Il Ministero dello Sviluppo Economico ha scelto i 104 progetti da finanziare con 280 milioni di € tra i 429 che hanno partecipato nel 2008 al bando “Industria 2015, nuove tecnologie per il Made in Italy”. Si tratta del terzo Programma di Innovazione Industriale che destina fondi alla ricerca dopo quelli su “Mobilità Sostenibile” ed “Efficienza Energetica”. Complessivamente gli incentivi in corso di erogazione potrebbero essere utilizzati da 7 mila ricercatori, universitari e tecnici che parteciperanno ai progetti. Nel corso della selezione altri 105 progetti sono stati “ritenuti idonei” e questi potrebbero beneficiare di un prossimo stanziamento, anche se il Ministero non si sbilancia sulla possibilità di reperire nuovi fondi e tra gli operatori prevale lo scetticismo.
L’altro aspetto da chiarire è che l’importo del finanziamento stabilito copre mediamente solo il 37% del valore indicato dalle imprese per la realizzazione. Si tratta di un particolare importante che potrebbe indurre alcuni gruppi a rinunciare. I progetti finanziati nell’ambito alimentare sono 21 e sono finalizzati all’individuazione di nuovi prodotti e nuovi processi produttivi nell’ambito della sicurezza e della tracciabilità, oltre a nuovi format distributivi. Nella lista delle imprese partecipanti troviamo a fianco di piccole e medie imprese anche i grandi gruppi e i migliori istituti universitari. Scorrendo la lista dei progetti si riscontrano idee molto brillanti e innovative insieme ad altre più orientate al marketing, che dovrebbero incidere concretamente sui comportamenti di consumo.
Il bando del Ministero dello Sviluppo economico
Nell’ambito del bando Industria 2015, Eridania-Sadam, insieme a 16 partner di rilievo come Granarolo, Soremartec Italia del gruppo Ferrero, i Grandi Salumifici Italiani…, riceverà un contributo per il progetto “Nutrizione, salute e qualità della vita: sviluppo di nuove formulazioni e ricettazioni dei prodotti tradizionali della dieta Made in Italy, ottimizzate per i consumatori Over-50”. Il programma prevede una spesa di 8,27 milioni di €, e dovrebbe sfociare in una gamma di nuovi prodotti, basati sui modelli tradizionali ma in grado di rispondere alle esigenze dietetiche del consumatore moderno. «Non si tratta di una linea terapeutica – precisa Massimo Maccaferri presidente di Eridania-Sadam –ma di nuove formulazioni destinate a una alimentazione sana e funzionale in termini di prevenzione. Le aziende che hanno aderito faranno interventi combinati su materie prime, ingredienti funzionali, tecnologie di lavorazione, formulazioni e ricettazioni per ottenere prodotti innovativi».
Alla fine ci sarà un assortimento di alimenti scelti tra i vari settori merceologici (pasta, olio extravergine di oliva, salumi, piatti pronti, pane, latticini, ecc.), piacevoli e comodi, in grado di rispondere alle esigenze dietetiche del consumatore. Non quindi diete, ma cibi sani e funzionali adatti alle persone non più giovani. La riuscita del programma è affidata anche al contributo determinante dell’Università di Bologna con il gruppo di lavoro dell’Almafood Integrated Research Team e altri cinque organismi come INRAN – Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Università di Perugia, Università Politecnica delle Marche, Università di Palermo, Consorzio Universitario della provincia di Trapani e Università di Siena.
Il progetto Prosit
Il progetto Prosit per la valorizzazione dei salumi italiani, promosso da Fumagalli Salumi, insieme ad altri partner industriali e a un paio di piccole imprese del sud che utilizzano maiali autoctoni, prevede una spesa di 6,78 milioni di € e si trova nella lista di quelli ritenuti idonei. «L’idea è puntare sugli aspetti nutrizionali – precisa Giovanni Parolari della Stazione Sperimentale per l’Industria Conserve Alimentari di Parma – esaltando una riduzione del sodio e migliorando la tipologia di acidi grassi presenti nei salumi senza sconvolgere i principi della tradizione e dei disciplinari Dop e IGP».
