I dati sullo spreco nella ristorazione scolastica sono inquietanti. La quantità di cibo che finisce nella spazzatura oscilla dal 40 al 60%. La stima è estrapolata dalle poche ricerche condotte sul campo che evidenziano le numerose criticità ma anche un sistema troppo complesso. L’ennesima conferma arriva da un’indagine coordinata da Corrado Giannone della Ul – Conal (società internazionale di consulenza e analisi agro-alimentare) durata un mese in un comune lombardo che ogni giorno prepara 5.000 pasti per gli allievi delle scuole. I valori dello spreco sono elevati: il 64,7% della pasta condita con pomodoro e ricotta finisce nella spazzatura (al 26,7% che non viene distribuito si somma il 38% che rimane nei piatti a fine pasto). Per lo spezzatino di manzo si sfiora il 73%. Per la mozzarella e il prosciutto cotto le cose vanno meglio perché tutte le porzioni vengono distribuite, ma alla fine nel piatto nei piatti resta il 29% delle mozzarelle e il 19% del prosciutto. Meglio va per il budino alla vaniglia e per la frutta (mela, arance e banana) dove lo spreco ammonta rispettivamente al 6,5 e all’11%.
Forse questi dati fotografano una situazione non proprio brillante, ma il problema esiste e riguarda tutte le scuole perché spesso l’eccessivo spreco non è da collegare al cuoco o alla qualità della materia prima, ma a tanti piccole criticità che alla fine contribuiscono a aumentare in modo esagerato il cibo che rimane nel piatto.
«Registrare nelle scuole un rifiuto del 25% è un ottimo risultato» precisa il responsabile di un grosso centro di produzione che serve decine di migliaia di pasti. «Ridurre questa percentuale è possibile ma servono interventi strutturali difficili da adottare, come la creazione di linee self-service e anche interventi logistici come l’anticipo della frutta al posto della merenda mattutina».
La situazione si presenta ovunque molto complessa e per riuscire a modificare i comportamenti alimentari sbagliati dei bambini, riducendo gli sprechi, bisogna partire da alcuni concetti fondamentali, senza strumentalizzare i progetti di educazione alimentare. Questi interventi sono interessanti e danno ottimi risultati, ma essendo destinati a un ristretto numero di studenti hanno un’incidenza ridotta e quasi ininfluente rispetto al numero complessivo dei bambini. L’altro fattore da tenere presente è che per un insegnante è praticamente impossibile fare educazione alimentare ai 28 allievi delle classe mentre mangiano, tranne quando è in corso un progetto specifico sul cibo. L’ultimo elemento da considerare è che a scuola si consumano 5 pasti alla settimana. Si tratta di una quota parziale rispetto ai 30-35 momenti di consumo settimanali e la refezione scolastica non può quindi essere l’unico strumento in grado di dare una linea nutrizionale corretta, anche perché i bambini tendono a prediligere e a seguire le abitudini gastronomiche di casa.
Premesso ciò ecco quali sono gli elementi su cui focalizzare l’attenzione per valutare come ridurre lo spreco.
I piatti che piacciono ai bambini sono sempre i soliti (pasta bianca, spaghetti al sugo, ravioli in brodo, pizza, pesce fritto, mozzarella, prosciutto cotto…) per questo bisogna farli ruotare con criterio, rinunciando a ricette fantasiose destinate a fare accrescere lo spreco a dismisura.
Occorre dare la possibilità di scegliere un piatto alternativo (per esempio una pasta in bianco come primo piatto), strutturando nelle scuole una sorta di self-service.
Bisogna anticipare la distribuzione della frutta o del dessert previsto nel pasto delle 12:00 alle 10:30 del mattino oppure posticiparlo al pomeriggio come merenda alle 16:00.
«Un altro elemento – spiega Corrado Giannone – riguarda il rispetto dei valori nutrizionali indicati dai Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti (Larn), che rappresentano il riferimento nella ristorazione scolastica. Per alcuni piatti come lo spezzatino di manzo le porzioni da 40 g previste dalle tabelle suscitano lamentele da parte dei genitori che pagano 5 euro a pasto. Analoghi problemi si presentano per altri piatti». Per contro se si butta via così tanto cibo la logica vorrebbe una riduzione delle porzioni. Questa contraddizione rappresenta un altro punto critico, perché molti genitori quando vedono razioni calibrate, ma ridotte, per i loro figli, si lamentano. Che fare?
