La rivista francese dei consumatori Que Choisir ha analizzato 20 marche di acqua in bottiglia e sette di rubinetto alla ricerca di microplastiche. I test hanno riguardato 12 naturali e 8 gasate, e contemporaneamente l’acqua di rubinetto di sette grandi citta: Lille, Strasburgo, Nante, Lione, Tolosa e Marsiglia. Sono stati prelevati tre campioni per ogni città e tre per ogni referenza di minerale, per un totale di 81 campioni. Il sistema utilizzato per l’analisi ha permesso di rintracciare frammenti fino a 0,04 millimetri, e tutta la procedura è stata eseguita evitando la contaminazione con eventuali particelle presenti nell’aria.
I risultati sono rassicuranti: in 11 marche di acqua minerale non sono state trovate microplastiche, e nelle restanti nove le particelle erano presenti in tracce, tanto che i valori riscontrati non hanno mai superato il numero di una microfibra per litro. Per le acque di rubinetto l’esito è migliore, visto che non è stata trovata nessuna microplastica.
Lo scorso anno la rivista aveva analizzato la presenza di questi micro residui in cozze, gamberetti e sale marino, e i risultati non erano stati confortanti. Due terzi dei prodotti contenevano microplastiche. Anche peggio i risultati di uno studio americano condotto nel 2018 sulle acque minerali: su 259 bottiglie analizzate, ben il 93% era contaminato.
Negli studi sulle acque i residui sono inferiori a 0,1 millimetri, e non si sa con certezza come avvenga la contaminazione, forse si tratta di una migrazione dalla stessa bottiglia oppure durante il processo di imbottigliamento.
Negli ultimi anni si è accertato che le microplastiche sono ubiquitarie, si trovano ovunque, dai fiumi britannici alle montagne svizzere, dai crostacei alla birra, tanto che secondo la Commissione europea sono entrate nella catena alimentare umana. Tuttavia non esistono ancora degli studi su come questi residui interagiscano con il nostro organismo. Si ipotizza che la maggior parte, fino al 90% del totale, delle fibre ingerite venga espulsa attraverso la digestione senza complicanze. Qualche problema potrebbe esserci per le più piccole, quelle di dimensioni inferiori a 150 micrometri (0,15 millimetri) e per le nanoplastiche (che misurano da 1 a 100 nanometri), che potrebbero entrare nel sistema linfatico o passare dal flusso sanguigno e poi migrare verso altri organi.
Uno dei timori più diffusi è legato alle sostanze utilizzate durante la fase di produzione per trattare le plastiche, come i policlorobifenili (PCB), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) o il bisfenolo A (BPA), che una volta nell’organismo potrebbero causare un incremento di rischio di tumori o effetti negativi sui sistemi endocrino, metabolico e riproduttivo. Un’altra preoccupazione riguarda la possibilità che le microplastiche siano il veicolo di batteri e di altri microrganismi patogeni.
Alla luce di queste considerazioni appare improrogabile l’attuazione di politiche più incisive volte alla riduzione dell’uso di plastica per l’ambiente, gli animali e anche per la salute dell’uomo.
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Giornalista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione
Visto che il mare è ricco sia di microplastiche che di idrocarburi da petrolio e derivati, sarebbe utile che per uso alimentare il sale derivasse da acqua marina microfiltrata , e possibilmente ricristallizzato. Ciò non è necessario per il sale da salgemma.