In estate, le passeggiate in montagna possono essere occasione per raccogliere erbe, bacche e fiori, a volte anche con l’intenzione di preparare tisane o altri rimedi naturali. Se è certo che passeggiare nel bosco e stare in contatto con l’ambiente naturale può avere effetti positivi per la salute psicofisica, non è altrettanto facile ottenere effetti benefici dai preparati che possiamo allestire con le erbe e i fiori che noi stessi abbiamo raccolto.
Non è vero che – come molti pensano – ciò che troviamo in natura sia sempre salutare, e lo stesso vale per i prodotti “naturali”, ricavati dalle piante, disponibili in commercio: l’essere estratto da una pianta, non è sufficiente per escludere eventuali effetti negativi per la salute. È un grande equivoco di cui non si parla mai abbastanza. Le piante, e gli integratori che si ricavano da queste, possono essere efficaci per conservare una buona salute o per curare eventuali patologie (quando sono ingredienti di farmaci), ma possono anche risultare rischiosi.
Gli effetti utili, quando sono presenti, sono dovuti a sostanze attive che si devono maneggiare con cautela, sia quando si tratta di integratori a base di erbe, sia, a maggior ragione, se utilizziamo direttamente le erbe raccolte da noi durante una passeggiata.
Ne abbiamo parlato con Fabio Firenzuoli, responsabile del Centro di ricerca e innovazione in fitoterapia (CERFIT) dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze, autore del libro “Le insidie del naturale” (LSWR Ed.). “Il primo “pericolo” legato all’utilizzo delle erbe è dovuto al fatto che esistono piante tossiche, e si trovano anche nei nostri boschi, campi e giardini. – Fa notare Firenzuoli – Queste piante ovviamente non sono in commercio, né in forma essiccata, per preparare tisane, né sotto forma di integratori, però si possono incontrare in natura e possono causare intossicazione se ingerite per errore, perché scambiate con altre piante oppure perché male informati. La belladonna (Atropa belladonna), per esempio, è una pianta che si può trovare nei boschi nelle regioni montane e produce belle bacche nere che possono attirare l’attenzione dei bambini. Queste contengono alcaloidi molto potenti – fra cui l’atropina, utilizzata come farmaco – che hanno gravi effetti sull’apparato cardiocircolatorio e sul sistema nervoso e l’ingestione può essere fatale. Anche lo stramonio (Datura stramonium), – continua l’esperto – appartenente alla stessa famiglia botanica (quella delle Solanacee), è una pianta medicinale ma pericolosa: contiene infatti numerose sostanze, fra cui la scopolamina e la josciamina, principio attivo di medicinali come il Buscopan. Fino a non molti anni fa si utilizzavano le foglie per produrre sigarette destinate a combattere l’asma, o addirittura per preparare “filtri d’amore”, naturalmente al di fuori della medicina “ufficiale”, in quanto il suo utilizzo erboristico non è ammesso in alcuna forma. Una delle piante tossiche più “disponibili” è poi l’oleandro, velenoso in ogni sua parte, sia fresco che secco, anche per gli animali.”
“Se ci rivolgiamo ai canali ufficiali – erboristerie, farmacie ecc. – possiamo stare tranquilli perché non troveremo mai piante tossiche, – sottolinea Firenzuoli – i rischi più comuni sono semmai legati al cattivo uso che si può fare di questi prodotti. Le sostanze contenute nelle erbe possono ad esempio interferire con l’assorbimento di un farmaco o con il suo meccanismo di azione, riducendone, oppure aumentandone l’attività. L’idea che un prodotto naturale sia sempre salutare, induce a trascurare le cautele che di solito mettiamo in atto con i farmaci. I preparati botanici utilizzati per gli integratori non sono farmaci e non devono essere utilizzati per curare una patologia. In questo caso, infatti si corre un doppio rischio: utilizzando preparati a base di erbe contemporaneamente a farmaci si possono instaurare delle interazioni negative che riducono l’efficacia dei farmaci o determinano la comparsa di effetti collaterali. Ancora peggio può accadere se pensiamo di sospendere una terapia sicura ed efficace, a base di farmaci, per sostituirla con prodotti naturali, magari senza consultare un esperto, solo affidandoci al parere di amici o a ciò che abbiamo letto in rete.”
Il primo caso noto di interazione fra prodotti erboristici e farmaci risale a 20 anni fa, quando si sono manifestati due casi di rigetto in pazienti che avevano appena subito un trapianto cardiaco e assumevano iperico. Questa pianta, ingrediente di farmaci e di integratori, interferisce con il metabolismo di molti medicinali, ad esempio gli immunosoppressori (come la ciclosporina) utilizzati in caso di trapianti, oppure l’antitumorale tamoxifene, e ne annulla l’effetto. L’iperico interferisce anche con l’anticoagulante warfarin e il tolbutamide, utilizzato per contrastare il diabete, ma è solo un esempio, perché i casi sono numerosi. Il pompelmo, al contrario, altera il metabolismo di numerosi farmaci amplificandone l’azione e quindi aumentando il rischio di effetti collaterali.
