«Noi siamo prima di tutto dei genitori e, in quanto tali, cerchiamo di offrire dei pasti decenti alle nostre figlie, di limitare il junk food e di far sì che abbiano una dieta il più possibile equilibrata e ragionevole. E l’ultima cosa che vogliamo è che tutti i nostri sforzi siano vanificati ogni giorno, quando le figlie mangiano alla mensa della scuola». Michelle Obama ha usato questa frase un po’ a effetto per presentare le nuove linee guida per i menu delle mense scolastiche statali varate dallo US Department of Agriculture, e approvate dal Congresso.

 

Si tratta di annuncio molto atteso, soprattutto se si considera che qualche mese fa il Congresso aveva bocciato una versione precedente, più restrittiva delle norme, segnando così una sconfitta anche per il Presidente e la sua Amministrazione. La First Lady, già madrina della campagna sull’attività fisica Let’s Move, ha scelto proprio la dieta e i problemi di peso dei suoi concittadini come battaglia dove spendere la sua immagine.

 

Le nuove regole, volte a incidere sui tassi di obesità infantile, secondo i quali un bambini su tre è in sovrappeso od obeso, sono basate su alcuni punti essenziali:

 

  • l’obbligo di servire solo latte scremato o a basso contenuto di grassi trans e saturi
  • la riduzione del sale e dei grassi saturi
  • il raddoppio della quantità di frutta e verdura
  • l’obbligo di servire solo cereali integrali
  • l’obbligo di rispettare una quantità di calorie minima e massima a seconda dell’età del ragazzo
  • l’obbligo di servire porzioni ragionevoli per i ragazzi (eliminando quindi quelle troppo grandi).

 

Secondo le linee guida approvate, un pasto ideale per bambini delle scuole elementari potrebbe essere composto da un piatto di spaghetti con salsa di carne, pane integrale, insalata mista con legumi, broccoli e cavolfiore, fettine di kiwi, latte a basso tenore di grassi e margarina a basso colesterolo. Tutto ciò andrebbe a sostituire hot dog con ketchup, frutta caramellata, verdura con condimenti grassi e latte al cioccolato.

 

Nella versione precedente (bocciata a novembre) la proposta era più radicale e prevedeva l’abbandono della patatine fritte servite settimanalmente, il divieto di conteggiare la salsa di pomodoro usata sulla pizza come verdura (la quantità presente su una fetta media di pizza continuerà a essere valutata come porzione di verdura) e l’obbligo di dimezzare il sale nei prossimi dieci anni. Nessuna di queste proposte è stata ripresentata, ma se si considerano le dimensioni della questione, gli effetti delle linee guida approvate, per quanto più soft, risultano facilmente intuibili.

 

Ogni giorno 32 milioni di bambini e ragazzi americani mangiano nella mensa di una scuola pubblica. Moltissimi di loro usufruiscono di pasti gratuiti e, di conseguenza, sono obbligati a mangiare ciò che viene proposto. Secondo il Dipartimento, il 63% dei pasti e l’89% delle prime colazioni vengono dati gratuitamente o a prezzi ridotti per motivi di reddito, con un costo per l’USDA pari a 18 miliardi di dollari, a cui adesso sarà necessario aggiungerne altri 3,2 per l’adeguamento ai nuovi standard.

 

I bambini coinvolti saranno moltissimi, con un notevole l’impiego di risorse, ma se effettivamente si ridurrà il numero degli obesi, si potrano risparmiare le spese per curare le patologie collegate all’eccesso di peso. In questo senso, si capisce come abbiano avuto gioco facile i sostenitori delle nuove linee guida come Margo Wootan, direttore dell’ente no profit Center for Science in the Public Interest, che ha sottolineato: “Nonostante l’azione di lobbying dei grandi gruppi alimentari, le nuove regole rappresentano il passo in avanti più significativo degli ultimi dieci anni per battere l’obesità infantile”, oppure Dawn Undurraga, dell’Environmental Working Group, che ha fatto notare che “una popolazione più sana e meno obesa farà risparmiare miliardi di dollari in costi sanitari”.

 

La reazione dei produttori non è stata altrettanto entusiastica, perché hanno capito di avere perso il match e che lo scontro frontale sarebbe stato controproducente. Così se Corey Henry, vice presidente dell’American Frozen Food Institute, ha detto “Le nuove regole migliorano la nutrizione scolastica e aumentano la flessibilità che ciascuna scuola ha per poter servire piatti sani”, il portavoce del National Potato Council ha sottolineato che “le nuove regole sono buone, anche se non mancano motivi di preoccupazione perché le patate sono ancora considerate verdure di serie B, cui preferire altri vegetali”.

 

Tutti comunque sono stati messi a tacere dallo stesso USDA, che nel comunicato ufficiale annuncia di aver stabilito le linee guida in base a risultati ottenuti in studi scientifici di qualità.

Ora ci vorranno alcuni mesi prima di adottare i nuovi menu in tutte le scuole ma i problemi non mancano. Il New York Times dice che in alcune città come Louisville, in Kentucky, tutto il distretto scolastico ha da tempo sostituito le farine bianche con quelle integrali e introdotto più verdure a foglia verde come gli spinaci, diminuendo in parallelo la disponibilità di patatine fritte. I 100.000 studenti coinvolti si sono molto lamentati del cambiamento, nonostante le modifiche siano state graduali e spiegate a ragazzi e genitori in molti incontri pubblici, ma lentamente si stanno abituando.

 

A Los Angeles è andata peggio: alcune scuole che avevano modificato i menu in senso più salutare hanno fatto marcia indietro. Anche per queste difficoltà lo USDA ha previsto, come parte integrante del nuovo programma, ispezioni in molte scuole, per verificare l’applicazione dei nuovi menù. Entro pochi mesi, saranno rese note anche le linee guida per i distributori di cibi e bevande presenti all’interno delle scuole pubbliche, per evitare che gli studenti trovino in corridoio ciò che viene loro negato in mensa.

 

Agnese Codignola