Decisivo sarà il supporto dell’Istituto Superiore della Sanità, che dovrà sviluppare metodi analitici per identificare la biodisponibilità di sali minerali come lo zinco, il ferro e il potassio ritenuti elementi molto importanti nella dieta quotidiana. Un aspetto non trascurabile del progetto riguarda il miglioramento della qualità percepita dal consumatore, valorizzando la presenza di composti funzionali nei salumi come alcuni biopeptidi in grado di svolgere un’azione anti-ipertensiva. L’intento è proporre piccole correzioni nella lavorazione industriale (variazione delle temperature, tempi di stagionatura.. ) per migliorare il prodotto finale.
Il progetto Pomored
Berni Alimentare e altre 11 società, tra cui la Stazione Sperimentale Industria Conserve Alimentari di Parma, sono state ritenute idonee a ricevere un contributo per coprire i 10,45 milioni di € necessari al progetto Pomored. Il pool di imprese vuole realizzare un nuovo drink a base di succo di pomodoro. L’obiettivo è rilanciare questa bevanda ancora poco conosciuta dal pubblico, rinnovando il look ma anche il prodotto. Il lavoro più difficile consiste nell’ottenere un succo limpido, ricco di sostanze salutistiche come il licopene, contenuto soprattutto nei semi e nella buccia. Il progetto prevede un’estrazione delle componenti salutistiche presenti nei semi e nella parte esterna, da aggiungere al succo. L’obiettivo finale è creare una nuova linea di bibite con il 90-95% di succo di pomodoro ingentilito con succhi ricavati da frutta fresca o altri prodotti made in Italy.
Il programma di ricerca Paq
Ista Veneto Sementi, una società agro-biotecnologica che si occupa di miglioramento genetico delle piante e di tecnologie per le filiere agro-alimentari, ha ricevuto l’idoneità al finanziamento di 6,16 milioni di € per il programma di ricerca Paq da realizzare insieme ad altri 10 partner. L’obiettivo è migliorare la qualità della pasta focalizzando la ricerca verso la selezione genetica delle sementi di grano duro.
“La riscoperta di vecchie varietà e la messa a punto di nuovi incroci – spiega Mario Lo Pinto research manager della Ista Veneto – è un percorso obbligato per trovare sementi magari meno produttive, ma con un tenore di proteine e di altri componenti nutrizionali che vengono molto valorizzati nella dieta moderna. Il mercato premia i nuovi alimenti funzionali arricchiti con composti funzionali e noi con questo progetto cerchiamo di ottenerli attraverso una selezione naturale.”
“L’altro fattore decisivo – prosegue Lo Pinto – consiste nella ricerca di nuove modalità di lavorazione delle cariossidi di grano, per ottenere farina con una maggiore quantità di microelementi presenti nella parte esterna. Adesso nei molini queste parti sono considerate un sottoprodotto, ma bisogna modificare il processo produttivo per selezionare con più attenzione i componenti. Questa operazione comporta una modifica di alcuni processi industriali per isolare, purificare e caratterizzare meglio i sotto prodotti. Alla fine si dovrebbe ottenere una componente ricca di nutrienti da aggiungere alla semola senza snaturare l’aspetto e le caratteristiche sensoriali della pasta». Il risultato sarà una semola più ricca di componenti nutritive rispetto ai modelli attuali, ma diversa dalla semola integrale che non è sempre accettata dal consumatore. L’obiettivo è produrre uno spaghetto made in Italy nutrizionalmente più ricco e in linea con le caratteristiche sensoriali della classica pasta italiana.”
Progetti sulla tracciabilità premiati dal Ministero dello Sviluppo economico
Diventata legge nel 2005 dopo la vicenda della mucca pazza, la tracciabilità è uno degli elementi qualificanti dell’industria alimentare in grado di garantire un buon livello di sicurezza ai consumatori. La stessa rete Rasff, che ogni settimana a Bruxelles diffonde le comunicazioni sui prodotti da ritirare dal mercato, sfrutta la rete della tracciabilità. Dall’esordio a oggi sono stati fatti molti passi in avanti, e diverse imprese sono in grado di monitorare il percorso degli ingredienti e degli imballaggi lungo l’intero processo produttivo, e lo pubblicizzano in rete. Le nuove frontiere della tracciabilità, come dimostrano diversi progetti del piano Industria 2015, vanno oltre. Oltre a memorizzare il percorso degli ingredienti, riescono a controllare la qualità del prodotto lungo a filiera, come nel caso del progetto latte firmato dalla Leonardo Business Consulting. Certo la dinamica è complessa, ma i costi sono contenuti e comunque si si tratta di input destinati a svilupparsi.