“Il mondo delle interazioni è molto complesso – dice Firenzuoli – perché quando utilizziamo un estratto vegetale non assumiamo un sostanza specifica ma una miscela di sostanze e generalmente assai concentrata rispetto alla pianta come tale. Gli integratori non sono farmaci e quindi non sono accompagnati da indicazioni di tipo terapeutico, quando però la ricerca mette in evidenza casi di interazioni, queste sono segnalate sulla confezione. Sono indicazioni che non devono mai essere ignorate. Chi soffre di qualche patologia o assume farmaci regolarmente, deve sempre parlare con il proprio medico o con altri esperti, prima di aggiungere preparati erboristici alla propria terapia. A questo proposito devo purtroppo notare che oggi, mentre erboristi e farmacisti sono preparati in modo approfondito, non è raro trovare medici privi di una conoscenza specifica del settore, carenze dovute al fatto che la fitoterapia non è compresa nei piani di studio fondamentali. Quando si abbia necessità di una terapia a base di erbe medicinali per una vera patologia, ci si deve affidare a un medico esperto in fitoterapia, ed è possibile anche verificarne il tipo di formazione.” Un altro rischio è quello legato alla comparsa di allergie, sempre possibile, ma più probabile per alcune tipologie di prodotti e sostanze.
Anche la modalità in cui si assume un preparato può provocare inconvenienti. Gli oli essenziali, che molti utilizzano come “profumi” nei diffusori, contengono sostanze molto concentrate e se vengono ingeriti possono avere conseguenze anche gravi. L’olio essenziale di timo, per esempio, se opportunamente preparato (per esempio in pomate o ovuli), può essere utile come antibiotico; se invece si utilizza in gocce sulla pelle, o per bocca, ha effetto caustico e può provocare lesioni.
Tutti gli integratori che si trovano in commercio sono notificati al Ministero della salute e le aziende sono responsabili della sicurezza, così come accade per chi produce alimenti. Bisogna però notare che non tutte le aziende lavorano nello stesso modo e può essere difficile avere informazioni precise sulla provenienza, coltivazione e preparazione delle erbe. Talvolta non è neppure indicata la concentrazione dei principi attivi. Ma il rischio aumenta se facciamo acquisti online, senza il consiglio dell’esperto, e da siti web privi delle dovute garanzie.
“Non ci sono problemi se acquistiamo direttamente dalle aziende, o da siti riconosciuti dal Ministero della salute. – Fa notare Firenzuoli – In rete, però, possiamo trovare siti stranieri che vendono sostanze o prodotti che in Italia sono proibiti come per esempio quelli a base di efedrina, un alcaloide presente in alcune piante che veniva utilizzata come dimagrante e per migliorare le prestazioni sportive, oggi proibita perché responsabile di effetti avversi per sistema nervoso e cardiovascolare (aritmie, irrequietezza, insonnia ecc.). Internet è anche fonte di consigli errati o imprecisi che potrebbero indurre qualcuno a raccogliere e utilizzare piante che magari non sono efficaci, oppure che devono essere maneggiate con cura da esperti. In questi casi il fai-da-te è assolutamente sconsigliato, perché quando si utilizzano direttamente le erbe, anziché compresse o altri preparati, è ancora più importante saperle riconoscere e conoscere le corrette modalità di raccolta, conservazione, preparazione e uso.”
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
Se n’era già parlato altrove a proposito degli integratori a base di vegetali, il grosso rischio del fai-da-te con le erbe è che oltre alla possibilità di raccogliere una pianta velenosa, scambiandola per una innocua, e a quella di creare interferenze con altri farmaci, è l’inconsistenza del dosaggio.
Ogni pianta cresce con ritmi differenti in terrreni differenti e in climi differenti, e accumula quantità differenti delle varie sostanze: in soldoni, una foglia di erba cedrina (si usa per digestivi casalinghi) cresciuta in pieno sole in un terreno arido sarà molto differente per contenuto da una foglia di erba cedrina cresciuta in mezz’ombra in un terreno umido, una delle due conterrà da 5 a 12 volte principi attivi in più o in meno dell’altra.
E un’altra forte differenza la fa il modo di consevazione, piante essicate in pieno sole avranno concentrazioni diverse da piante essicate all’ombra, foglie raccolte da un mese conterranno principi attivi da quelle del barattolo dello scorso anno, e il metodo di preparazione, foglie usate in infuso rilasceranno diversamente le sostanze se invece sono macerate nell’alcol.
Di conseguenza la “ricetta della nonna” (o trovata sul web…) che fa tanto bene con 30 foglie per litro potrebbe dare seri disturbi, o non fare niente del tutto, usando le foglie dell’una o dell’altra, e stiamo parlando di un digestivo, ma lo stesso vale per l’iperico, il biancospino, il cardo… ogni erba che usiamo per fare tisane o altro.
Servirsi da un’erboristeria autorizzata garantisce che non si useranno piante velenose, ma dev’essere l’erborista a dare le dosi che dovremo usare delle sue foglie, comprare delle erbe garantite e poi usarle a casaccio con la ricetta trovata sul web o della nonna o dell’amica che vive a mille chilometri più a sud o a nord di noi ci mette comunque a rischio quanto a dosaggi.