Rispondere è complicato perché anche il rispetto delle calorie e dei valori nutrizionali definiti dal Ministero della salute ha poco senso, visto che la metà del cibo finisce nella spazzatura e alla fine il pasto perfettamente bilanciato risulta una farsa. Per ridurre lo spreco bisogna cambiare filosofia, semplificare le ricette e inserire nei menu i piatti preferiti dai bambini senza pensare di trasformare il pasto in un momento di educazione alimentare. Nella realtà le amministrazioni più attente seguono già questo criterio. Il giorno dei ravioli in brodo che in genere piacciono tantissimo le porzioni lievitano del 50% rispetto a quelle previste dalle Linee guida e poi si cerca di abbinare un secondo piatto “debole” come la frittata, per cercare di bilanciare l’apporto calorico complessivo.
Questa è una tipica soluzione di buon senso dove si modulano le razioni dei Larn in modo intelligente, dando la possibilità di fare il bis ai tanti ragazzi che lo vogliono. La criticità di questo sistema è che il bis non è previsto dalle Linee guida anche se è un’abitudine consolidata difficile da eliminare.
Un altro elemento da considerare quando si parla di porzioni è che in tutte le scuole ci sono bambini per i quali il pasto delle 13 rappresenta l’unico pasto completo della giornata. Per contro c’è sempre un folto gruppo di ragazzini che rifiuta il pasto sapendo di poter compensare con laute merende e abbondanti fuori pasto.
Per ridurre gli sprechi occorre in ogni caso un’alleanza strategica tra la scuola, i pediatri (gli unici medici ascoltati da mamme e papà). Il medico ha il compito preciso di mettere a dieta il bambino spiegando ai genitori i seri rischi collegati al sovrappeso. Anche in questo caso però c’è un risvolto critico perché i pediatri non sempre sono così disponibili a collaborare. Negli ultimi anni il problema a fronte dell’incremento delle allergie e delle intolleranze alimentari, troppi pediatri un po’ troppo disinvolti hanno certificano la necessita di diete particolari che complicavano non poco la gestione dei pasti nelle scuole. «Da quando abbiamo richiesto ai genitori di allegare alla richiesta del pediatra la certificazione di uno specialista (allergologo, endocrinologo…) – spiega un responsabile di un plesso scolastico – le richieste di diete speciali si sono ridotte del 15%”»
Come si vede i problemi e gli ostacoli sono tanti e forse troppi per ridurre gli sprechi e incrementare la soddisfazione dei bambini che mangiano a scuola. Occorre probabilmente coniugare gusto e salute tralasciando algoritmi sulle grammature e schemi troppo rigidi del Ministero affiancando questo percorso ad altre iniziative.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Quando ero piccolo mia madre mi forniva del cibo nella “gavettina”. Quel poco che riportavo indietro di riutilizzava. Basterebbe dare alle famiglie un contributo per la mensa (tipo buoni pasto) o comunque fargli recuperare l importo in qualche altro modo e lo spreco si ridurrebbe tantissimo.
Luigi scusami, ma si parla di spreco del cibo, non dei soldi.
Capisco la questione economica ma qui il problema è che il 40/60% del cibo fornito finisce buttato in spazzatura.
quindi la soluzione è su come ridurre il quantitativo di cibo inutilizzate e di conseguenza i costi per i genitori
Ci sarà sempre uno grandissimo spreco utilizzando il servizio delle mense. Più utile far preparare a casa (per chi può) il pasto. I genitori sanno cosa amino mangiare i figli e il cibo che ritorna a casa non viene buttato ma può essere riutilizzato. Per fargli recuperare la spesa del pasto (che è sicuramente minore di quella fatta dal servizio mensa)si possono prevedere buoni pasto da prendere al proprio Comune (al posto dei ticket che si comprano per far mangiare il figlio) o altre forme.
I Comuni risparmierebbero molto non facendo più gare o facendole per importi più bassi (solo per chi non può permettersi di preparare i pasti a casa). Lo spreco alimentare sarebbe così ridotto alla radice. Certo, campagne di informazione alimentare sono comunque utili.
Non riesco bene a capire cosa intendi. Tu dici di far portare da casa il pasto, e in più dare un buono alle famiglie?
così è come se gli regalassi il servizio mensa, e il comune a questo punto dovrebbe fare un appalto per farsi dare i capitali che rigira alle famiglie.
in più il problema non è far recuperare la spesa del pasto, se i genitori sono disposti a pagare 5€ (cifra di esempio) perchè dovresti dargli un buono? il buono serve per un servizio che viene erogato, non può diventare un credito.
