Sicurezza alimentare: antibiotici, pesticidi e additivi sono le paure più grandi degli europei. Ma gli italiani sono i meno interessati al tema dell’Ue
Sicurezza alimentare: antibiotici, pesticidi e additivi sono le paure più grandi degli europei. Ma gli italiani sono i meno interessati al tema dell’Ue
Agnese Codignola 21 Giugno 2019A poco meno di dieci anni dall’ultima rilevazione, e in occasione della prima giornata mondiale per la sicurezza alimentare (celebrata il 7 giugno), l’EFSA ha reso noto un interessante rapporto di Eurobarometro che fotografa le opinioni e le attitudini degli europei in materia. Molti e per lo più positivi i dati principali, a cominciare dal fatto che il 55% degli europei ha un elevato livello di conoscenza di questi temi e due terzi hanno cambiato qualche comportamento in seguito alle informazioni ricevute.
In generale gli europei non sono troppo preoccupati, anche se alcuni temi emergono con regolarità in cima alla classifica dei timori, peraltro in linea con quanto già emerso nell’ultimo rapporto del 2010: l’utilizzo improprio di antibiotici, ormoni e steroidi negli animali da allevamento (prima preoccupazione per il 44% degli intervistati), i residui di pesticidi (39%) e gli additivi alimentari (36%). Tra le voci nuove, da questo punto di vista, ci sono le microplastiche, sempre più presenti.
I fattori più importanti nella scelta del cibo sono la provenienza (per il 53% dei partecipanti), il costo (51%), la sicurezza (50%, valore che in Italia sale al 61%) e il gusto (49%), mentre etica e convinzioni personali hanno un ruolo secondario: sono al primo posto solo per il 19% degli europei. In generale, il 41% dei cittadini è interessato alla sicurezza alimentare, tasso che però in Italia è molto più basso: solo il 17% degli italiani si dice interessato (anche se poi sei su dieci affermano di tenerla presente nel momento dell’acquisto).
Verificando i numeri specifici dell’Italia si vede comunque che, nelle altre voci, il Paese è abbastanza allineato al resto d’Europa con qualche particolarità, come il livello generalmente più basso di timore sulle singole voci rispetto ai cittadini di altri Paesi.
Quando si va a vedere la fiducia, si vede poi – forse un po’ a sorpresa, rispetto a chi descrive l’intera categoria come screditata – che le fonti ritenute più attendibili sono gli scienziati, con l’82% (valore in crescita rispetto al 2010, quando era al 73%), seguiti dalle organizzazioni di consumatori (79%), dagli agricoltori (69%), dalle autorità nazionali (60%) e da quelle europee (58%), dalle ONG (56%) e dai giornalisti (50%). Un dato, inoltre, rassicura almeno in parte: la fonte principale di informazioni resta la televisione, per sette europei su dieci, seguita nel caso dei giovani dai social (e qui si annidano i rischi delle fake news) e tra i meno giovani dalla radio. Blogger e influencer sono ritenuti affidabili solo dal 19% degli intervistati, e anche supermercati e ristoranti vengono ascoltati con una buona dose di scetticismo, se è vero che sono degni di fiducia solo per il 43% dei cittadini, poco di più delle aziende alimentari (36%). Gli italiani poi si affidano più degli altri al medico e meno a internet.
In generale, quindi, la situazione sembra abbastanza buona, la fiducia è presente e gli europei da una parte hanno un discreto livello di conoscenze e dall’altra si sentono abbastanza tutelati. Resta naturalmente molto da fare, tenendo presenti soprattutto le preoccupazioni manifestate e le possibili distorsioni nella percezione del pubblico, da correggere con interventi educazionali e informativi mirati e con un dialogo costante tra istituzionali nazionali e comunitarie e cittadini su tutti i temi della sicurezza alimentare.
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Giornalista scientifica