È boom in tv di reality che abbiano per protagonisti bambini o adolescenti in sovrappeso oppure obesi. Su MTV, per esempio, va in onda Teenager in crisi di peso, programma made in Usa dedicato – si legge sul sito – a “ragazzi un po’ in carne che vogliono perdere peso prima di iniziare il college”. Come? Con l’aiuto di un coach che li incita a seguire uno schema durissimo di dieta e di esercizi fisici. Josh, per esempio, pesa 143 kg, è molto goloso e un po’ pigro. Un giorno, però, nella sua vita irrompe “l’energumeno tatuato” Joey, il trainer, e tutto cambia: niente più hamburger e pancake al cioccolato e bando alla pigrizia. In palestra, Josh comincia a sollevare pesi, correre, salire scale e così via. Dopo 110 giorni, la prova bilancia è un trionfo: il ragazzo andrà al college con 53 kg in meno.

 

Su RealTime un altro programma americano, Adolescenti XXL, segue le vicende di un gruppo di giovani obesi in una scuola particolare, in cui non solo si studia ma si sta anche a dieta e, di nuovo, si fa della grande attività fisica. E ancora, su FoxLife è arrivato a fine novembre Tesoro, salviamo i ragazzi, programma di rieducazione sul modello del fortunatissimo SOS Tata. Il format è della BBC, ma adattato alla produzione italiana, con un’atmosfera visibilmente meno competitiva ed esasperata di quella dei reality americani. Punto di forza del programma è il conduttore Marco Bianchi, autorevole figura di “scienziato-chef”, con un lavoro all’Istituto europeo di oncologia e una passione per cucina e alimentazione naturale. In ogni puntata Bianchi guida una famiglia con un bambino o una bambina con problemi di peso a scelte più consapevoli in fatto di stile di vita, assistendo nella spesa di cibo e proponendo ricette più salutari.

 

La vasta offerta di programmi di questo tipo risponde evidentemente a una domanda: le vicende dei ragazzi “in crisi di peso” appassionano e la proposta di ricette insolite (dalle zucchine ripiene con ricotta e broccoli alle palline dolci di semolino e cocco) attira. Del resto, anche in Italia l’obesità infantile ha raggiunto livelli preoccupanti: si stima che nel nostro paese il 23% di bambini tra gli 8 e i 9 anni sia in sovrappeso e il 12% sia obeso. Più di uno su tre.

 

Ma un reality che ruoti attorno a una bilancia può davvero fare qualcosa per curare o prevenire l’obesità? O magari anche soltanto per promuovere la consapevolezza delle famiglie sul tema? Il Fatto Alimentare lo ha chiesto ad alcuni esperti che si occupano di obesità e disturbi del comportamento alimentare (DCA), specialmente sul fronte infantile: Alessandro Sartorio,  primario endocrinologo dell’Istituto auxologico italiano,  Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile del centro DCA Palazzo Francisci di Todi, Simone Pampanelli, endocrinologo dell’Ausl 2 di Perugia infine Adriano Cattaneo, del dipartimento di epidemiologia, prevenzione e qualità delle cure dell’ospedale pediatrico Burlo di Trieste.

 

Il loro giudizio nel complesso non è affatto positivo. Se può essere importante parlare del problema (e non è detto che sia così) e magari presentarlo in tv anche attraverso le modalità narrative del reality, più accattivanti, i contenuti proposti da quello che passa oggi sullo schermo non sono adeguati, quando non addirittura controproducenti. Vediamo in dettaglio gli aspetti più critici segnalati dagli esperti.

 

Semplificazione e banalizzazione

«L’obesità infantile è una malattia grave e complessa, di origine multifattoriale», spiega Alessandro Sartorio, che è anche promotore del sito educativo www.cresceresani.it. «Sono coinvolte componenti genetiche, psicologiche, sociali: non la si può ridurre a una questione di peso da affrontare con una dieta drastica e un’attività fisica estenuante, con il solo aiuto di un coach. Ci vuole un approccio multidisciplinare, che segua il piccolo paziente in un percorso lungo e lento: un aspetto che non emerge affatto dai reality». Pienamente d’accordo Simone Pampanelli: «L’unica possibilità per vincere la malattia è lavorare contemporaneamente su più fronti: non basta un trainer che inciti a fare del proprio meglio, né un cuoco che consigli ricette, neppure le migliori del mondo».

 

Diete troppo drastiche

«Quando lavoriamo con i bambini non parliamo mai di cibo. Al massimo, ne parliamo con i loro genitori, per indirizzarli a scelte più consapevoli e salutari, ma sempre nell’ambito di un percorso che tenga conto di molti altri aspetti», racconta Pampanelli. «Intanto perché se un bambino mangia troppo in genere è per via qualche altro disagio più profondo, per cui è bene cominciare a far emergere quel disagio. E poi perché non possiamo dimenticare che fuori dall’ambulatorio c’è comunque una realtà fatta di compleanni da Mc Donald’s, di merendine e di bibite zuccherate: non possiamo togliere di punto in bianco a un bambino le cose che fanno parte della sua infanzia». Del resto, ormai lo sappiamo tutti: facendo una dieta drastica si può anche dimagrire abbastanza velocemente, ma di norma il peso perso lo si riprende tutto (e anche di più). «E senza contare – conclude Sartorio – che i bambini devono crescere e una dieta troppo restrittiva per loro non va affatto bene».