Il pasto che paga la mia amministrazione comunale alla ditta che ha l’appalto della mensa è di 4,6 euro. I genitori però non ricevono gratis quel pasto ma, in base al reddito lo pagano. Il Comune quindi paga il servizio con il contributo dei genitori. Lo paga però indipendentemente se consumato. Se invece di pagarlo e farlo pagare ai genitori, gli desse la possibilità di far portare i pasti da casa, il Comune diminuirebbe i pasti pagati a prescindere dal consumo. L’equivalente, o qualcosa di meno, del pasto consumato potrebbe darlo ai genitori che fanno portare il cibo da casa Inoltre i genitori, conoscendo i gusti dei bambini, darebbero il cibo giusto e si ridurrebbe lo spreco. Il cibo che ritorna a casa potrebbe essere riutilizzato direttamente dalle famiglie. Il cibo preparato dalla ditta anche se il bombo non andasse a scuola (per malattia ad esempio) non sarebbe preparato e non si butterebbe.
Io ho capito la questione del portare da casa, ma non mi è chiaro il perchè vorresti dare un buono alle famiglie. Non ha senso, se già non pagano più il pasto perchè devo dare dei soldi, se non ricevono il servizio non hanno diritto a nessun buono. Se portano da casa il cibo l’onere del pasto è dei genitori comunque.
Quello che stai proponendo praticamente è togliere il servizio mensa. E’ da tenere conto che il pasto a scuola come idea è anche cercare di educare i bambini, permettergli di conoscere altri alimenti e non mangiare sempre le solite cose.
Se, con la mentalità di adesso, facessimo portare il pasto da casa, i bambini arriverebbero con pasta in bianco tutti i giorni, o bastoncini di pesce, o prosciutto cotto. A me non sembra una conquista.
Invece io credi che si debba lavorare sulla mensa, aumentando la qualità oggettiva del pasto, delle preparazioni e trovando una soluzione pe ridurre lo spreco.
Giustamente si scrive che le maestre non possono fare educazione alimentare durante il pasto, è comprensibile. Ma anche se lo facessero non cambierebbe nulla, perchè se poi, a casa, i genitori seguono abitudini differenti, il problema rimane insoluto. L’educazione alimentare va indirizzata ai genitori per primi, solo così i bambini, già abituati a mangiare in un certo modo a casa, non avranno problemi di adattamento a scuola.
So che è pura utopia purtroppo, perchè le istituzioni non investono in quel settore…
sono stato un genitore del comitato mensa della scuola locale, in due anni di controlli effettuati nei nostri refettori ho visto una tale quantità di cibo sprecato che ancora non riesco a dimenticare. Le motivazioni possono essere tante, dal gusto personale e, come nel nostro caso, soprattutto sulla qualità e temperatura dei piatti stessi. Una cosa è certa, in una mensa scolastica non c’è assolutamente la tanto proclamata “educazione alimentare”. Oramai è diventato solo un “affare” da far fruttare a tutti i costi, anche sulle spese di poveri innocenti, perchè se mangiano o meno non gliene importa quasi a nessuno
I pasti avanzano e per le lunghe attese nei contenitori che riscaldano troppo gli alimenti tipo la pasta rendendola immangiabile anche a chi ha fame e poi ritengo che la qualità dei capitolati di acquisto lascia molto a desiderare, non regge la scusa dei bambini che mangiano meno o che non hanno un’educazione alimentare!
Per esperienza su due bambine che fanno da sempre il tempo pieno con percorsi diversi posso dire che il cibo di qualità non viene lasciato nel piatto!!!!
Storia da Comma22. I comuni appaltano le mense scolastiche spendendo bei soldi. Di questi una parte viene pagata dalle famiglie che possono farlo, una parte dalla collettività per chi è indigente (magari anche solo per il fisco). Ma gran parte del cibo appaltato finisce nella spazzatura, perché per motivi vari (gusto, qualità, abitudini familiari) NON piace ai bambini.
Ma in molti casi portarsi il pasto da casa è vietato per (presunti) motivi igienico sanitari.
Come ridurre lo scandalo doppio (economico e etico) di denaro speso per cibo che viene buttato ?
Liberalizzando il sistema, magari offrendo ai bambini pasti “pubblici” solo se richiesti dalle famiglie e consumati (ovvero come sussidio per gli indigenti). Ovvero offrire un pasto base (acqua, latte, frutta, biscotti) da integrare da casa.
Da un lato può essere “eccessivo” fornire buoni pasto alle famiglie ? Magari potrebbe essere giusto solo per quelle indigenti (verificandone la reale indigenza, visto il contesto locale che facilita i controlli). Di certo può essere eccessivo costringere le famiglie a pagare una mensa obbligatoria che i figli NON consumano e con il cibo che finisce nella spazzatura.
ma non si prende mai in considerazione il luogo dove viene consumato il pasto…..sicuramente la causa principale dell’abbandono delle pietanze nel piatto……pensare di mangiare nei banchi di scuola trasformati in tavolo è pura follia; sarebbe meglio farli uscire da scuola e portarli in luoghi comodi e silenziosi e così si renderebbe appetibile e gradevole la consumazione di ogni pietanza