La prossima volta che vi capiterà di vedere in tv o sui giornali immagini di cibi – in genere ben più grandi e succulenti di come si presentano quando apriamo la scatoletta o di come risultano dopo che li abbiamo cotti – fate caso se vi viene o no l’acquolina in bocca. Secondo un nuovo, curioso studio non dovrebbe succedere. A meno che dalla vostra cucina non arrivi anche il profumo di qualche alimento che state cucinando o che è pronto per andare in tavola.

Un articolo di Nathan Gray pubblicato su Foodnavigator spiega una ricerca inglese che smentisce il luogo comune per il quale le immagini di cibo sarebbero sufficienti a stimolare le ghiandole salivari e quindi a farci venire fame. Un effetto che, invece, scatta grazie all’odore e al sapore degli alimenti.

Lo studio, coordinato da Guy Carpenter dalla Salivary Research Unit del Kings College London Dental Institute, Regno Unito e pubblicato sul Journal of Studies Texture, ha esaminato la risposta salivare di alcuni volontari a un certo numero di stimoli correlati alla sensazione di avere «l’acquolina in bocca».

Il concetto, un po’ fiabesco, è spesso utilizzato per promuovere o vendere un prodotto alimentare. Ma, notano gli autori dello studio, «la base fisiologica di questa risposta non è chiara. A differenza degli animali – come i cani dell’esperimento di Pavlov – gli esseri umani non sono in grado di aumentare la salivazione pensando al cibo. E vari studi hanno rilevato che non c’è una crescita significativa della produzione di saliva nemmeno in risposta a immagini di alimenti. È possibile che l’immagine non sia sufficiente a “convincere” il cervello del fatto che il cibo sta arrivando davvero, e quindi l’organismo non si prepara a mangiarlo e assimilarlo».

Il ricercatore russo Ivan Pavlov condizionò i cani a salivare al suono di una campana, dopo che avevano imparato ad associare il suono all’arrivo del cibo nella ciotola. Ma gli autori sottolineano che ci sono pochi studi che notano un simile condizionamento, per immagini o suoni, anche negli esseri umani. «E i risultati sono contraddittori: secondo alcuni, le ghiandole salivari si mettono davvero a lavorare, ma secondo altri scienziati saremmo solo più consapevoli della saliva che era già presente nella bocca da prima». 

Nel nuovo studio ai volontari sono state mostrate immagini di alimenti sullo schermo di un computer: i ricercatori, analizzando i campioni di saliva, non hanno rilevato alcuna differenza tra quella prodotta in assenza di stimoli o davanti alla foto del cibo. E non c’era differenza nemmeno se lo stimolo era la fame (la produzione di saliva è stata misurata prima del pasto e dopo.)

Al contrario, in una fase successiva dell’esperimento ai volontari sono stati presentati cibi veri. E il flusso salivare è cresciuto. Secondo i ricercatori, anche senza assaggiarli, i volontari erano consapevoli dell’odore degli alimenti ed era evidente che fosse questo stimolo, per altro ben conosciuto, a causare l’acquolina in bocca.

Insomma: da un punto di vista del marketing, la strategia migliore è quella dei fornai che aprono la finestra del loro negozio e fanno sì che i passanti vengano investiti dal profumo del pane fragrante appena sfornato. Chi riesce a resistere alla tentazione di entrare ed acquistare almeno un pezzo di focaccia?

 

Mariateresa Truncellito

foto: Photos.com