e la presenza di attività umane e di fonti naturali hanno una certa importanza. Modelli come quello messo a punto dai ricercatori francesi possono fornire uno strumento utile per la scelta del tipo di tonno e delle taglie migliori, ma anche un motivo per non pescare questi animali in zone più pericolose. Diverse specie di tonno sono considerate vulnerabili o già a rischio di estinzione e continuare a pescarle sapendo che le  carni sono contaminate e sarebbe un gesto ulteriormente privo di senso. 

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donatella pitasi
donatella pitasi
4 Febbraio 2019 08:33

Buongiorno, articolo molto interessante. Sarebbe fondamentale conoscere la qualità dei tonni e altri pesci di taglia grande , in quanto sono quelli più consumati visto che vengono inscatolati e sono di facile reperibilità e consumo. Penso soprattutto agli sportivi che ne fanno un uso spropositato.
Donatella Pitasi