L’Anses, l’agenzia per la sicurezza alimentare francese, lancia l’allarme pinnatossine. Queste tossine sono prodotte da una famiglia di microalghe, i dinoflagellati della specie Vulcanodinium rugosum, identificate nel Mediterraneo per la prima volta nel 2011, sarebbero in aumento sia per quanto riguarda il numero sia per gli areali di diffusione, con effetti potenzialmente pericolosi per la salute.
Le pinnatossine, infatti, possono accumularsi in seguito all’ingestione di cozze, vongole, ostriche e altri molluschi marini, nei quali si concentrano a causa della filtrazione dell’acqua. Pur non essendo mai state collegate a casi certi di tossicità nell’uomo, negli animali da esperimento, se iniettate (per via orale perdono in parte la loro tossicità) ad alte dosi, sono state associate a effetti neurologici dovuti a un’azione diretta su alcuni recettori del neurotrasmettitore acetilcolina (detti nicotinici).
Il rapporto, molto completo (136 pagine), nasce dopo i numerosi monitoraggi condotti dall’Anses negli anni scorsi in molte zone della Francia. Si è così riscontrata una concentrazione particolarmente alta di pinnatossine in un’area vicino a Montpellier, nella laguna di Ingril, ma anche alla scoperta di nuovi focolai nella costa Nord e in zone ritenute sicure. Inoltre l’agenzia ha esaminato la letteratura esistente e ha compilato una prima mappa della presenza di pinnatossine nel mondo: anche in Italia sono presenti.
Infine, basandosi su alcuni studi, ha stimato la dose massima per le cozze, che non devono contenere più di 23 microgrammi per chilo di peso (se si considera che a mangiarle sia una persona che pesa 70 kg) di pinnatossina G, che è la più diffusa. In realtà il valore soglia, che tiene conto anche dell’ultimo rapporto Efsa datato 2010, può cambiare a seconda di numerose variabili – per esempio del metodo di cottura e di consumo, il peso corporeo, il fatto che l’assunzione sia occasionale, prolungata o cronica e così via – ma almeno rappresenta un limite cui attenersi.
Dal punto di vista del consumatore, il consiglio è quello di evitare del tutto i bivalvi provenienti dalla zona di Ingril, e di limitare il consumo di prodotti che arrivano anche dalle altre zone nelle quali siano state identificate pinnatossine. Inoltre l’agenzia chiede che siano condotti studi specifici per valutare la tossicità di queste piccole molecole in ogni situazione, e che i medici siano debitamente formati affinché possano riconoscere un’intossicazione che non presenta alcun sintomo gastrointestinale, ma che potrebbe avere conseguenze gravi.
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Giornalista scientifica
A pagina 16 del rapporto parla di una dose largamente prudenziale di non più di 23 µg/kg di peso del tessuto molle del bivalve che risulta in un suggerimento di non più di 400 g di cozze/ostriche per una persona di 70 kg.
La dose indicata è comunque di oltre 10,000 volte inferiore alla massima dose che si è rivelata innocua negli animali da esperimento (tabella a pag. 14). Inoltre il confronto è tra una dose iniettata per via peritoneale mentre l’assunzione per via orale (cioè l’ingestione) si è comunque rivelata largamente meno tossica.
Si parla anche di ripresa completa dopo l’esposizione, il ché potrebbe far supporre una capacità metabolica dell’organismo nei confronti della tossina.
Mancano studi sulla prolungata esposizione ed eventuale accumulo: trattandosi di una lipotossina, la cosa ha effettivamente interesse, visto che in generale qualsiasi lipo-xxx tende ad accumularsi!