Latte in polvere Lactalis: come si è arrivati all’epidemia di Salmonella? Uno stabilimento vecchio, un batterio resistente e tanta superficialità
Latte in polvere Lactalis: come si è arrivati all’epidemia di Salmonella? Uno stabilimento vecchio, un batterio resistente e tanta superficialità
Giulia Crepaldi 19 Febbraio 2018Superficialità e errori di valutazione. Sono questi gli elementi alla base dell’epidemia di Salmonella Agona causata dalle formule per lattanti prodotte da Lactalis. Secondo le cifre ufficiali, il batterio ha colpito 37 bambini in tre Paesi (Francia, Spagna e Grecia), ma i numeri potrebbero essere più alti, perché il microrganismo è presente nello stabilimento Lactalis di Craon fin dal 2005, quando si era verificato un altro focolaio, che allora aveva coinvolto 141 lattanti. Lo hanno certificato le analisi dell’Istituto Pasteur, che hanno confermato la presenza in entrambi i casi dello stesso particolare sierotipo di Salmonella. Ma come si è arrivati a questo punto?
Il primo errore commesso da Lactalis, secondo gli esperti intervistati dal quotidiano francese Les Echos che ha ricostruito la vicenda, è stato proprio quello di acquistare lo stabilimento, allora di proprietà dell’azienda Celia. Un’acquisizione che risale al 2006, l’anno successivo alla prima epidemia di Salmonella. Si tratta di un impianto vecchio e antiquato con piastrelle, angoli e superfici porose dove la Salmonella può trovare terreno fertile e persistere in forma dormiente, anche per tempi molto lunghi, fino a che un elemento di disturbo non libera il microrganismo nell’ambiente. Come i lavori di ristrutturazione che hanno coinvolto i pavimenti della torre di essicazione numero 1, realizzati nel febbraio 2017.
Il secondo, probabile, sbaglio del colosso francese è stato sottovalutare le difficoltà e le esigenze di sicurezza legate alla produzione delle formule per lattanti. Lactalis, infatti, non ha mai prodotto latte in polvere per bambini piccoli fino all’acquisto dell’impianto di Craon. “Le produzioni per bambini fino ai tre anni di età – spiega un esperto – dovrebbero seguire le stesse misure di sicurezza adottate dalle industrie farmaceutiche”. Ed è così che il colosso francese si ritrova a gestire la produzione di formule in una fabbrica vecchia, con una storia di contaminazione da Salmonella Agona e con poca esperienza nel settore. La ricetta per un disastro, che puntualmente si è verificato.
Ora Lactalis ha fermato la produzione nella torre incriminata e ha richiamato tutti i lotti di formula prodotti a partire da febbraio 2017: oltre 12 milioni di confezioni distribuite in 67 Paesi. Ma il timore è che le contromisure adottate non siano sufficienti. “Quando si trovano regolarmente delle Salmonelle nell’ambiente e non si riesce a liberarsene, si finisce per abituarsi.” afferma un esperto di controllo qualità. Per estirpare questi batteri dall’ambiente le normali operazioni di pulizia non bastano e, quando si tratta di latte in polvere, non si può nemmeno usare l’acqua, che funge da vettore di propagazione.
Le analisi del Servizio di sorveglianza sanitaria svolte all’epoca della prima epidemia parlavano già di persistenza e resistenza delle Salmonelle nell’ambiente. Secondo Antonia Ricci dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie “Potrebbe trattarsi di un ceppo con particolari caratteristiche di persistenza, come si osserva sempre più frequentemente negli stabilimenti di produzione degli alimenti, e che risultano particolarmente difficili da debellare perché resistono anche ai disinfettanti e a condizioni ambientali sfavorevoli”. La persistenza del batterio nello stabilimento è confermata dalle analisi ambientali di autocontrollo della stessa Lactalis, che ha trovato della Salmonella nell’impianto per due volte nel corso del 2017 (23 agosto e 2 settembre). Secondo quanto dichiarato dal Direttore generale dell’alimentazione del Ministero dell’agricoltura, contaminazioni da Salmonella Agona sono state riscontrate nell’ambiente anche nel 2009 e nel 2014, mentre nel 2011 è stata trovata una confezione di latte in polvere positiva per il batterio, oltre a due analisi positive per altri due ceppi di Salmonella. Come se ciò non fosse abbastanza grave, nessuno di questi eventi è stato segnalato alle autorità sanitarie.
L’azienda afferma di aver eseguito operazioni di pulizia straordinaria e approfondita, di aver rinforzato i controlli e scarica tutta la responsabilità su Eurofins, il laboratorio di analisi colpevole di non aver mai riscontrato il batterio in 16 mila campioni testati nel 2017. Ma come ha fatto notare un esperto, addossare la colpa al laboratorio è pretestuoso, perché per poter identificare eventi rari – come è appunto la contaminazione da Salmonella Agona del latte in polvere – i campionamenti standard che vengono effettuati non sono sufficienti. Il batterio, infatti, può essere presente in piccola quantità solo in una confezione e assente in un’altra. Inoltre, questi batteri, già di per se appartenenti a un ceppo con caratteristiche non comuni, tendono ad aggregarsi rendendone ancora più difficoltosa l’identificazione.
Una volta messi insieme tutti i pezzi del puzzle, appare evidente come ancora una volta l’unica soluzione possibile per evitare che si verifichino altri eventi di questo tipo sia la prevenzione, per ridurre al minimo la contaminazione batterica degli ambienti, dei macchinari e anche degli operatori. Proprio perché lo scandalo poteva e doveva essere evitato, l’organizzazione Foodwatch, insieme all’Associazione delle famiglie vittime dal latte contaminato, ha presentato un esposto contro Lactalis. Tra le 12 accuse lanciate dalle associazioni figurano la vendita di prodotti pericolosi per la salute e il mancato ritiro dei lotti contaminati. Insomma, siamo ancora lontani dalla fine di questa storia.
© Riproduzione riservata
* Con Carta di credito (attraverso PayPal). Clicca qui
* Con bonifico bancario: IBAN: IT 77 Q 02008 01622 000110003264
indicando come causale: sostieni Ilfattoalimentare 2018. Clicca qui
Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Molto interessante, ma Giulia Crepaldi ha dimenticato di aggiungere le due cose più importanti:
1. se i tassi di allattamento fossero come dio comanda (e in Francia siamo ben lontani, è molto peggio dell’Italia) e se non ci fosse tanto marketing diretto e indiretto (via ospedali e pediatri) della formula, i rischi sarebbero molto bassi
2. e si potrebbero ridurre ancora di più, avvicinandoli a zero, se sulle etichette delle formule fosse scritto in grande PRODOTTO NON STERILE, e se le istruzioni per la ricostituzione fossero per legge (in Francia, in Italia, in tutti i paesi della UE) quelle OMS/FAO del 2006 (ripeto: 2006, siamo nel 2018), vedi http://www.saperidoc.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/792
Gentile Adriano,
l’attenzione di questo articolo era puntato sugli errori e le mancanze di Lactalis e sui problemi sistematici e la contaminazione ambientale dello stabilimento in cui le formule per neonati contaminate erano state prodotte.
Grazie, comunque, per il contributo interessante, sono fattori che molto probabilmente hanno giocato un ruolo nell’epidemia.
Capisco, ma forse è bene diffondere queste importanti considerazioni in altri articoli sull’argomento.