Continua la ricerca di soluzioni alternative ad antibiotici e sostanze chimiche per combattere i microrganismi che minacciano la vita sia delle persone che delle piante. Una delle strade più promettenti, da questo punto di vista, è quella rappresentata dalla luce che, nelle sue diverse lunghezze d’onda, può assicurare risultati importanti. Nella prima metà di ottobre, sono stati presentati due esempi piuttosto significativi di possibili applicazioni.
Luce blu: una soluzione contro i microrganismi?
Il primo, illustrato su Applied and Environmental Microbiology dai ricercatori dell’Università della Georgia, conferma le potenzialità della luce visibile blu, che offre alcuni vantaggi rispetto a quella ultravioletta. In particolare sono in uso da tempo i raggi Uvc, che hanno una lunghezza d’onda inferiore ai 280 nanometri (nm) e sono invisibili all’occhio umano. Tuttavia possono essere dannosi per pelle e occhi, causando alterazioni del Dna. Per tale motivo, pur essendo molto efficace come antimicrobico, non ha mai avuto una grande applicazione sugli alimenti, ma solo su alcune tipologie di oggetti, per esempio biomedicali.
La luce blu, che ha una lunghezza d’onda compresa tra 400 e 470 nanometri, può abbassare in misura significativa la carica di microrganismi presenti su superfici a contatto con alimenti senza rischi. Nello studio, in particolare, gli autori volevano definire le condizioni ideali per un suo utilizzo. A tale scopo hanno testato l’effetto della luce blu su cinque diversi ceppi Listeria monocytogenes depositati e fatti essiccare su cinque piastrine di altrettanti materiali: acciaio inox, silicone, Pvc, polistirene e polietilene ad alta densità (Hdpe). I ricercatori hanno sperimentato l’effetto della luce blu anche sui biofilm che la Listeria forma se lasciata proliferare per un intervallo di tempo sufficiente.
I test effettuati con esposizioni di 4, 8 e 16 ore hanno confermato che la luce blu funziona. Abbatte di mille volte la concentrazione di Listeria presente, se applicata per 16 ore, e abbassa anche la quantità di biofilm. Inoltre, funziona particolarmente bene se la superficie è di polistirene. Secondo gli autori, un trattamento di questo tipo potrebbe essere indicato per tutte le superfici che entrano in contatto con gli alimenti e che possono rappresentare un ambiente ideale per la riproduzione dei patogeni.
La scommessa dell’Enea: un robot con luce Uvc
Il secondo esempio è italiano ed è un progetto su cui sta lavorando l’Enea. Il suo nome è Ormesi, da un fenomeno ben noto, che ora i ricercatori cercano di sfruttare. Si tratta della reazione indotta da uno stimolo fisico, come i raggi Uvc, che ha come conseguenza un aumento nella sintesi e nella secrezione di diverse sostanze da parte della pianta, a scopo difensivo.
In base ai primi test effettuati su basilico, mele e limoni, l’esposizione ai raggi Uvc abbatte la carica microbica e consente di utilizzare il 50% in meno di fitofarmaci. In particolare, si pensa di realizzare un piccolo robot equipaggiato con lampade Uvc emittenti. Il dispositivo somministrerà la luce desiderata alle zone specifiche della pianta, in particolare quelle che sembrano maggiormente contaminate, riconosciute tramite un sensore ottico. Tra l’altro, l’ormesi fa aumentare anche la concentrazione di sostanze come polifenoli e antociani, rendendo le piante più gustose e nutrizionalmente ricche. Inoltre inibisce le poliammine, rallentando la maturazione e allungando la shelf life. I vantaggi sarebbero dunque molteplici.
I primi risultati del progetto Ormesi
Per quanto riguarda le sperimentazioni effettuate, i risultati non sono ancora stati pubblicati su riviste peer reviewed, ma solo diffusi tramite il sito dell’Enea. Dopo 75 giorni dal trattamento, le piante di basilico irraggiate con basse dosi di Uvc e poi infettate con la muffa grigia Botrytis cinerea hanno avuto uno sviluppo fungino (sulle foglie) inferiore del 30%, rispetto al basilico inoculato e non irraggiato. Nel caso delle mele, invece, il trattamento ha permesso di rallentare la diffusione del patogeno all’interno del frutto e, di conseguenza, la sua marcescenza. I ricercatori hanno poi ottenuto risultati preliminari incoraggianti anche contro la muffa verde Penicillium digitatum del limone che, dopo 40 giorni dal trattamento, è risultata totalmente inibita. La parte infettata, ma non trattata con luce Uvc, è stata invece invasa totalmente.
Da notare infine che questa tecnologia, che potrebbe essere accoppiata ai droni per l’irrigazione e ad altre strumentazioni, potrebbe permettere di centrare l’obiettivo della strategia europea Farm to Fork, che prevede il dimezzamento dei pesticidi in agricoltura entro il 2030.
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Giornalista scientifica
Una domanda: ma è la stessa luce blu emessa dagli smartphone ,quella che altera il DNA di pelle e occhi???? Mi interesserebbe sapere …perché altrimenti bisognerà preoccuparsi anche dell uso continuativo dei nostri occhi sullo stesso smartphone….Si dice che la luce blu emessa dagli smartphone e dai PC faccia invecchiare prima la pelle … E’ un campo nuovo e interessante, invece quello sullo studio delle luci applicate in questo settore per diminuire il 50 per cento dell uso dei fitofarmaci..
Hanno sfatato anche questa storia recentemente…, sul sonno non ci sono reali effetti, e nemmeno grande influenza su pelle e occhi (ovvio, se stai sveglio a guardare/leggere, sul sonno e occhi qualche problema potrebbe darlo, ma come lo farebbe leggere un libro probabilmente…).