Persona che succhia da una cannuccia in un bicchiere di zollette di zucchero; concept: bevande zuccherate, sugar tax

Mentre in Italia Assobibe acquistava una pagina sui quotidiani per dire, a caratteri cubitali, che la sugar tax non funziona (con lo slogan: “Le tasse che non servono più vanno cancellate. La sugar tax va abolita”), la scienza si è incaricata, ancora una volta, di dimostrare il contrario. E questa volta lo ha fatto attraverso l’analisi del più esteso campione mai studiato in real life, e sul lungo periodo, lasciando quindi ben poco spazio alle fake news. I ricercatori dell’Università dell’Illinois a Chicago, negli Stati Uniti, hanno pubblicato due studi su quanto è successo a Seattle dal 2018, anno in cui è stata introdotta la tassazione, a oggi. Entrambi dimostrano che la tassazione sulle bevande zuccherate riduce il consumo di zucchero, in linea con quanto indicato da tutte le autorità sanitarie e scientifiche mondiali, a cominciare dall’Oms.

Nel primo studio sono stati analizzati tutti gli acquisti di bevande zuccherate con codice a barre (forniti dalla Nielsen) effettuati in decine e decine di supermercati e negozi, per un totale pari al 45% dei rivenditori di Seattle. I dati poi sono stati messi a confronto con quelli di Portland, città simile per dimensioni e caratteristiche, ma senza sugar tax. Come riportato sul Journal of Health Policy, il costo delle bevande è salito in media di 1,04 centesimi di dollari per oncia (28,3 ml) e, contemporaneamente, il volume delle bibite vendute è diminuito del 22%. Inoltre, non si sono verificati fenomeni di aumento delle vendite nelle città senza tassazione intorno a Seattle. La riduzione più marcata si è vista con i formati maxi, per esempio quelli per famiglie, calati del 29% (in particolar modo per le bibite gassate, che hanno fatto registrare un -36%), mentre sono scese del 10% le vendite dei formati monoporzione, per il singolo consumatore.

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A Seattle l’introduzione della sugar tax ha provocato un calo persistente delle vendite di bevande zuccherate

Nel secondo studio, uscito su JAMA Network Open, i ricercatori hanno calcolato, sempre attraverso i codici Nielsen, che in due anni lo zucchero (in grammi) venduto attraverso le bevande tassate è diminuito del 23%. Anche al netto di alcuni fattori correttivi, dopo due anni il calo era ancora al 19% rispetto ai dati precedenti il 2018.

La tassazione si conferma quindi come uno strumento efficace, soprattutto se si considera che, negli Stati Uniti, il 50% degli adulti e il 65% dei ragazzi consuma più zuccheri di quanto raccomandato, con gravi ripercussioni sulla salute. Per questo si cerca di ridurli in ogni modo. E la tassazione potrebbe non essere l’unico metodo efficace. Un altro studio, uscito negli stessi giorni su Appetite, chiarisce infatti quali sono le motivazioni psicologiche che spingono a bere bibite zuccherate. Per farlo, gli autori hanno analizzato le risposte a test specifici e poi le scelte di 128 ragazzi di età compresa tra i 17 e i 25 anni, suddivise in risposte che riflettono un bias (pregiudizio) cognitivo e risposte associate all’autocontrollo e alla scelta di compiere o meno un certo gesto (in questo caso bere una bibita).

La motivazione più forte è risultata essere quella indotta dalla pubblicità, cioè l’associazione tra bevanda zuccherata e sensazione di essere alla moda, belli, affascinanti, felici. Un bias cognitivo, quindi. Al contrario, le decisioni prese in base al desiderio di autocontrollo sembrano essere meno potenti, e presenti soprattutto nei maschi. Agire quindi sulla ‘reputazione’ delle bevande – concludono gli autori – potrebbe quindi essere una leva molto forte per scoraggiare il consumo, soprattutto tra i giovani più vulnerabili e più sensibili ai messaggi pubblicitari.

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