alcol, donna incinta gravidanza

donna incinta gravidanza pesce pescheriaNelle donne incinte, i livelli di mercurio presenti nell’organismo dipendono da alcuni fattori molto chiari: la zona di residenza, le abitudini alimentari, il livello di istruzione, l’età e il fatto che la gravidanza sia o meno la prima. Questo è il quadro tratteggiato in uno studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, che ha analizzato nel dettaglio la dieta, le caratteristiche socioeconomiche e i livelli di mercurio di oltre 200 donne in gravidanza.

Com’è noto, quasi tutte le linee guida sconsigliano a chi aspetta un figlio di consumare pesci di grandi dimensioni come tonni e pesci spada, se non sporadicamente, perché nelle loro carni si accumula più mercurio che in quelle dei pesci di piccola taglia, e perché questo metallo è particolarmente nocivo per il feto (in relazione allo sviluppo del sistema nervoso). Per questo i ricercatori della Florida Atlantic University, dove il consumo di pesce è circa dieci volte quello degli altri stati americani, e in cui esiste una delle zone a più elevata contaminazione da mercurio del mondo (la laguna del fiume Indian, estesa per 250 km e che attraversa il 40% delle coste orientali dello stato), hanno valutato la presenza del metallo nei capelli di donne incinte residenti nelle zone costiere. I ricercatori hanno poi messo in relazione quanto scoperto con la dieta e altre variabili, compresa l’origine dei pesci e la consapevolezza dei rischi per il feto.

pesce spada mercurio
In gravidanza andrebbe evitato il consumo di pesci di grossa taglia, come tonno e pesce spada, per il loro contenuto di mercurio

Il risultato è stato che i livelli medi di mercurio non sono superiori a quelli delle donne di età simile residenti in altre zone degli Stati Uniti. Questa è una buona notizia perché la Florida è ad alto rischio anche per la presenza di fonti naturali di mercurio e per la particolare conformazione costiera. Tuttavia, analizzando nel dettaglio la situazione, si è scoperto che le donne con più di 33 anni (spesso di origine asiatica) abituate a mangiare pesce tre volte alla settimana hanno una concentrazione di mercurio nei capelli di circa quattro volte superiore a quella delle coetanee che non lo mangiano mai. Lo stesso accade per le donne che consumano abitualmente pesce proveniente dalla laguna del fiume Indian, i cui capelli contengono più mercurio rispetto a alle donne che non mangiano mai pesce proveniente da quelle zone.

Altro fattore importante è il livello di istruzione e di conoscenza. Più dell’85% delle partecipanti sa che alti livelli di mercurio possono danneggiare il feto e quasi il 90% sa che alcuni pesci possono contenere grandi concentrazioni. Ma quando si deve tradurre questa conoscenza in comportamenti la situazione non è così positiva. Quando gli autori hanno domandato la frequenza di consumo di pesce spada o tonno durate la gestazione, solo tre quarti hanno risposto che è meglio evitare, e solo il 53,7% ha detto di sapere che anche quelli acquistati nei supermercati e nelle pescherie possono contenere mercurio.

Resta quindi molto da fare per spiegare meglio quali sono i pesci consigliabili, soprattutto per l’apporto di omega 3, e quali sarebbe meglio evitare, specialmente quando si vive in zone a rischio di contaminazione da mercurio.

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gianni
gianni
3 Gennaio 2020 22:12

Chi vuole farsi una idea sui quantitativi circolanti di questo veleno c’è questo articolo
https://www.eea.europa.eu/it/articles/il-mercurio-una-minaccia-persistente
Nessuno può dirsi al sicuro a meno di non poter emigrare su Marte ma bisognerebbe vietarne più che sconsigliarne il consumo alle gestanti e ai bambini piccoli.

lele
lele
9 Gennaio 2020 11:56

Tra i pericoli accertati negli ultimi quindici anni dal Controllo Ufficiale e riportati sul portale del RASFF, (per I prodotti ittici), la presenza di metalli pesanti è saldamente al primo posto.
Molto raramente e nella grande distribuzione, si possono osservare dei warning rivolti ai consumatori in prossimità delle pescherie.
Mai, per quanto mi consta, sui mercati.
Bisognerebbe rendere obbligatoria questo tipo di informazione a tutela delle categorie vulnerabili, anche in funzione della confusione che interessa la denominazione degli squaliformi, identificati con nomi “più familiari” e venduti in tranci.