 

Detto questo, ben vengano gli sforzi per proporre alle famiglie nuove idee in cucina, per preparare in modo più appetitoso i cibi “sani” che in genere i bambini rifiutano, come le verdure. Ma attenzione che siano davvero fattibili e ben accolte: il tempo a disposizione per cucinare è comunque poco e se è vero che un panino integrale con crema di tofu e olive è sicuramente più sano di un hamburger con salse e patatine, bisogna poi essere sicuri che i bambini lo mangino davvero.

 

Esercizi estremi

Soprattutto nei reality di matrice americana, la parte sull’attività fisica sembra tratta da un programma di allenamento per campioni olimpici. «Eppure quelli che si sforzano a correre e a saltare non sono campioni e neanche sportivi: anzi, non sono neppure persone sane, ma malati», precisa Sartorio. «Per di più, le nostre ricerche hanno mostrato che, per essere davvero efficace nel bruciare i grassi, l’attività fisica fatta dai ragazzini deve essere a bassa intensità: proprio il contrario di quello che si vede in tv». Per questo nei centri che si occupano di obesità infantile si parla piuttosto di arrività fisica “adattata” e si cerca di motivare bambini e ragazzi al movimento  all’aperto. Insomma non è detto che serva la palestra, che magari è anche costosa: basterebbe stimolare i bambini a giocare fuori.

 

Psicologia del “se vuoi puoi” e del “tutto subito”

Tanta forza di volontà: per dire no a gelato e patatine e per resistere all’ennesima flessione. Sembra questo, alla fine, l’ingrediente fondamentale della maggior parte dei reality sull’obesità, in cui il coach ha proprio il ruolo di convincere il protagonista di turno che se si impegna può farcela davvero. Ma non c’è messaggio più sbagliato, per Simone Pampanelli e Laura Dalla Ragione. «L’abbiamo detto: l’obesità una malattia multifattoriale, spesso con una forte componente psicologica. La forza di volontà del singolo non basta affatto», precisano. Per di più, puntare tutto sulla volontà del singolo significa lasciarlo ancora più frustrato se non riesce a perdere peso. E ancora: «Certi programmi esaltano la forma fisica come rinforzo del legame tra aspetto e felicità», spiega Dalla Ragione. «Si rischia che nella mente dei giovani spettatori si rinforzi l’equazione perdere peso uguale a essere sexy e felici. Ma se il peso in eccesso è, tra le altre cose, il sintomo di un disagio psicologico profondo, dimagrire non serve a far sparire quel disagio. Per questo noi lavoriamo piuttosto sull’accettazione del corpo, come unico e speciale».

 

Puntare tutto sulle scelte individuali

Anche chi studia l’obesità attraverso la lente dell’epidemiologia, come fa Adriano Cattaneo, ha qualcosa da ridire sull’efficacia dei programmi di cui abbiamo parlato come deterrente per arginarne la diffusione. «Tutti puntano a prevenire o ridurre l’obesità modificando i comportamenti individuali, ma ormai sappiamo che quando si ragiona in termini di popolazione questo approccio è sbagliato», afferma l’esperto. «In generale, i comportamenti individuali dipendono solo in piccola parte dalle decisioni individuali e in misura maggiore da una serie di fattori detti determinanti sociali che possono andare dal livello d’istruzione al reddito, dall’occupazione alla possibilità di accesso a informazioni o a pubblicità, dalla disponibilità di sistemi di trasporto attivo ai sistemi di tassazione e così via.

 

Sono proprio gli interventi sui determinanti sociali a cambiare collettivamente i comportamenti: nel caso del fumo, per esempio, hanno fatto di più certe leggi e il cambiamento di certi modelli (come il cinema di Hollywood) del counseling dei medici di famiglia ai singoli pazienti. Per l’obesità è lo stesso: meglio una bella legge che proibisca la pubblicità di alimenti per bambini o tassi al 500% le bibite zuccherate, piuttosto che un reality con personal trainer».

 

Valentina Murelli

Foto:Photos.com

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Gerardo
Gerardo
28 Febbraio 2012 19:00

Davvero una bella iniziativa, ma mi domando se in Italia vi sono centri sportivi del genere.
Aspetto una vostra risposta… a presto…

Valentina Murelli
Valentina Murelli
1 Marzo 2012 16:17

Gerardo, a quanto mi risulta non esistono in Italia centri sul modello di quello raccontato in Adolescenti XXL (secondo gli esperti del tutto inadeguato al trattamento di un disturbo complesso come l’obesità). Ci sono però sul territorio numerosi ambulatori e strutture – in alcuni casi residenziali – dedicati al trattamento dei disturbi del comportamento alimentare, tra cui l’obesità. Una mappa di questi centri si può trovare all’indirizzo http://www.disturbialimentarionline.it/MappaDCA, attivato dal ministero della salute.

Valentina Murelli