Era il 2013 quando la Francia, primo paese al mondo, istituì un registro per i nanomateriali presenti nel paese, l’R-nano. Ora è tempo di analisi di quanto registrato, e di modifiche che possano migliorare la raccolta dei dati e il livello di sicurezza. Lo sostiene l’Agenzia francese per la sicurezza alimentare, l’Anses, cui è stata affidata la gestione del Registro, e che può quindi elaborare i numeri relativi a otto anni, e indicare le criticità emerse.
I nanomateriali, sui quali la stessa agenzia ha già reso noti alcuni documenti, sono sempre più presenti in un’infinità di tipologie di merci, da quelle tessili a quelle chimiche, dagli alimenti ai cosmetici, dai farmaci alle vernici, fino ad arrivare ai laboratori di ricerca e a molte lavorazioni industriali. Il loro successo è dovuto alle caratteristiche chimico-fisiche del tutto particolari che molti materiali assumono quando vengono ridotti in dimensioni così piccole (un nanometro è un milionesimo di millimetro). Questi cambiamenti potrebbero però avere effetti sulla salute come sull’ambiente che, al momento, sono quasi del tutto sconosciuti, e che andrebbero quindi studiati meglio rispetto a quanto fatto finora. Da qui l’idea del Registro, per capire quanti ne circolano in Francia, tracciarne la provenienza e valutare i possibili impatti.
Finora sono stati tenuti a iscriversi nel Registro tutti coloro (fabbricanti, importatori, rivenditori) che ne maneggiano più di 100 grammi ma l’inserimento dei dati, riferisce l’agenzia, è stato largamente insoddisfacente: le oltre 52.000 registrazioni del periodo 2013-2017, oltre a rivelare la grande eterogeneità delle merci che contengono nanomateriali (organiche, inorganiche, metalliche e altro), hanno mostrato anche che, nel paese, ne circolano non meno di 400 tonnellate all’anno. Si tratta di una quantità non trascurabile, che giustifica l’esigenza di informazioni dettagliate. Ma, soprattutto, ha fatto emergere la scarsa qualità dei dati inseriti, che sono spessissimo lacunosi e tali da non consentire un vero tracciamento della filiera. Nel 90% dei casi, infatti, i numeri non sono sfruttabili a fini statistici o di ricerca, soprattutto per studi che riguardino gli effetti sulla salute (i più importanti); solo nel 10% dei casi sono stati inseriti correttamente e in modo completo.
Come se ne esce? Oltre a invocare un maggiore coinvolgimento e responsabilità degli utilizzatori, l’Agenzia indica azioni concrete, a cominciare da una minore flessibilità delle regole attuali, che prevedevano molte possibili deroghe alla dichiarazione o a dettagli della stessa. Bisognerebbe porre limiti più stringenti per le dichiarazioni, e poi controllare che vengano rispettati in modo regolare, periodico, sanzionando chi infrange quanto previsto. Sarebbe poi il caso di aumentare la platea dei materiali che devono essere segnalati obbligatoriamente, estendendo l’obbligo anche a quelli importati. Inoltre sarebbe opportuno rivedere le soglie minime: oggi è obbligatorio dichiarare ogni sostanza che contenga più del 50% di nanomateriali di diametro compreso tra 1 e 100 nanometri, ma in questo modo diversi prodotti, che pure contengono significative percentuali di componenti nano, sfuggono. Infine, è ritenuto importante includere nelle informazioni i dati relativi ai lavoratori: chi è stato esposto, per quanto tempo e così via.
Infine l’Europa, che è indietro su questo tema. Da tempo si attende una normativa, e la proposta avanzata dalla Commissione è in attesa di discussione ed elaborazione da anni. Dal 2020 è attivo il regolamento Reach che, tuttavia, fissa un limite per le dichiarazioni obbligatorie decisamente troppo alto. Un tonnellata, valore al quale sfugge la stragrande maggioranza delle lavorazioni, che di solito si basa su piccole quantità. Analogamente, conclude l’Anses, i registri depositati presso le associazioni di produttori sono ampiamente inferiori agli standard di R-Nano.
Tutto ciò dimostra quanto sia fondamentale, soprattutto in materie come queste, e quando ci sono di mezzo sostanze assunte anche con l’alimentazione, raccogliere dati in modo standardizzato, e anche quanto la raccolta sia spesso un processo che richiede ottimizzazioni successive. Il primo passo verso qualunque tipo di iniziativa è una fotografia realistica della situazione, che si può ottenere solo così.
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Giornalista scientifica
e ad un certo punto, molto probabilmente, andremo a scoprire che, prima di regolamentare e finalmente porre molta attenzione sui nanomateriali utilizzati nella nostra quotidianità (tra i quali anche alimenti), avremo già arrecato molti danni, alla nostra salute ed all’ambiente…
È allucinante che non si parli di nanomateriali presenti nelle acque utilizzate per irrigare i prodotti alimentari, ci auguriamo che Anses omponga dei controlli e dei limiti, è risaputo di quante microplastiche e nanoplastiche sono contenute nelle acque del fiume Po.