Qualcosa, lentamente, sta cambiando, nelle abitudini alimentari dei cittadini dei Paesi più industrializzati: per loro, infatti, la carne sembra essere sempre meno il pilastro dell’alimentazione quotidiana. Questo almeno è ciò che emerge dall’ultimo rapporto di Euromonitor International, secondo il quale il mercato della carne è quello che ha avuto le peggiori performance nel periodo 2005-2010 dopo quello di frutta e verdura: una crescita bassa, del 14%, leggermente più vivace solo rispetto a quella dei vegetali, ferma a più 11%. Il consumo di pesci e prodotti ittici è invece cresciuto in misura leggermente maggiore, e cioè del 16%, beneficiando dell’immagine positiva associata agli omega tre.

Ma come mai si mangia meno carne, dopo che questo tipo di alimento è stato associato per secoli (e tuttora lo è in molti dei paesi emergenti) con la ricchezza e il benessere? Secondo gli esperti di Euromonitor il dato attuale è il risultato di un insieme di fattori che stanno modificando profondamente i comportamenti: percezione dei danni arrecati da una dieta troppo ricca di carne, sensibilità verso l’ambiente e consapevolezza dell’impatto degli allevamenti, mode (trainate spesso da personaggi famosi), recessione economica e altro ancora. Tutto ciò ha determinato un progressivo aumento del numero di cosiddetti flexitarian, cioè persone che, pur senza diventare integraliste, lasciano alle carni uno spazio sempre più ristretto nella dieta quotidiana, ne comprano e ne consumano meno.

Come sempre accade, alla perdita di quote si mercato delle industrie della carne è associata la conquista di nuovi spazi da parte di più protagonisti come i produttori di vitamine e supplementi, spesso consigliati – non sempre a proposito – a vegetariani e vegani, ma anche quelli di pollami e carni bianche in genere, considerate più sane e meno devastanti per l’ambiente, così come di quelli che preparano e vendono pasti pronti. Altro settore in crescita evidente è quello dei derivati della soia come il tofu, soprattutto in Asia ma sempre più anche in occidente, dove viene acquistato come fonte di proteine pregiate e alternative a quelle animali.

Inoltre, a una diminuzione dei patiti della bistecca corrisponde un aumento del numero dei vegetariani, ormai in crescita ovunque. In cima alla classifica è stabilmente posizionata l’India, con il suo 31% di latto-vegetariani (persone che oltre ai vegetali assumono anche latte e derivati e miele) e il 9% di cittadini che dicono sì alle uova ma rifiutano la carne. Il vegetarianesimo, tuttavia, è in crescita anche in paesi quali Taiwan, Germania, Brasile, Svizzera, Israele, Gran Bretagna e Italia, dove si stima sia stato adottato da non meno del 10% della popolazione. Resta invece un comportamento di nicchia in Giappone (sarà interessante, in questo senso, vedere tra qualche mese o anno le conseguenze della contaminazione dei bovini seguita all’incidente di Fukushima) e in Cina, anche perché una delle religioni prevalenti, il buddismo, oggi non è più associata al vegetarianesimo come è accaduto invece per secoli. In Cina, comunque, scrivono i ricercatori di Euromonitor, iniziano a sorgere i primi movimenti pro-vegetarianesimo, per emulazione di quanto accade in occidente e per aumento della consapevolezza dell’insostenibilità di un’alimentazione centrata sui bovini.

Anche negli Stati Uniti, Paese dove hamburger e bistecche sono una presenza costante nella dieta, sono sempre più numerose le persone che rifiutano la carne soprattutto bovina: se nel 1971 i vegetariani erano l’1% della popolazione, nel 2009 erano il 3,4% e i vegani lo 0,8%; il movimento, che comprende diverse associazioni tra le quali Meatless Mondays International, che vuole convincere tutti a rinunciare alla carne almeno per un giorno alla settimana, e PETA, sta attraversando un momento di grande popolarità.

Anche in Italia, secondo l’ultimo rapporto ISMEA, reso noto in marzo, nel 2010 il consumo di carne bovina ha fatto registrare un calo molto netto, con una contrazione della domanda del 4,6% rispetto al 2009, associato a un calo anche dei vini (-3,4%), dei prodotti ittici (-2,9%) e della frutta (-1,8%). Al contrario, sono aumentati gli acquisti di olio d’oliva (+3,7%), di cereali (nonostante la flessione di pane e pasta), di carni suine e salumi (+0,6%), mentre è emerso un andamento complessivamente stazionario per latte e derivati, ortaggi e carni avicole (bene il pollame, male il tacchino). Risultati così negativi (qui infatti non si ha un rallentamento della crescita ma una diminuzione) probabilmente sono dovuti alla grave crisi economica, che ha indotto molti italiani a tagliare le spese anche sulla spesa alimentare.

Infine, gli esperti di Euromonitor prevedono che la tendenza al ridimensionamento del consumo di carne continuerà e anzi, diventerà sempre più accentuata e che le vendite dei cibi alternativi alla carne cresceranno ancora del 15% entro il 2015, sostenute anche dal desiderio di avere a disposizione alimenti del tutto nuovi, e di esplorare nuovi sapori. Per questo ritengono che dal punto di vista commerciale la competizione sarà vinta da chi saprà proporre alimenti gustosi ma anche sani, con pochi grassi, zuccheri e sale, e relativamente facili da cucinare.

 

Agnese Codignola

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