La tracciabilità del latte
Il progetto sulla tracciabilità del latte presentato dalla Leonardo Business Consulting interessa 10 partner (Istituto Superiore Sanità, CNR, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana, Centrale del Latte di Roma, Lattepiù, Amel, Biochem, Biosensor, TDM e 3iC) ed è stato ritenuto idoneo a ricevere un finanziamento per coprire una parte dei costi che ammontano a 6,2 milioni di €. L’intenzione è monitorare in tempo reale l’intera filiera del latte, dall’alimentazione al benessere animale, dalla mungitura al confezionamento della bottiglia.
«È un sistema robotizzato che, tramite batterie di sensori e biosensori dislocate nei punti nevralgici, permette di eseguire un monitoraggio continuo – precisa Chiara Frazzoli dell’ISS e componente del team di coordinamentoscientifico–. Le batterie di bionsensori inviano in tempo reale a una centralina i valori relativi agli indici di salubrità e qualità del latte, permettendo di razionalizzare il sistema di autocontrollo e prevenzione e i relativi costi. I valori sono integrati e valutati in modo da poter intervenire quando si riscontrano anomalie significative». Il sistema robotizzato (brevetto “BEST”) introduce nella filiera del latte nuovi indici in grado di monitorare variazioni relative a parametri chimico-fisici e biologici (come ad esempio effetti su cellule ed enzimi). Il progetto permetterà ai produttori di impostare un sistema di tracciabilità basato sulla catena di punti nevralgici con una spesa contenuta, e contribuirà a stabilire una piattaforma tecnologica fra enti di ricerca, produttori zootecnici ed imprese lattiero-casearie.
Il progetto di Ali Spa
Il progetto capitanato dalla Ali S.p.A divisione Carpigiani, insieme all’Università di Bologna, al Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano e laboratori della Rete AltaTecnologia dell’Emilia-Romagna, prevede una spesa di 6,13 milioni di €, e rientra nella categoria dei “ritenuti idonei”. L’intenzione è riuscire a controllare la carica batterica del latte e del sieroinnesto durante la lavorazione del Parmigiano, attraverso una rete di biosensori wireless compatti a basso costo. La problematica non è affatto banale, perché la lavorazione del formaggio più famoso d’Italia avviene ancora in modo tradizionale, con il mastro casaro che, sulla base dell’esperienza e delle valutazione sensoriali, stabilisce le correzioni da apportare al processo.
Il sistema di rilevazione consiste nell’impiego di una sofisticata tecnica impedometrica di tipo elettrico, realizzata attraverso un biosensore in grado di stabilire in tempo reale la quantità di batteri che si svilupperanno durante la fermentazione. L’idea è originata da una sperimentazione di un sistema analogo realizzato per la lavorazione del gelato artigianale, e potrebbe trovare applicazione nei processi industriali dove il latte subisce una fermentazione per essere trasformato in formaggio a pasta filata o yogurt.
Il progetto del caseificio Elda
Il progetto del caseificio Elda sulla shelf-life nella filiera del latte prevede una spesa 6,83 milioni di € (coperta pe ril 37 % circa dal Ministero dello sviluppo economico) e sarà realizzato insieme ad altri 6 partner, tra cui l’Università La Sapienza di Roma e quella di Verona, Auricchio e la Centrale del latte di Roma. L’idea è studiare nuovi metodi per prolungare la vita di scaffale di prodotti con una shelf-life breve (come yogurt e formaggi molli), che penalizza la commercializzazione.
Il progetto prevede il ricorso ad analisi sofisticate come le misurazione di flusso (high throughput), prove dit rascrittomica e proteomica (abitualmente utilizzate nella ricerca di base) per individuare i punti critici della filiera produttiva. La questione è molto dibattuta a livello scientifico, perché i meccanismi fisici, chimici e biologici che concorrono a determinare l’evoluzione di un prodotto non sono scontati, come pure le dinamiche collegate al decadimento delle proprietà organolettiche. Le problematiche verranno esaminate nella globalità,valutando i fattori microbiologici e tecnologici ed esplorando le nuove possibilità di utilizzo del packaging attivo e intelligente, grazie al contributo di Patrizia Fava dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.